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Pubbl. Mer, 24 Gen 2018

Il diritto tribale nella MERV

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Saverio Setti
Dirigente della P.A.Ministero della Difesa


Introduzione al diritto tribale pre e post sharaitico nella Valle Mediana dell’Eufrate siriano.


Sommario: 1. Introduzione; 2. I principi generali; 3. La giurisdizione; 3.1 Il primo livello; 3.2 Il secondo livello; 3.3 Il terzo livello; 3.4 Il quarto livello; 4. La faida di sangue; 5. L’ordalia.

1. Introduzione

La Valle Mediana dell’Eufrate siriano (conosciuta con l’acronimo di MERV, middle Euphrates river valley) è un territorio, per la gran parte desertico, che si sviluppa lungo le sponde dell’Eufrate e che, amministrativamente, si identifica con il governatorato di Deyr az Zawr. Storicamente si tratta di una regione assai remota, lontana da Damasco, in cui il potere del governo siriano (e dunque l’imperio delle leggi di questo) ha sempre dovuto scendere a patti con le realtá tribali beduine che, in fatto ed in diritto, controllano lo svolgimento della vita dei consociati. Non è un caso, infatti, se questa regione sia stata l’ultima ad esse (quasi) completamente liberata dall’ISIS. Queste ragioni rendono il tessuto sociale della MERV un interessante case study per una introduzione ad un diritto tribale non scritto ma che, cionondimeno, affonda le proprie radici in periodo pre islamico.

Il sistema di governance multi livello della MERV vede, accanto alle strutture formali dello Stato siriano, la confederazione tribale di “Aqaidat”, che controlla l’intero territorio da Deyr az Zawr fino ad Abu Kamal, l’ultimo centro urbano prima del confine con l’Iraq. Ogni cittadina o villagio lungo l’Eufrate, poi, è posto sotto il controllo di una o piú clan tribali (ad es. il clan “Sh’aytat” controlla la cottadina di Al Mayadin). Ultimo livello di governance sono le case (o i casati), che controllano ampi quartieri cittadini o piccoli villaggi rurali. Proseguendo nell’esempio e schematizzando si avrá: 

  • La confederazione “Aqaidat”, che impone leggi tribali sulla MERV da Deyr az Zawr fino ad Abu Kamal;
  • Il clan “Sh’aytat” (sottolivello di Aqaidat), che controlla la cittadina di Al Mayadin, compresa tra Deyr az Zawr e Abu Kamal;
  • La casa di “Al Jado’a” (sottolivello di Sh’aytat), che controlla i quartieri a nord di Al Mayadin.

Questo complesso sistema di governance multi livello in punto teorico si riflette sul sistema gerarchico delle fonti di produzione e di cognizione legislativa e regolamentare.

È, tuttavia, bene evidenziare che detto sistema non presenta affatto la rigiditá caratteristica dei sistemi giuridici europei. Le fonti e le norme tendono a compenetrarsi e, assai spesso, un medesimo istituto è normato da diverse disposizioni, anche confliggenti. Tipico esempio è il matrimonio[1] ed i rapporti patrimoniali nascenti da esso. Il matrimonio è oggetto di disciplina da parte delle norme civilistiche siriane[2] che, tra le altre, prevede in diciassette anni l’etá minima per contrarre validamente matrimonio. Detta norma confligge con il disposto sharaitico che prevede la possibilitá, per le ragazze, di contrarre validamente matrimonio il giorno seguente la raggiunta pubertá. Detta norma, infine, confligge con le tradizioni tribali che consentono il matrimonio valido ai fini economici (restando irrilevante la protezione fisica della bambina) a partire dai tre anni di etá.

2. I principi generali

Premessa l’estrema varietá ed eterogeneitá dei sistemi normativi delle singole realtá tribali, è possibile tracciare i confini generali di un diritto che nasce in periodo pre-islamico e che, a volte e come detto, tende a confliggere con la legge sharaitica. Interessante è, altresí, notare che il diritto tribale ha natura essenzialmente, ma non unicamente, personale. Tutte le violazioni comprese tra lievissime e gravi sono, infatti, sanzionate secondo il codice della tribú di appartenenza del trasgressore. Le violazioni gravissime sono, invece, punite secondo il codice della tribú che per prima procede alla cattura del colpevole, irrilevante restando l’appartenza di costui. Competente a decidere il livello di gravitá della lesione al codice tribale è il membro piú anziano del gruppo di individui che cattura il colpevole, per quanto detta norma non sia univocamente accettata in tutta la MERV.

L’intero sistema beduino di valori normativi si basa su concetti di preservazione dell’onore, sull’ospitalitá e sul coraggio. Questi principi non scritti hanno “natura costituzionale”, nel senso che rappresentano i valori primari e fondanti della societá beduina tribale e, come tali, sono protetti da un sistema che potrebbe definirsi “a legalitá sostanziale”: è vietato e punito non solo ció che dalle norme è previsto come crimine, ma anche qualunque offesa a questi principi primi.   

I codici d’onore, spesso non scritti, hanno natura duplice.

Alle donne, infatti, si applica l’Ird. Trattasi si un concetto estremamente polisemico, che assume signirficati variabili da “onore della donna” a “norme da applicare da e nei confronti della donna”. Tipico esempio è un’offesa avente carattere sessuale. Una violazione della sfera personale attuata verbalmente (ad es. un apprezzamento sessualmente lesivo) viola l’Ird della donna e viene punito perchè offende il codice tribale. Invece una violenza della sfera personale attuata fisicamente (ad es. uno stupro non seguito da un matrimonio) priva definitivamente la donna del suo Ird e, pertanto, la punizione ha natura retributiva e risarcitoria[3].   

Agli uomini si applica lo Sharaf. Detto codice è assai piú ampio dell’Ird, in considerazione del ruolo prominente del maschio nella societá beduina. Normalmente tra i valori primari dello Sharaf vi sono gli obblighi di conservare intatto il proprio valore, di difendere l’Ird delle donne della propria tribú, una normazione del diritto di proprietá (dunque esclusivo degli uomini) e obblighi di protezione del villaggio, nel caso la triú sia stanziale.

I concetti di onore e coraggio sono generalmente esplicati nei codici di Hamasa, immediatemente sottordinati rispetto allo Sharaf. Nelle societá beduine il coraggio (Asabiya) è legalmente definito come la “forte volontá di difendere ogni membrop della tribú in ossequio ai principi di solidarietá e giustizia”.

Parte integrante dello Sharaf (ma in certe tribú anche dell’Ird) è il complesso di norme che regolano l’ospitalitá (Diyafa), estremamente importante in una socitá che vive in condizioni climatiche proibitive. Tanto che quasi tutte le tribú prevedono che la povertá non sia condizione esimente dagli obblighi di ospitalitá e che essa[4] debba essere assicurata anche ad un nemico che ne faccia richiesta e deponga le armi. Particolare è la disciplina delle donazioni, che sono obbligatorie in taluni casi (es. matrimonio, partenza per una battaglia, ospite che lascia la casa o ogni tipo di addio). Il rifiuto della donazione è consentito, tuttavia il donante acquisisce il diritto di vendetta, proporzionato al valore della cosa donata e dell’importanza della ricorrenza, nei confronti del donatario che ha rifiutato.

Lo Sharaf, inteso come “complesso di valori maschili” deve essere guadagnato (a differenza dell’Ird, che la donna ascquisice con la nascita) con varie prove o riti di passaggio assai diversi da clan a clan, ma che generalmente includono una qualche prova di coraggio o di resistenza al dolore, che consente al giovane di dare prova alla tribú della titolaritá di una particolare posizione soggettiva detta murawa (“mascolinitá”), la quale garantisce la facoltá di infliggere dolore per fini di giustizia[5].

La mancata acquisizione dello Sharaf non consente l’accesso alla titolaritá delle posizioni soggettive diverse dal diritto di essere protetto, dunque il soggetto rimane sotto la tutela di chi ha acquisito lo Sharaf in uno stato di giuridica infanzia, non puó ereditare, essere titolare di diritti di proprietá di beni non personalissimi (quali i vestiti), non puó portare armi e puó svolgere solo lavori “serventi” (es. la cura del bestiame). Lo Sharaf puó essere perso (come pena accessoria o principale)[6], ma, generalmente, puó essere riguadagnato in seguito a dimostrazioni di particolare valore o attaccamento alla tribú. In talune realtá tribali esistono vari livelli di Sharaf, corrispondenti grossomodo a gradi militari o posizioni gerarchiche in ambito lavorativo, l’accesso ai quali è subrodinato a riti di passaggio ed è garanzia di maggiori privilegi sociali e responsabilitá (es. il comando di una unitá in battaglia).

3. La giurisdizione

E’ bene premettere che l’accesso alla tutela giuridsizionale è consentito solo agli uomini in possesso di Sharaf, i quali possono agire come sostituti processuali per le donne e per gli uomini privi di Sharaf. In molti, ma non in tutti, i sistemi di giustizia tribale vi sono limitazioni in ordine alla capacitá di partecipazione processuale delle donne. In alcuni sistemi, infatti, esse non possono deporre quali testimoni e in altri la citazione a prova contraria della testimonianza di un uomo necessita la testimonianza di tre donne.

La giuridsizione tribale si sviluppa su vari gradi di appello. Anche in questo caso si deve premettere che non solo l’accesso ai vari gradi non è rigidamente definito (essendo, ad es. possibile accedere ad una corte di “secondo livello” per saltum del “primo livello”), ma nemmeno i gradi stessi sono definiti ed uguali per tutte le tribú dell’area.

3.1. Il primo livello

Con riferimento a controversie di natura civilistica e penalistica di limitata importanza e avvenuti all’interno della “casa” si ricorre ad una risoluzione di natura estremamente informale. Piccoli furti, truffe, insolvenze contrattuali, inguirie, garanzie sulla proprietá di piccoli beni o bestiame e cosí via sono risolte direttamente a mezzo di arbitrato tra capi famiglia o anziani del villaggio.

3.2. Il secondo livello

Corte Orfi. Si tratta del secondo livello di giustiza, ma del primo avente natura formale. Viene attivato in caso di piccola controversia (v. supra), con controparti esterne alla medesima “casa”. Normalmente la causa (civile o penale) è decisa da un giudice monocratico (muktar) che peró non effettua indagini o istruzione probatoria, ma agisce come mediatore.

3.3. Il terzo livello

Primo grado di appello, generalmente accettato nel nord del MERV, è il Ghadi. Trattasi si un tribunale composto da tre giudici, cui è possibile appellare le sentenze dell’Orfi. Alternativamente è possibile ricorrere al capo-tribú, la cui decisione è, peró, poi inappellabile.

3.4. Il quarto livello

Livello piú alto, non sempre accettato, è il Manshaad (in altre zone Armilat). Consiste in un tribunale di composizione variabile, ma pari o superiore a cinque giudici (cui si aggiungono esperti in materia islamica), che giudica le sentenze del Ghadi.

Si noti che ogni processo tribale (civile e penale) puó essere generalmente paralizzato da un accordo transattivo tra le parti. Non esistendo l’azione d’ufficio, infatti, la materia del contendere è sempre pienamete lasciata nella disponibilitá delle parti.

Tradizionalmente i beduini, trattandosi di popolazione nomade, non concepiscono la carcerazione come forma di pena. I crimini bagatellari, dunque, sono sanzionati tipicamente con ammende (in danaro o in bestiame), mentre i crimini piú gravi con pene di natura corporale o capitale.

È, altresí, interessante sottilineare la presenza di una responsabilitá di natura societaria anche per i crimini: la tribú nel suo compesso, generalmente, è ritenuta responsabile in via secondaria delle azioni dei suoi membri. Ció vale sia per la sanzione pecunaria (la tribú è obbligata in caso di insolveza del colpevole), sia per la sanzione corporale, originando la c.d. faida di sangue.

4. La faida di sangue

Le faide di sangue sono rigidamente definite da protocolli tribali. Tuttavia essi sono assai vari, giacchè ogni casa normalmente dispone di un proprio protocollo. Principio alla base della faida di sangue è la norma tribale consuetudinaria secondo cui “il sangue reclama sangue” (dum butlab dum). Nella quasi totalitá dei casi, presupposto della faida di sangue è un ingiusto omicidio[7]. In seguito a questo ed all’impossibilitá di giungere ad un accordo transattivo, è possibile reclamare la faida di sangue, che normalmente esclude l’accesso alla giuridsizione. In seguito al questo proclama del capo della casa, su tutti coloro che hanno legame di sangue con la vittima (fino ai cugini di primo grado) grava l’obbligo di cercare ed uccidere l’omicida. In talune remote e poche realtá tribali è consentita l’uccisione di un parente maschio del colpevole, in caso di impossibilitá di reperire quest’ultimo. Questa azione, definita “omicidio riparatore” non puó, in linea di massima, dare origine ad una seconda faida di sangue. Tuttavia la tribú cui appartengono gli esecutori dell’omicidio riparatore sono onerati da un risarcimento danni di natura economica. In caso di insolvenza puó attivarsi una seconda faida di sangue.

5. L’ordalia

Infine conviene accennare al procedimento ordalistico che, sebbene praticato da una minoranza di realtá tribali situate in zone assai remote, è comunque parte integrante della normativa tribale.

Il concetto alla base di questo procedimento è che Allah[8] è supermo giudice e testimone di ogni atto e pensiero umano. Pertanto Egli è superiore ad ogni giudice terreno ed il fedele puó ricorrervi in caso voglia ricusare il giudice. All’ordalia puó ricorrere anche il giudice, in mancanza di testimoni.

Il procedimento di ricorso per ordalia prevede che il richiedente, anche al di fuori del contesto processuale[9], di fronte a tre testimoni uomini[10] con la mano sinistra sul cuore, la mano destra sollevata chiusa a pugno con l’indice che indica il cielo richieda formalmente un processo, ad es., per combattimento.

Il metodo ordalistico più utilizzato è il bisha’a e segue un rituale antichissimo, che si svolge in luogo pubblico. Le parti giungono nella piazza centrale del villaggio, accompagnate dalle donne in preghiera. Giunti sul luogo stabilito, le parti prendono il the assieme e, successivamente, la prova ha inizio.

Entrambe le parti narrano al pubblico la loro versione dei fatti ad alta voce “per farsi udire in cielo” e possono essere interrogati da colui che presiede la cerimonia (mubesha). Al termine delle dichiarazioni delle parti, il mubesha inizia a rendere “caldo[11] un oggetto metellico (tassa bil basha, solitamente un cucchiaio), mentre le parti sono tenute a giurare davanti ad Allah che questo rituale terminerá la questione, rinunciando ad ogni appello[12]. A questo punto il mubesha passa l’oggetto caldo all’accusato, che deve leccarlo tre volte. Quindi gli viene portata dell’acqua fredda e successivamente il mubesha gli ispeziona la lingua: ove questa sia “bruciata o sfregiata”, ció è indice che essa è stata utilizzata per mentire, dunque Allah ritiene colpevole l’imputato.

Caduti ormai in disuso, ma ancora previsti dalle leggi tribali, sono i processi per combattimento, per immersione legati in acqua e per avvelenamento.

 

Note

[1] Tra persone di genere diverso, restando punita penalmente ogni unione di natura omosessuale.
[2] Legge sullo status personale n. 59/1953, come modificata dalla l. n. 34/1975.
[3] Titolari passive dell’obbligazione risarcitoria sono i capi famiglia della donna offesa.
[4] In termini di offerta di un “luogo coperto di rifugio” e di “sostentamento per alcuni giorni”.
[5] Ad esempio ai fini di disciplinare i membri della propria famiglia.
[6] Ponendo il soggetto nello stato, di gravitá crescente, di disonorato (‘an) o vergognoso (‘ayabca) o indesiderato (dlala’). I primi due status comportano gravi limitazioni nella partecipazione alla vita sociale. L’ultimo comporta l’espulsione dal gruppo tribale, che, per i nomadi, equivale sostanzialmente alla morte, poichè il colpevole è abbandonato da solo nel deserto.
[7] Ingiusto è un omicidio condotto, ad es., al di fuori di una battaglia, in seguito ad una falsa accusa, compiuto per prendere il potere o compiuto su una donna appena violentata per non doverla sposare.
[8] O alter divinitá, essendo questo procedimento nato in period pre-islamico.
[9] Ma questo non vale nel caso il richiedente sia il giudice.
[10] O un uomo e sei donne.
[11] In alcune tribú è richiesto “rovente”.
[12] Anche in mancanza di questo giuramento ogni appello resta impossibile, poichè Allah è estremo giudice.