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Pubbl. Dom, 18 Feb 2018

Il diritto degli agenti alle provvigioni

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Simona Rossi


Il contratto di agenzia, tradizionalmente considerato “contratto per la prestazione di servizi”, è oggetto di interventi legislativi di derivazione comunitaria che, modificando sensibilmente la disciplina dettata in materia dal codice civile hanno ridisegnato rilevanti aspetti della figura contrattuale in esame.


Sommario: 1. Definizione; 2. In cosa consiste il corrispettivo previsto per l’attività svolta dall’agente?; 3. Quali sono i diritti ed i doveri in capo alle parti?; 4. Evoluzione storica del diritto alle provvigioni.

 

1. Definizione.

Il contratto di agenzia, ex art. 1742, rappresenta l’accordo, avente necessariamente forma scritta, con cui una parte (agente) assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto di un’altra (preponente), verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata. Trattasi, pertanto, di un accordo con cui un soggetto, dietro corrispettivo, viene incaricato di occuparsi, in maniera stabile, della promozione dell’attività di un proponente; qualora gli venga riconosciuta anche la possibilità di concludere contratti in nome e per conto del proponente, l’agente sarà un rappresentate di commercio. Inoltre la Suprema Corte, con la sentenza n. 1916 del 1993, ha inteso distinguere la figura dell’agente da quella “innominata” del c.d. procacciatore d’affari tenuto conto che l’attività di quest’ultimo è esercitata saltuariamente mentre in capo all’agente viene riconosciuto un incarico stabile e duraturo. Sempre la Corte di Cassazione (sentenza n. 4942/1985) ha anche chiarito che quando l’agente è dotato del potere di rappresentanza per la conclusione dei contratti, il carattere di stabilità del contratto di agenzia permette di distinguere il contratto di agenzia dal contratto di mandato con rappresentanza. In ogni caso, deve osservarsi che la distinzione operata dalla giurisprudenza non risulta essere facilmente applicabile nella prassi per cui il criterio da utilizzare sarà quello della prevalenza: si potrà parlare di contratto di agenzia ogni qual volta sia prevalente la funzione del reperire i clienti rispetto a quella di concludere i contratti.

2. In cosa consiste il corrispettivo previsto per l’attività svolta dall’agente?

L’art. 1748 c.c. prevede che “per tutti gli affari conclusi durante il contratto l'agente ha diritto alla provvigione quando l'operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento”. Pertanto, nel momento in cui tra il proponente ed un terzo si giunge alla stipula dell’accordo grazie all’opera dell’agente, sorge il diritto alla provvigione in quanto l’obbligazione in capo all’agente è quella di promuovere la conclusione dei contratti (tanto è vero che la provvigione viene determinata in misura percentuale); provvigione che diviene poi esigibile quando (e se) il tale accordo trova esecuzione. Si osservi che l'agente ha diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione a meno che, come previsto dal comma 5, “il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l'agente ha diritto, per la parte ineseguita, ad una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità”. Inoltre la medesima disposizione codicistica prevede che “l'agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all'agente in data antecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all'attività da lui svolta; in tali casi la provvigione è dovuta solo all'agente precedente, salvo che da specifiche circostanze risulti equo ripartire la provvigione tra gli agenti intervenuti”: viene, così, riconosciuta la rilevanza dell’attività dell’agente ai fini della conclusione dell’affare che, molto probabilmente, non si sarebbe concluso senza il suo intervento. Dunque, il diritto alle provvigioni dell’agente si estende anche alle trattative concluse nell’arco di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto (od un termine più lungo contrattualmente pattuito ma soltanto nel caso in cui la conclusione dell’accordo sia riconducibile all’attività svolta dall’agente!). Decorso predetto termine, la conclusione di ogni accordo non potrà più essere considerato conseguenza dell’attività dell’agente.

3. Quali sono i diritti ed i doveri in capo alle parti?

Anche per comprendere quali siano le posizioni in capo alle singole parti, viene in soccorso quanto previsto dal codice. Per quanto riguarda l’agente, questo è tenuto a tutelare gli interessi del proponente ed agire con lealtà e buona fede, attenendosi alle sue istruzioni. Gode di un diritto di esclusiva per le zone assegnatogli e non può essere tenuto responsabile dell’inadempimento del terzo (anche se, eccezionalmente, può prestare garanzia a tal proposito). Come si è avuto modo di evidenziare, l’agente ha diritto alla provvigione per tutti gli affari che il proponente ha concluso per effetto del suo intervento nella misura in cui il proponente ha eseguito (o avrebbe dovuto eseguire) la prestazione in base al contratto concluso con il terzo (qualora proponente e terzo si accordino per non dare esecuzione al contratto, in tutto od anche solo in parte, l’agente ha diritto ad una provvigione ridotta che viene determinata dagli usi ovvero dal giudice secondo equità). Così come l’agente, anche il proponente è tenuto ad agire con lealtà e buona fede ed, inoltre, è tenuto a fornire all'agente tutte le informazioni necessarie per l'esecuzione del contratto. In bilanciamento del diritto d’esclusiva previsto in capo all’agente, è sancito che il proponente non può avvalersi, contemporaneamente, di più agenti nella stessa zona e per la stessa attività. Alla cessazione del rapporto, è tenuto a corrispondere un’indennità all’agente per la fine del rapporto e può anche prevedere con questo un patto che limiti la concorrenza da parte dell’agente.

4. Evoluzione storica del diritto alle provvigioni.

La figura del contratto di agenzia, le cui origini risalgono alla prassi commerciale consolidatosi nell’arco dell’800, trovava una sua prima disciplina già nel Codice del Commercio italiano del 1882. Disciplina che si è avuta anche col subentrare dell’attuale codice civile nel 1942: l’attuale disciplina risente, però, in maniera assai rilevante delle modifiche susseguitesi nel tempo soprattutto ad opera delle direttive comunitarie, in particolar modo con la direttiva n. 86/653/CEE che ha inciso profondamente sulla regolamentazione della disciplina del compenso mutandone la natura giuridica (da mera aspettativa a vero e proprio diritto) e regolamentandone gli aspetti, anche in tema probatorio.

Nella sua originaria formulazione, l’art. 1748 c.c. riconosceva in capo all’agente il diritto alla provvigione esclusivamente per quegli affari che avessero avuto regolare e puntuale esecuzione ovvero che andassero a “buon fine”: con tale espressione si intendeva che l’accordo non dovesse soltanto essere concluso bensì che vi fosse anche stato il pagamento da parte del terzo in seguito alla consegna della merce.

Stante tale formulazione, in capo all’agente non veniva riconosciuto un diritto al compenso bensì una mera aspettativa: ovviamente da ciò derivavano conseguenze di non poco conto! Ad esempio, poniamo l’ipotesi che si fosse verificato il fallimento del proponente, ebbene in tal caso l’agente non avrebbe potuto proporre insinuazione al passivo. Ma rilevanti conseguenze si avevano soprattutto con riguardo al regime probatorio: difatti l’agente aveva l’onere di provare non solo che l’affare fosse stato effettivamente concluso ma anche il suo buon esito. L’onere in capo all’agente risultava quanto mai gravoso soprattutto alla luce del tetragono orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 10063/1998) che aveva ritenuto inammissibile l’ordine di esibizione delle scritture contabili ritenendo che in capo al proponente non vi fosse alcun obbligo. Inoltre veniva anche vietata la consulenza tecnica sulle predette in quanto in tal caso avrebbe avuto finalità esclusivamente esplorativa, ossia avrebbe quale scopo di “supplire alla deficienza di allegazioni e di prove”, ed è granitico l’orientamento della giurisprudenza che vieta tale tipo di consulenza tecnica d’ufficio (Cass. sez. VI, ord. n. 3130/2011; Cass. sez. II, ord. n. 27621/2017).

Il quadro normativo appena descritto veniva, però, radicalmente innovato ad opera della legge n. 65/1999 che attuava la Direttiva Europea in materia di agenzia. Con l’art. 3 della l. n. 65/1999, il nostro ordinamento provvedeva, infatti, a modificare l’art. 1748 comma 1 c.c. prevedendo che all’agente venisse riconosciuto il diritto alle provvigioni nel momento della conclusione del contratto avutosi col suo intervento e nella misura in cui il preponente ha eseguito (ovvero avrebbe dovuto eseguire) la prestazione in base al contratto concluso con il terzo e veniva accantonato ogni riferimento al “buon fine” dell’operazione. Difatti, sul punto, anche la giurisprudenza ha chiarito che “nella nuova disciplina giudica, dunque, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. Questa genera non una semplice aspettativa, come nella disciplina presente, ma un diritto di credito vero e proprio, anche se non esigibile - un diritto che può essere ceduto e permette l'insinuazione nel passivo dei fallimento del preponente. Condizione di esigibilità è invece l'esecuzione dei contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il proponente ha eseguito o. avrebbe dovuto eseguire la prestazione” e che, di conseguenza, “non è necessaria la prova del "buon fine" dell'affare” (Cass. sez. Lavoro n. 5467/2000).

Questa modifica comporta un mutamento radicale di quello che era stato fin a quel momento il diritto al compenso per l’agente: difatti, mentre prima, come illustrato, si poteva parlare di “mera aspettativa” con tutte le conseguenze che ne derivavano, ora si ha un vero e proprio “diritto alla provvigione”.

Sempre la Cassazione, nella pronuncia appena citata, ha evidenziato che "in tal modo la legge, sulla falsariga del modello tedesco, ha distinto tra il momento di acquisizione della provvigione e il momento di esigibilità della provvigione già acquisita, il momento di acquisizione è il momento in cui l'operazione promossa dall'agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è il momento in cui il proponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione".

Si noti, inoltre, che il legislatore ha lasciato intendere la possibilità di derogare la predetta regola generale ma stabilendo dei limiti con la previsione per cui l’esigibilità non può, in ogni caso, essere successiva al momento in cui il terzo esegue la prestazione.

In ragione di ciò, il legislatore prevede, al comma 6 della norma in esame, l’ipotesi della restituzione delle provvigioni riscosse dall’agente che può essere posta in essere qualora si sia avuta un’anticipazione sulla provvigione e si abbia poi la certezza che il contratto concluso tra proponente ed il terzo non avrà esecuzione (purché ciò avvenga per cause non imputabili al proponente!). Questo, tra l’altro, rappresenta l’unico caso in cui può essere previsto l’obbligo di restituzione in capo all’agente che si connota, pertanto, di un carattere di “eccezionalità” in virtù della considerazione per cui l’agente non può subire le conseguenze pregiudizievoli del comportamento del proponente (per cui nel caso in cui il contratto non abbia esecuzione per causa imputabile alla proponente, non potrà configurarsi l’obbligo di restituzione in capo all’agente!).

Si è già avuto modo di evidenziare quali fossero, prima delle modifiche apportate alla disciplina codicistica, le difficoltà legate all’onere probatorio in capo all’agente, ebbene, con la l. n. 65/1999 si è intervenuti anche per risolvere il problema del gravoso onere probatorio risultante in capo all’agente. Difatti, all’art. 1749 c.c. è stato previsto l’obbligo in capo al proponente di consegnare all’agente un estratto delle provvigioni dovute (entro i termini previsti per il pagamento) nonché il corrispondente diritto in capo all’agente di poter ottenere dal proponente le informazioni necessarie alla verifica delle provvigioni e l’estratto delle scritture contabili, in osservanza dei principi generali di lealtà e correttezza. La portata di suddetta previsione è tale che il legislatore si è voluto assicurare che non fosse derogabile dalle parti, prevedendo nel testo stesso della norma che “è nullo ogni patto contrario alle disposizioni del presente articolo”.

Che si tratti di un vero e proprio obbligo, lo ha chiarito la Corte di Cassazione (n. 19319/2016) che ha osservato come “l’agente è titolare di un vero e proprio diritto all’accesso ai libri contabili in possesso del preponente, che siano utili e necessari per la liquidazione delle provvigioni e per una gestione trasparente del rapporto secondo i principi di buona fede e correttezza. Di conseguenza, il preponente, ove richiesto (anche giudizialmente), ha un vero e proprio obbligo di fornire la documentazione e le informazioni richieste dall’agente al fine di consentire l’esatta ricostruzione del rapporto di agenzia.” In virtù di ciò, è evidente che, mentre in precedenza l’ordine di esibizione delle scritture contabile era ritenuto inammissibile da uniforme giurisprudenza non riconoscendosi in capo al proponente tale obbligo, con le modifiche apportate all’art. 1749 c.c. tale obbligo si configuri eccome! Ragion per cui, qualora il proponente abbia omesso di fornire la documentazione necessaria all’agente, questo potrà richiederne l’esibizione in giudizio.

Si può osservare come tali modifiche in merito al regime probatorio risultino, inoltre, perfettamente in armonia col cd. principio di vicinanza della prova in tema di ripartizione dell’onere probatorio espresso dalle SS. UU. (n. 13533/2001) con cui si era evidenziato che “dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l'onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”.

Dunque, fermo restando l’onere probatorio in capo all’agente, in osservanza a quanto previsto dalla direttiva comunitaria, l’ordinamento nostrano si è adeguato prevedendo una disciplina che tutelasse maggiormente il diritto alle provvigioni da parte dell’agente non solo con riguardo al momento genetico bensì anche con riguardo al regime probatorio.

Va però osservato come l’intervento del legislatore non sempre sia stato completo e puntuale: difatti con il D. Lgs. n. 303/1991, il legislatore aveva inserito un nuovo terzo comma all’art. 1748 c.c. con cui veniva previsto il diritto dell’agente alle provvigioni anche per quanto riguardava gli affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto (ovviamente purché si trattasse di un accordo concluso per attività svolta dall’agente!) prevedendo che l’agente avesse diritto alle provvigioni qualora la proposta sia pervenuta prima della fine del contratto ovvero se il contratto si è concluso in un “termine ragionevole” dopo lo scioglimento.

Orbene, l’utilizzo della dicitura “termine ragionevole” risultava tuttavia assai vaga, dovendosi, invero, ritenere necessario prevedere la fissazione di un termine preciso. Sul punto va osservato che gli A.E.C. Industria del 2014 hanno precisato il termine per l’attribuzione delle provvigioni per gli accordi conclusi successivamente alla cessazione del rapporto, stabilendo un termine di 6 mesi dalla cessazione del rapporto (termine, ovviamente, derogabile dalle parti). Tuttavia per la giurisprudenza ancora non è riuscita a sciogliere quello che, pertanto, resta uno dei maggiori nodi interpretativi legati a questa materia, difatti non si ha un orientamento concorde, essendovi esempi in cui i giudici hanno inteso quale “termine ragionevole” un termine pari a 6 mesi (es. Cass. n. 2824/2006) mentre altri hanno stabilito che andasse inteso come pari addirittura a due anni (Cass. n. 894/2013).

In ogni caso, la ragionevolezza del termine va considerata tenuto conto del particolare settore in cui l’agente ha operato e, dunque, tenendo conto delle previsioni degli accordi economici collettivi che hanno preferito optare per una previsione precisa. Ragion per cui, ad opinione di chi scrive, per quanto sarebbe auspicabile un intervento legislativo che colmi tale lacuna è anche vero che la peculiarità di ogni settore merceologico fa sì che tale termine “ragionevole” possa risultare differente e, pertanto, è da considerarsi corretto far riferimento agli specifici accordi economici collettivi (si osservi che ad esempio, gli A.E.C. prevedono 4 mesi per il settore commercio mentre per il settore industria sono previsti 6 mesi).