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Pubbl. Sab, 24 Feb 2018

Tentativo di induzione indebita: sussiste senza accettazione della proposta illecita

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Annette Capurso


Con la sentenza n. 62 del 3 gennaio 2018 la Suprema Corte ribadisce la sussistenza del tentativo di induzione indebita allorquando la condotta del pubblico agente che formuli la proposta induttiva sia astrattamente idonea a determinare una pressione morale condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario.


Sommario: 1. Reato di induzione indebita: problemi interpretativi; 2. Reato plurisoggettivo proprio o a più fattispecie monosoggettive?; 3. Momento consumativo e tentativo del reato di induzione indebita. Cass. Pen., Sez. VI, n. 62 del 3 gennaio 2018.

1. Reato di induzione indebita: problemi interpretativi

Il reato di induzione indebita, introdotto con l'art. 319 quater c.p. dalla L. 6 Novembre 2012 n. 190, tutela l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, vulnerata dall'abuso della qualità e dei poteri di cui i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio si avvalgono per indurre i privati a dare o promettere indebitamente denaro o altre utilità.

L'autonoma previsione di tale fattispecie ha posto notevoli problemi interpretativi concernenti, in particolare, la nozione di induzione. Ciò al fine di individuare la linea di demarcazione con il reato di concussione di cui all'art. 317 c.p., posto che entrambi i delitti sono accomunati dall'identico evento, consistente nella dazione o nella promessa dell'indebito, e dalla medesima modalità abusiva di realizzazione della condotta.

Sul punto, le Sezioni Unite Maldera[1] hanno precisato che il discrimen tra le due ipotesi delittuose è ravvisabile nella dicotomia minaccia – non minaccia che deriva dal significato intrinseco dei termini “induzione” e “costrizione” dei due reati in esame.

Precisato che in entrambe le ipotesi la condotta si concretizza in una forma di pressione psichica che determina, proprio per l’abuso delle qualità o dei poteri da parte dell’agente, uno stato di soggezione nel destinatario attraverso la prospettazione di un male o di un pregiudizio, la differenza tra le predette fattispecie si ravviserebbe nel mezzo utilizzato per realizzare l’evento.

Invero, mentre la condotta costrittiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio è attuata mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, quella induttiva, propria del reato di cui all’art. 319 quater c.p., consiste in un’attività meramente persuasiva, di suggestione, di inganno e, dunque, comportante un’alterazione dell’altrui processo volitivo.

La differente pressione psichica generata dalle due condotte incide diversamente sulla libertà di autodeterminazione del privato. Quest’ultima, nelle ipotesi di concussione, è fortemente limitata, essendo posto il destinatario dell’abuso costrittivo dinanzi all’alternativa di subire il male prospettato o di evitarlo attraverso la dazione o la promessa dell’indebito.

Al contrario, più ampi margini decisionali sono lasciati al destinatario della condotta induttiva, il quale si trova a dover valutare, alla luce dell’indebito vantaggio prospettatogli dal soggetto agente, se accettare o meno la “convincente proposta” del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.

Sicché l’eventuale acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta sarebbe motivata dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale. Tale circostanza pone il privato in una posizione di correità con il pubblico ufficiale e, conseguentemente, giustifica la previsione della sanzione penale al 2° comma dell’art. 319 quater c.p.

Ne consegue, dunque, che danno ingiusto e vantaggio indebito devono essere considerati elementi costitutivi impliciti rispettivamente delle fattispecie di cui agli artt. 317 e 319 quater c.p.; in particolare, il requisito del vantaggio indebito assurge a criterio di essenza della fattispecie induttiva e riveste una pregnanza tale da giustificare la punibilità del privato.

La sua condotta è considerata riprovevole dall’ordinamento e quindi punibile non per aver acconsentito alla pur blanda pressione esercitata dal pubblico agente, ma per aver il privato approfittato della stessa per perseguire un vantaggio ingiusto.

2. Reato plurisoggettivo proprio o a più fattispecie monosoggettive?

Le già citate Sezioni Unite Maldera hanno affermato che il reato di induzione indebita ha natura di reato plurisoggettivo proprio o normativamente soggettivo, essendo insita nell’illecito di cui all’art. 319 quater c.p. la correità necessaria del pubblico agente che induce e del privato indotto.

Per la sua integrazione è, dunque, necessaria la combinazione sinergica della concussione attenuata commessa dall’intraneo che induce con la corruzione mitigata dall’induzione dell’estraneo che dà o promette.

Detta tesi, tuttavia, appare una forzatura sul piano dogmatico.

La fattispecie a concorso necessario è caratterizzata dalla presenza di una pluralità di agenti che pongono in essere più condotte tra loro strumentali sul piano della tipicità e dell’offensività e rispondono singolarmente tanto della condotta propria quanto di quella dei correi.

Ciò in quanto essi agiscono nella consapevolezza della connessione esistente tra le condotte poste in essere dai singoli concorrenti.

Ebbene, seppure nell’induzione indebita sia pacifico che la condotta dell’estraneo è strumentale alla tipicità del fatto dell’intraneo, appare incompatibile con la fattispecie a concorso necessario che per l’estraneo sia prevista una pena molto più lieve di quella prevista per l’intraneo.

Tale elemento consentirebbe di ritenere che i fatti ascritti ai due soggetti non abbiano il medesimo disvalore e che il privato risponda solo per la propria condotta e non anche per quella del pubblico ufficiale.[2]

Alla luce di tali considerazioni critiche si comprende, dunque, l’inversione di rotta della giurisprudenza successiva[3], la quale ha aderito alla teoria della norma a più fattispecie monosoggettive, considerando le disposizioni di cui ai commi I e II dell’art. 319 quater c.p. come due reati autonomi e distinti che disciplinano, rispettivamente, l’induzione indebita commessa dall’intraneo e la corruzione indotta commessa dall’estraneo.

Si sarebbe, così, al cospetto, al I comma, di una nuova ipotesi di “concussione” per induzione, nella quale l’indotto rappresenterebbe la persona offesa e non più il correo, e, al 2° comma, di una nuova ipotesi di reato che punirebbe solo l’estraneo indotto che dà o promette.[4]

3. Momento consumativo e tentativo del reato di induzione indebita. Cass. Pen., Sez. VI, n. 62 del 3 gennaio 2018

Considerate le due disposizioni dell’art. 319 quater c.p. come due autonomi e distinti reati, è necessario, per quel che in questa sede rileva, porre l’attenzione sul I comma del predetto articolo che punisce l’induzione indebita del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.

Problemi interpretativi sono sorti nell’individuazione del momento consumativo di tale reato; in particolare ci si è chiesti se questo coincidesse con la mera induzione o con la materiale dazione o promessa del denaro o di altra utilità da parte della persona offesa.

A ben vedere, il momento consumativo del delitto di cui all’art. 319 quater c.p. potrebbe ravvisarsi nella dazione o nella promessa da parte dell’estraneo e non nella mera induzione o determinazione/decisione (i.e. induzione in senso stretto) per due ordini di ragioni.

In primo luogo, se il reato si consumasse con la determinazione/decisione che configura l’evento psichico, si avrebbe una eccessiva ed ingiustificata anticipazione della soglia della punibilità con la conseguenza che ciò che dovrebbe essere tentativo sarebbe qualificato come momento consumativo del reato.

In secondo luogo, deve evidenziarsi come l’interesse tutelato dall’art. 319 quater c.p., ovvero il regolare svolgimento dell’attività della pubblica amministrazione, è offeso nel momento in cui il privato dà o promette denaro o altra utilità e non in quello in cui il pubblico agente pone in essere una condotta induttiva.

Pertanto, alla luce di tali considerazioni, il momento consumativo del reato di induzione indebita coincide con la promessa o la dazione del denaro o di altra utilità che possono qualificarsi come eventi finali del delitto in questione, a nulla rilevando né la riserva mentale di non adempiere né l’intendimento di sollecitare l’intervento della polizia giudiziaria, affinché la dazione avvenga sotto il suo controllo.[5]

Conseguentemente, il reato si configura nella forma tentata nel caso in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente e purché la condotta induttiva sia oggettivamente idonea in astratto a coartare la volontà della vittima, senza che assuma rilievo il fatto che in concreto tale coazione non si sia verificata.[6]

Allorquando, invece, tale condotta risulti strutturalmente e strumentalmente inefficiente ad incidere sulla libertà di autodeterminazione e, dunque, inidonea, attraverso un giudizio ex ante, a cagionare l’evento offensivo, il fatto contestato potrebbe essere qualificato come reato impossibile ai sensi dell’art. 49, 2° comma, c.p. e in quanto tale non punibile.

Occorrerà, pertanto, che il giudice, accertato il mancato verificarsi dell’evento consumativo del reato per circostanze estranee ed estrinseche all’azione, valuti se la condotta del pubblico agente sia stata astrattamente persuasiva e idonea a determinare una pressione morale condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, al punto da convincerlo circa il vantaggio indebito che avrebbe ottenuto nel dare o promettere denaro o altre utilità.

In tal caso, il reato potrà ritenersi integrato nella forma tentata; in caso contrario potrà essere non punibile ai sensi dell’art. 49, 2° comma, c.p.

È quanto ribadito dalla recente sentenza della Cassazione n. 62 del 3 gennaio 2018 con riferimento alla condotta posta in essere dal responsabile e dall’addetto all’ufficio tecnico di un Comune, ai quali era stato contestato di aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il destinatario, in cambio della mancata denuncia nei suoi confronti per gli abusi edilizi dallo stesso commesso sul fabbricato di sua proprietà, a promettere loro l’utilità consistita nell’evitare l’instaurarsi di un procedimento penale che avrebbe coinvolto lo stesso personale del Comune.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. Pen. SS.UU., 24 ottobre 2013, n. 12228.
[2] Bartolo, Archivio Penale 2015, n.2, p.7.
[3] Cass. Pen., Sez. VI, n. 35271 del 22 giugno 2016, Mercadante ed altro.
[4] Bartolo, Archivio Penale 2015, n.2, p.9
[5] Cass. Pen., Sez. VI, n. 16154 del 1 gennaio 2013.
[6] Cass. Pen., Sez. VI, n. 16154 del 1 gennaio 2013.