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Pubbl. Mer, 7 Mar 2018

La prescrizione alla luce della sentenza Taricco bis, tra principio di legalità e diritto dell´Unione europea

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Elisa D´aveni


Con la sentenza resa il 5 dicembre 2017 la Corte di Giustizia ha mostrato di condividere le perplessità e le preoccupazioni già espresse dalla Corte costituzionale nel rinvio pregiudiziale. Il riconoscimento della natura sostanziale della prescrizione nell´ordinamento italiano


Sommario: 1. Premessa; 2. La vicenda Taricco; 2.1. Le ricadute interne della sentenza Taricco; 2.2. La posizione della Corte costituzionale; 3. La sentenza Taricco bis e i relativi effetti sul regime interno della prescrizione. 

1. Premessa.

In un ordinamento sempre più attento al rispetto degli obblighi internazionali, si pone, anche in ambito penale, il nodo dei rapporti tra il diritto interno e il diritto unionale.

Com’è noto, la competenza legislativa europea si basa sulla cessione di spazi di sovranità cui gli Stati membri hanno acconsentito nell’aderire ai trattati istitutivi. Quanto all’Italia, il fondamento costituzionale di tale cessione è da rinvenirsi nell’art. 11 Cost., il quale consente la limitazione della sovranità statale al fine di creare ordinamenti che promuovano la pace tra le nazioni.

Ebbene, l’Unione europea non possiede alcuna competenza legislativa in materia penale. Non esiste, difatti, alcuna norma che attribuisca alla stessa una competenza in siffatto settore, né la giurisprudenza europea ha mai mostrato una qualche apertura in merito, escludendo piuttosto che gli atti normativi comunitari possano direttamente sancire, oppure aggravare, la responsabilità penale dei singoli.

Tuttavia, il diritto unionale ben può influenzare il diritto penale degli Stati membri in modo indiretto, indirizzando cioè le scelte di politica criminale degli stessi verso l’adozione di sanzioni aventi natura penale fino a imporre, se del caso, l’adozione di siffatte misure afflittive. A tale esito si perviene valorizzando il principio di primazia del diritto comunitario sul diritto interno, nonché l’obbligo di leale cooperazione che incombe sugli Stati ai sensi dell’art. 4 TUE. Ne deriva la produzione di effetti, sul piano interno, che a seconda dei casi espandono o restringono l’area del penalmente rilevante, incidendo sulla responsabilità penale di coloro che abbiano commesso reati.

In questo contesto, si colloca la vicenda Taricco.

2. La vicenda Taricco.

Nel settembre 2015, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha dichiarato il contrasto tra la disciplina italiana della prescrizione, in specie in punto di interruzione della stessa, con l’art. 325 TFUE. Più precisamente, l’art. 325, par. 1, TFUE sancisce l’obbligo per gli Stati membri di adottare misure dissuasive ed efficaci contro le frodi e ogni altra attività illegale che possa ledere gli interessi finanziari dell’Unione; l’art. 325, par. 2, TFUE, invece, fissa il principio di assimilazione, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione al pari dei propri.

Nella sentenza in esame, la Corte di Lussemburgo ha ritenuto incompatibile con l’art. 325 TFUE la disciplina italiana in materia di atti interruttivi della prescrizione di cui al combinato disposto degli artt. 160, ultimo comma, c.p. e 161, comma 2, c.p. Ciò in quanto la previsione di un limite massimo all’interruzione della prescrizione, pur in presenza di molteplici atti interruttivi, potrebbe comportare l’impunità di gravi frodi tributarie in materie di IVA in un numero considerevole di casi. Inoltre, si è osservato, le deroghe che il legislatore interno ha espressamente previsto a siffatta disciplina, che invero non trova applicazione per una serie di reati, segnerebbero un’inammissibile disparità di trattamento tra la tutela degli interessi finanziari nazionali e la tutela degli interessi finanziari dell’Unione, in favore dei primi e a discapito di questi ultimi.

Due, in sintesi, le ipotesi di incompatibilità degli artt. 160 e 161 c.p. con l’art. 325 TFUE: in primo luogo, gli artt. 160 e 161 c.p. contrastano con l’obbligo di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione nella misura in cui determinano l’impunità di gravi e numerose frodi IVA; in secondo luogo, non operando le norme in esame, per scelta del legislatore interno, con riguardo ad alcuni reati posti a presidio di interessi finanziari meramente interni, vi è violazione del principio di assimilazione.  

I giudici di Lussemburgo hanno quindi interpretato l’art. 325 TFUE nel senso che lo stesso sancisce l’obbligo per il giudice nazionale, in presenza di ciascuna delle ipotesi suddette, di disapplicare la disciplina interna degli atti interruttivi della prescrizione qualora ritenga che detta disciplina, nel fissare un limite massimo all’interruzione della prescrizione, impedisca allo Stato di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione europea.

2.1. Le ricadute interne della sentenza Taricco.

All’indomani della sentenza Taricco, parte della giurisprudenza interna ha ritenuto di non dover dare seguito alle statuizioni della Corte di giustizia dell’Unione europea. Piuttosto, si è ravvisata l’esigenza di rivolgersi alla Corte costituzionale affinché quest’ultima attivasse i cc.dd. controlimiti, impedendo così l’ingresso nel nostro ordinamento di una normativa comunitaria che, nell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia, lede i diritti inviolabili dell’uomo.

Più precisamente, la Corte di Appello di Milano e la Corte di cassazione hanno sollevato questione di legittimità costituzionale della legge di recepimento dei trattati per violazione dell’art. 25, comma 2, Cost.

L’art. 25, comma 2, Cost. sancisce il principio di legalità in materia penale. Trattasi di uno dei pilastri su cui poggia l’intero sistema penalistico, sostanziale e, di riflesso, processuale. Il principio di legalità, difatti, consente la restrizione della libertà personale dei consociati a una duplice condizione: che ciò avvenga in forza di una legge che consideri un determinato fatto come reato e che detta norma incriminatrice sia entrata in vigore prima della commissione del fatto stesso. Alla base, evidenti esigenze di natura garantista: il principio di legalità tutela i diritti inviolabili dell’uomo, in specie la libertà personale, da un possibile arbitrio del potere esecutivo o giudiziario, nonché l’autodeterminazione dei singoli, i quali, una volta resi edotti delle conseguenze penali delle proprie condotte, sono in grado di scegliere consapevolmente se determinarsi o meno nel senso del reato.

Il principio di legalità, poi, si atteggia, sul piano dell’efficacia della legge penale nel tempo, quale divieto di retroattività sfavorevole e si declina, sotto il profilo della formulazione del precetto penale, in termini di tassatività, determinatezza, precisione.

La necessità di un intervento della Corte costituzionale è sorta proprio in relazione ai sudetti corollari. Invero, ad avviso dei giudici rimettenti, la c.d. regola Taricco, che imporrebbe la disapplicazione della disciplina interna in tema di interruzione della prescrizione, si scontrerebbe, da un lato, con il principio di irretroattività sfavorevole e, dall’altro lato, con il principio di determinatezza della fattispecie penale.

Quanto al primo punto, si è osservato, si aggraverebbe in modo retroattivo la posizione penale degli imputati, i quali non potevano ragionevolmente prevedere, al momento della commissione del fatto, che non si sarebbe loro applicato il termine massimo di interruzione della prescrizione, con conseguente estensione, anziché estinzione, della pretesa punitiva dello Stato.

Quanto al secondo punto, invece, si è sostenuto che il dettato normativo europeo difetterebbe di sufficiente determinatezza, attribuendo così un’eccessiva discrezionalità al giudice nazionale, sul quale graverebbe il compito di individuare e selezionare le ipotesi in cui ci si trovi al cospetto di gravi frodi che potrebbero restare impunite in un numero considerevole di casi. Il rischio di incertezza e di arbitrio giudiziario sarebbe, allora, quanto mai elevato.  

2.2. La posizione della Corte costituzionale.

Nel gennaio 2017, la Corte costituzionale ha optato per una soluzione conciliativa. Ha scelto, infatti, di promuovere il dialogo con i giudici europei e di non ricorrere, quantomeno in prima battuta, all’arma dei controlimiti, potenzialmente in grado di creare una frattura nei rapporti tra le Corti.

In particolare, la Consulta ha operato un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di giustizia dell’Unione europea chiedendo chiarimenti in ordine al corretto significato da attribuire all’art. 325 TFUE dopo la sentenza Taricco e, precisamente, se lo stesso debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice nazionale la disapplicazione della disciplina interna in tema di atti interruttivi della prescrizione anche quando ciò si ponga in contrasto con i principi fondamentali dell’ordine costituzionale e con i diritti inviolabili dell’uomo.

Tre i punti fermi ribaditi dalla Corte Costituzionale nella propria ordinanza: il primato del diritto europeo su quello interno, a condizione che venga rispettato l’ordine costituzionale italiano; il carattere supremo del principio di legalità in materia penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost.; la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione e il suo conseguente assoggettamento al predetto principio di legalità.

Muovendo da tali punti fermi, la Consulta si è interrogata sulla conformità della c.d. regola Taricco con il principio di legalità, nei suoi corollari di irretroattività sfavorevole e di tassatività.

La soluzione è stata, in entrambi i casi, negativa. Invero, si è osservato, la regola Taricco non può essere considerata rispettosa del divieto di retroattività sfavorevole, in quanto non era ragionevolmente prevedibile, al momento della commissione del fatto, che il diritto dell’Unione europea avrebbe imposto al giudice nazionale di disapplicare le norme interne sull’interruzione della prescrizione. Inoltre, la regola in esame contrasta inevitabilmente con la necessità a che il precetto penale sia sufficientemente determinato e preciso nel suo contenuto e nelle sue conseguenze, lasciandosi piuttosto stabilire al giudice quando le frodi siano gravi e quando le stesse restino impunite in un numero considerevole di casi.

Alla luce delle considerazioni suddette, la Corte costituzionale ha pertanto chiesto ai giudici europei conferma della lettura per cui la regola Taricco non debba essere applicata dal giudice nazionale, attesa l’incompatibilità della stessa, poiché non prevedibile, né sufficientemente determinata, con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano.

Ciò nonostante, non si è negata la responsabilità del legislatore italiano per violazione del diritto unionale.

3. La sentenza Taricco bis e i relativi effetti sul regime interno della prescrizione.

Nel dicembre 2017, la Corte di giustizia dell’Unione europea si è nuovamente pronunciata sulla vicenda Taricco.

Questa volta, tuttavia, i giudici di Lussemburgo hanno optato per una lettura dell’art. 325 TFUE in senso più favorevole per l’ordinamento italiano, così come auspicato dalla Corte costituzionale stessa in sede di rinvio pregiudiziale. Difatti, pur confermando in toto la regola Taricco, si è precisato che l’art. 325 TFUE impone al giudice nazionale di disapplicare la disciplina interna in tema di atti interruttivi della prescrizione quando la stessa conduca all’impunità, in un numero considerevole di casi, di gravi frodi IVA, a meno che, però, tale disapplicazione comporti la violazione del principio di legalità dei reati e delle pene.

Due le ipotesi - si legge nel dispositivo - in cui il principio di legalità si considera violato: quando la disapplicazione della normativa interna determina la retroazione di un regime più severo rispetto a quello vigente al momento del fatto e altresì quando, nell’escludere l’operatività della disciplina nazionale di cui agli artt. 160 e 161 c.p., si registra un’insufficiente determinatezza della legge penale e, segnatamente, del regime prescrizionale applicabile. In altri termini, la disapplicazione della disciplina interna non è ammessa ove ne derivi l’inosservanza del divieto di irretroattività sfavorevole o la trasgressione del principio di tassatività del precetto penale, i quali trovano, entrambi, il loro fondamento costituzionale all’art. 25, comma 2, Cost.

Spetta poi al giudice nazionale verificare se si versi nell’uno o nell’altro caso, sì da non procedere alla disapplicazione.  

Ebbene, nella sentenza Taricco-bis la Corte di giustizia ha mostrato di condividere le perplessità e le preoccupazioni già espresse dalla Corte costituzionale in seno all’ordinanza di rinvio. Più precisamente, si è preso atto delle conseguenze che, sul piano interno, un’indiscriminata e non meglio precisata disapplicazione avrebbe comportato. E ciò alla luce di una peculiarità dell’ordinamento penalistico italiano, su cui faceva leva la Consulta, e che al contempo rappresenta un’anomalia se rapportata al panorama giuridico europeo. Detta anomalia consiste nella natura sostanziale che il diritto penale italiano attribuisce, e la giurisprudenza nazionale pacificamente riconosce, all’istituto della prescrizione. Generalmente, invece, negli ordinamenti degli altri Stati membri la prescrizione è vista come un istituto prettamente processuale, cui si ricollegano una serie di conseguenze rilevanti sul solo piano procedurale e non già, come invece stabilisce il codice Rocco, l’effetto di estinguere il reato.

Ad ogni modo, l’anomalia in esame è stata tenuta in debito conto e altresì accettata dai giudici europei, sebbene con alcune precisazioni. Al momento della prima sentenza Taricco, infatti, non era stato ancora avviato un processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali in tema di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e di prescrizione degli stessi, il che è avvenuto, seppur in modo parziale, soltanto con l’emanazione della recente direttiva del 5 luglio 2017, il cui recepimento dovrà avvenire entro il 2019. Fino a quel momento, pertanto, secondo la Corte di Lussemburgo, il legislatore nazionale era libero di considerare in termini sostanziali l’istituto della prescrizione, data l’assenza di una disciplina europea sul punto relativamente ai predetti reati. Ne deriva la necessaria operatività dei principi di prevedibilità, irretroattività sfavorevole e tassatività agli illeciti penali commessi entro l’8 settembre 2015, con conseguente non necessità, per il giudice nazionale, di conformarsi all’obbligo di disapplicazione che in ipotesi l’art. 325 TFUE imporrebbe.  

Chiarito ciò, i primi commentatori della sentenza Taricco-bis hanno tuttavia mostrato qualche perplessità con riguardo agli effetti immediati della sentenza Taricco nel caso in cui l’incompatibilità della disciplina interna riguardi il secondo paragrafo dell’art. 325 TFUE. Si è osservato, infatti, che al principio di assimilazione non sia possibile opporre la violazione della garanzia di determinatezza, poiché il primo presenta un contenuto preciso e delle conseguenze ben definite, che non lasciano immaginare alcun contrasto con la seconda. Invero, l’applicazione del principio di equivalenza delle tutele non può che comportare l’estensione, a livello interno, dell’ambito di operatività della disciplina interna che deroga agli artt. 160 e 161 c.p. e che tutela gli interessi finanziari nazionali in modo più efficace rispetto a questi ultimi; è evidente, quindi, che detta disciplina derogatoria riguarderà anche le frodi che ledono gli interessi finanziari unionali e che nessun deficit di tassatività è ravvisabile a riguardo, a meno che la normativa derogatoria interna si ponga essa stessa in contrasto con il principio di determinatezza.

4. Conclusioni. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, la vicenda Taricco riveste un’importanza fondamentale nel dibattito giuridico attuale, in quanto spunto per riflettere sui rapporti tra il diritto interno e il diritto unionale in materia penale, nonché occasione di dialogo tra le Corti nazionali e sovranazionali.

 

Riferimenti giurisprudenziali

Corte di giustizia dell’Unione europea, 8 settembre 2015, C-105/14.
Corte di giustizia dell’Unione europea, 5 dicembre 2017, C- 42/17.
Corte di appello di Milano, sez. III, ordinanza 18 settembre 2015, n. 6421.
Corte di cassazione, sez. III, ordinanza 30 marzo 2016, n. 28346.
Corte costituzionale, ordinanza 26 gennaio 2017, n. 24.

Riferimenti bibliografici

C. Cupelli, Ecce Taricco II: fra dialogo e diplomazia, l’attesa sentenza della Corte dig, in Dir. Pen. Cont., n. 12/2017.
E. Lupo, La primautè del diritto dell’UE e l’ordinamento penale nazionale. Riflessioni sulla sentenza Taricco, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2016.
E. Lupo, La sentenza europea c.d. Taricco-bis: risolti i problemi per il passato, rimangono aperti i problemi per il futuro, in Dir. Pen. Cont., n. 12/2017.
A. Martufi, La minaccia dei controlimiti e la promessa del dialogo: note all’ordinanza n. 24 del 2017 della Corte costituzionale, in Dir. Pen. Cont. (web).
R. Garofoli, Manuale di diritto penale, parte generale, Nel diritto editore, ult. ed.
R. Mastroianni, Supremazia del diritto dell’Unione e “controlimiti” costituzionali: alcune riflessioni a margine del caso Taricco, in Dir. Pen. Cont. (web).