La responsabilità da reato della persona giuridica e la costituzione di parte civile contro l´ente
Modifica paginaE´ ammissibile la costituzione di parte civile direttamente nei riguardi dell´ente imputato ex d.lgs. 231 del 2001?
Sommario: 1. Introduzione - 2. Natura giuridica della responsabilità da reato dell'ente - 2.1 Tesi della natura amministrativa della responsabilità da reato dell'ente - 2.2 Tesi della natura penale della responsabilità da reato dell'ente - 2.3 La responsabilità da reato dell'ente quale tertium genus di responsabilità - 3. Gli orientamenti giurisprudenziali sulla natura della responsabilità da reato dell'ente - 4. Il problema dell'ammissibilità della costituzione di parte civile nel giudizio a carico dell'ente - 5. Cass. Sez. VI, 22 gennaio 2011, n. 2251: inammissibile la costituzione di parte civile nei riguardi dell'ente - 6. Interviene la Corte di Giustizia - 7. Corte Cost. 218/2014 sulla citazione dell'ente quale responsabile civile - 8. Il contrordine della giurisprudenza di merito: il caso Ilva - 9.L’inammissibilità della costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti del “MOSE” di Venezia (GUP Venezia, ord. 27 settembre 2017) - 10. Riflessioni conclusive
1. Introduzione
Con il D.lgs. 231/2001 il legislatore, superando il principio "societas delinquere non potest"[1], ha introdotto un complesso di norme sostanziali e processuali in tema di responsabilità da reato degli enti[2].
La ratio ispiratrice del decreto in esame risiede nella necessità di apprestare una più adeguata ed efficace risposta sanzionatoria al fenomeno della criminalità d'impresa: in particolare, in considerazione della sempre crescente complessità organizzativa della realtà d'impresa e della progressiva spersonalizzazione della stessa, è apparso inadeguato un modello sanzionatorio relativo alla sola persona fisica, specie per la riscontrata difficoltà di identificare gli ideatori ed esecutori materiali dei reati, beneficiari delle loro conseguenze favorevoli.
La risposta al fenomeno della criminalità d'impresa si articola, dunque, secondo il contenuto del decreto, non solo mediante un poderoso apparato sanzionatorio (artt. 9 e 10 d.lgs. 231/2001), ma anche e soprattutto sulla base di meccanismi premiali volti ad incentivare la rimozione, da parte dell'impresa risultata colpevole, delle conseguenze dannose dei reati (artt. 12 e 17 d.lgs. 231/2001). Del resto, il legislatore ha inteso non solo identificare e quindi imputare una eventuale responsabilità all'ente, ma, ancor prima, prevenire la commissione di illeciti; in tal senso si spiega l'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella della persona fisica autrice del reato presupposto (art. 8 d.lgs. 231/2001), la quale comporta che l'ente sia chiamato a rispondere del reato anche quando il suo autore non sia stato identificato o non sia imputabile, nonché quando si sia estinto il reato a carico della persona fisica per una causa diversa dall'amnistia. Tale autonomia, in sostanza, discende proprio dalla necessità di evitare quella che, nella realtà dei fatti, si configurava come una sostanziale impunità per il reato conseguente alle difficoltà di individuazione dei suoi responsabili, che potrebbero trarre giovamento dallo schermo della persona giuridica.
2. Natura giuridica della responsabilità da reato dell'ente
Malgrado il legislatore abbia, in più punti della legge, espressamente qualificato la responsabilità dell'ente come di natura amministrativa, dubbi sono sorti soprattutto in dottrina, ma anche in giurisprudenza sulla natura della responsabilità da reato degli enti, questione dai sicuri risvolti pratici, specie in punto di garanzie e principi applicabili.
2.1 Tesi della natura amministrativa della responsabilità da reato dell'ente
A favore della natura amministrativa di tale tipologia di responsabilità depone, innanzitutto, il dato letterale. Infatti, come detto, lo stesso legislatore, in apertura del Capo I del d.lgs. 231/2001, espressamente qualifica la responsabilità dell'ente come "amministrativa"[3]. A favore di tale opzione ermeneutica, del resto, si fa notare l'art. 22 d.lgs. 231/2001 che detta un regime relativo alla prescrizione del reato che, analogamente a quello previsto per gli illeciti amministrativi dall'art. 28 d.lgs. 689/1981, contempla un unico termine (cinque anni) per tutti i reati presupposto. Si ritiene altresì che la disciplina in tema di vicende modificative dell'ente, dettata agli artt. 28-30 d.lgs. 231/2001 e di stampo prettamente civilistico, risulti poco compatibile con un modello di responsabilità di carattere penale[4].
2.2 Tesi della natura penale della responsabilità da reato dell'ente
Secondo altri, la responsabilità disciplinata dal d.lgs. 231/2001 ha natura penale. A sostegno di tale interpretazione depongono una serie di non meno importanti argomentazioni: innanzitutto, il legislatore ha espressamente previsto i principi di legalità e successione delle leggi penali nel tempo anche per tale forma di responsabilità (artt. 2 e 3 d.lgs. 231/2001); per di più, ha imposto la competenza del giudice penale (art. 36 d.lgs. 231/2001)[5]. A favore della tesi della natura penale dell’illecito, è stato segnalato, inoltre, come, a dispetto della lettera della norma, il legislatore avrebbe conferito a questa nuova tipologia di illeciti una struttura tipicamente criminale (tra gli elementi costitutivi del fatto tipico compare, infatti, la commissione di almeno uno dei reati del ‘catalogo’ del d.lgs. 231/01), nonché sanzioni punitive dai tipicamente caratteri penali, applicate dal giudice su richiesta del pubblico ministero, e dunque dagli organi istituzionalmente preposti all’applicazione del diritto penale[6]. Inoltre, una parte della dottrina evidenzia come il legislatore del 2001, nella costruzione degli illeciti dell’ente, abbia fatto ricorso a categorie tipiche del diritto penale: la riserva di legge, la successione di leggi nel tempo, la personalità della responsabilità, l’attribuibilità della condotta sotto il profilo oggettivo e soggettivo. E proprio il profilo dell’attribuibilità psicologica della condotta, in quanto definita agli artt. 5 e 6 del d.lgs. 231/01 sul modello della suitas penalistica (art. 42 c.p.), costituirebbe un significativo indizio di come il legislatore del 2001 avesse nel proprio orizzonte il modello penalistico piuttosto che quello amministrativo di responsabilità[7].
2.3 La responsabilità da reato dell'ente quale tertium genus di responsabilità
Le evidenziate peculiarità della disciplina dettata dal d.lgs. 231/2001 e l'ambivalenza di alcune norme in esso contenute portano alcuni ad affermare che ci si trovi dinanzi ad un sottosistema autonomo di responsabilità, tendenzialmente autosufficiente e non riconducibile ai tradizionali paradigmi né dell'illecito penale né dell'illecito amministrativo tout court. La responsabilità da reato degli enti andrebbe, di conseguenza, inquadrata nell'ambito di un tertium genus, per usare le parole dello stesso legislatore delegato[8]. Si tratterebbe di una forma di responsabilità a mezza via tra la responsabilità amministrativa e quella penale[9].
Tale soluzione è da preferire in quanto, se, per un verso, consente di estendere a questo tipo di responsabilità le garanzie previste dai principi costituzionali in materia penale (specie il principio di legalità), per altro verso, permette di spiegare quei profili di disciplina apparentemente incompatibili con il sistema penale[10]. Quello dell’illecito dell’ente, in definitiva, pare proprio costituire un nuovo genus di illecito, non del tutto coincidente né con la responsabilità amministrativa disciplinata in via generale dalla l. 689/1981, né con la responsabilità penale vera e propria, che continua ad essere pensata per le persone fisiche, che ne sono i naturali e tradizionali destinatari[11].
3. Gli orientamenti giurisprudenziali sulla natura della responsabilità da reato dell'ente
Anche in giurisprudenza non si registra un orientamento univoco: a fronte di sentenze che qualificano come amministrativa la responsabilità degli enti[12], altre, invece, definiscono questa responsabilità come penale[13]; in altre ancora, poi, viene accolto l'orientamento di una parte della dottrina, secondo cui si tratta di un tertium genus di responsabilità[14]. La natura mista della responsabilità delineata dal d.lgs. 231/2001 è stata, del resto, recentemente sostenuta dalle Sezioni Unite[15] che, pronunciandosi in relazione al noto caso Thyssen Krupp, hanno inquadrato tale responsabilità nell'ambito di un tertium genus, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza[16]. La Corte di Giustizia dell'UE[17], poi, prendendo posizione proprio sulla controversa questione dell'ammissibilità della costituzione di parte civile nel giudizio a carico dell'ente, ha espressamente qualificato come amministrativa la responsabilità da reato degli enti e, discostandosi dall'opinione della Suprema Corte di Cassazione[18], ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile nel giudizio a carico dell'ente. La Corte di Lussemburgo ha, infatti, evidenziato che la responsabilità dell'ente come delineata dal d.lgs. 231/2001 è di natura amministrativa e tale è qualificata dallo stesso legislatore. Si tratta, inoltre, di una responsabilità autonoma e sussidiaria.
4. Il problema dell'ammissibilità della costituzione di parte civile nel giudizio a carico dell'ente
Nel silenzio del d.lgs. 231/2001, è da tempo discusso se, nel processo penale azionato per accertare la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie, possa ammettersi la costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente. Il controverso tema dell'ammissibilità della costituzione di parte civile nel giudizio a carico dell'ente è strettamente connesso alla precisa individuazione della natura giuridica della responsabilità delineata dal d.lgs. 231/2001. La questione si è dunque intrecciata con quella della natura giuridica della responsabilità dell'ente, non essendo mancato chi ha optato per l’ammissibilità della costituzione di parte civile ovvero l’ha esclusa muovendo dai diversi assunti della natura penale ovvero amministrativa dell’illecito di cui è chiamato a rispondere l’ente ex d.lgs. n. 231 del 2001. Altra parte della dottrina e della giurisprudenza ha tuttavia riconosciuto al tema relativo all’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente dignità autonoma rispetto a quello della natura penale o amministrativa della responsabilità dello stesso ente, pervenendo a riconoscere ovvero ad escludere la costituzione sulla scorta di argomenti diversi da quelli poggianti sulla qualificazione, penale o amministrativa, dell’illecito contestato all’ente.
Volendo, dunque, provare a ripercorrere e sintetizzare le tappe che hanno caratterizzato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito, emergono sostanzialmente tre impostazioni.
Le prime posizioni hanno posto come fondamenta ai propri assunti la natura giuridica della responsabilità dell’ente. Per quanti, infatti, qualificano come amministrativa la natura della responsabilità rimane ineludibilmente esclusa l'ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente proposta contro l’ente. Secondo questa impostazione, atteso che le norme di cui agli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. subordinano l’azione civile in sede penale all’esistenza di un reato formalmente inteso, rimane preclusa l'operatività dell’istituto della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente.
Di diverso avviso quanti, invece, riconoscono natura penale alla responsabilità dell’ente considerando quest’ultimo “colpevole” alla stregua delle persone fisiche autori del reato commesso a vantaggio o nell’interesse dell’ente stesso.
E' prevalso, infine, sia in giurisprudenza sia in dottrina un orientamento negativo per molteplici ragioni: da un lato, il reato di cui l'ente è chiamato a rispondere non produce danni diversi e ulteriori rispetto a quelli che deriverebbero dal reato presupposto, per i quali l'ente potrebbe risultare responsabile civile ai sensi dell'art. 2049 c.c.; dall'altro lato, la disciplina del codice di procedura penale sulla costituzione di parte civile non è applicabile in via analogica. Secondo questa tesi, infatti, la mancata regolamentazione dell'istituto in esame non è frutto di una mera dimenticanza ma di una consapevole scelta del legislatore[19].
5. Cass. Sez. VI, 22 gennaio 2011, n. 2251: inammissibile la costituzione di parte civile nei riguardi dell'ente
Sulla delicata questione è intervenuta la Cassazione, che, all’esito di un articolato percorso argomentativo, ha optato per la tesi della inammissibilità della costituzione di parte civile proposta nei confronti dell’ente[20]. I giudici della Sesta Sezione intervengono sulla dibattuta questione relativa all’ammissibilità, nel processo penale azionato per accertare la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie delineata dal d. lgs. n. 231/2001, di una costituzione di parte civile proposta direttamente nei confronti dell’ente. Nel concludere per l’inammissibilità prendono in esame pressoché tutte le posizioni finora emerse nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale svoltosi al riguardo. La Corte, pur dando atto della possibile interferenza tra il tema della ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente e quello, da tempo al centro del dibattito, relativo alla natura giuridica dell’illecito di cui lo stesso ente risponde ex d.lgs. n. 231 del 2001, sostengono che la prima questione assume connotazione autonoma[21]. Al riguardo, i giudici di legittimità rimarcano l’assenza, nella disciplina dettata dal d.lgs. 231 del 2001, di ogni riferimento espresso alla parte civile; tale assenza non è frutto di una mera dimenticanza, ma, al contrario, è una “scelta consapevole del legislatore, che ha voluto operare, intenzionalmente, una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica: la parte civile non è menzionata nella sezione II del capo III del decreto dedicata ai soggetti del procedimento a carico dell'ente, né ad essa si fa alcun accenno nella disciplina relativa alle indagini preliminari, all'udienza preliminare, ai procedimenti speciali, alle impugnazioni ovvero nelle disposizioni sulla sentenza, istituti che, invece, nei rispettivi moduli previsti nel codice di procedura penale contengono importanti disposizioni sulla parte civile e sulla persona offesa”[22]. Secondo la Corte, anzi, il decreto in parola contiene dati specifici che confermano la volontà di escludere questo soggetto dal processo[23].
E tuttavia, il quadro normativo offerto dal d.lgs. n. 231 del 2001 non è così inequivoco sul punto. Invero, se da un lato, il d.lgs. n. 231/2001 nulla prevede espressamente quanto all'istituto in questione, dall'altro, gli artt. 34 e 35 dello stesso decreto richiamano "in quanto compatibili" le disposizioni del codice di procedura penale e quelle processuali relative all'imputato. La valorizzazione di questo dato, almeno in astratto, sembrerebbe rendere possibile l'estensione della disciplina codicistica, prevista per la costituzione di parte civile, anche al processo a carico degli enti[24].
6. Interviene la Corte di Giustizia
La mancata previsione, da parte del d.lgs. 231/2001, della possibilità di costituirsi parte civile nel procedimento contro l'ente è stata ritenuta compatibile con il diritto dell'Unione Europea e, in segnatamente, con quelle disposizioni che tutelano la vittima del reato dalla Corte di giustizia dell'UE [25]. Quest’ultima, sollecitata da un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Firenze, ha affermato che l’illecito previsto dal d.lgs. 231/2001 è reato distinto che non presenta alcun nesso causale diretto con i pregiudizi cagionati dal reato commesso dalla persona fisica. La responsabilità dell’ente è qualificata dalla Corte di Lussemburgo come amministrativa, indiretta e sussidiaria e, pertanto, nell’ambito del processo penale a carico della persona fisica, è possibile la costituzione di parte civile contro l’autore del reato presupposto, nonché la chiamata dell’ente come responsabile civile per il reato della persona fisica. Non si pone quindi un contrasto tra la normativa italiana e quella comunitaria, atteso che la prima riconosce e garantisce al soggetto danneggiato dal reato il diritto al risarcimento del danno a carico dell’autore del reato. La persona danneggiata dal reato, in conclusione, non subisce un vulnus di tutela in quanto può azionare la tutela risarcitoria sia direttamente contro l’ente sia costituendosi parte civile contro la persona fisica autrice del reato nel processo penale a suo carico e, in tale sede, chiamando come responsabile civile l’ente il cui soggetto è imputato del reato presupposto.
7. Corte Cost. 218/2014 sulla citazione dell'ente quale responsabile civile
Non può non richiamarsi altresì la pronuncia della Corte Costituzionale che, con sentenza del 18 luglio 2014 n. 218, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 c.p.p. e del d.lgs. 231/2001 sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. [26]. La Consulta ha ribadito in modo chiaro e inequivocabile ciò che già la Corte di Cassazione e la Corte di Giustizia avevano affermato. Nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001, l’illecito ascrivibile all’ente costituisce una fattispecie complessa e non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica. L’ente non può considerarsi coimputato dell’autore del reato essendo ad essi ascritti due distinti illeciti, strutturalmente diversi. Conseguenza immediata e diretta è che la disposizione dell’art. 83 co 1 c.p.p. non costituisce un impedimento alla citazione dell’ente come responsabile civile.
L'aver chiarito che la limitazione dell'art. 83 comma 1 c.p.p. non trova applicazione alle persone giuridiche imputate ex d.Lgs 231/2001 compensa l'impossibilità di costituirsi parte civile nei loro confronti e completa un quadro che, altrimenti, sarebbe stato inaccettabilmente squilibrato in danno della vittima il cui problema, in concreto, è quello di poter ottenere ristoro attraverso il pagamento di somme, talvolta anche molto consistenti, cui, evidentemente, solo la società per cui lavora l'autore del reato può ragionevolmente far fronte.
In conclusione, con la pronuncia in commento la Consulta ha chiarito, una volta per tutte, l'ammissibilità in sede penale dell'azione civile indiretta - tramite lo strumento della citazione del responsabile civile - contro la società coinvolta in un procedimento ai sensi del d. lgs. 231/2001, con una duplice conseguenza: che, in caso di procedimento penale che coinvolga la società e i suoi dipendenti, sia sempre riconosciuta alla persona offesa la tutela del suo diritto al risarcimento danni anche nei confronti dell'ente; ma che, viceversa, nel caso in cui il procedimento non coinvolga alcun imputato persona fisica, la persona offesa resti ingiustificatamente discriminata, posto che l'attuale interpretazione maggioritaria della normativa in esame non le riconosce azione civile diretta contro l'ente imputato[27].
8. Il contrordine della giurisprudenza di merito: il caso Ilva
Pertanto, grazie all’intervento dei supremi organi giurisdizionali, nazionali e sovranazionali, la controversia in merito all'ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell'ente responsabile ex d.lgs. 231/2001 pareva aver raggiunto un epilogo.
Tuttavia, il punto di equilibrio così faticosamente raggiunto è stato sorprendentemente rimesso in discussione da una recente pronuncia, resa nel celebre processo relativo al caso Ilva di Taranto.
Come anticipato in premessa, le granitiche certezze degli interpreti, consolidatesi a seguito delle autorevoli pronunce poco sopra esaminate, hanno subìto un inaspettato ridimensionamento nell’ambito della vicenda giudiziaria relativa al caso Ilva. In una recente ordinanza resa nel processo “Ambiente svenduto”, che vede imputate, accanto alle numerose persone fisiche, anche le tre società del gruppo – Riva FIRE s.p.a. (oggi Partecipazioni industriali s.p.a.), Ilva s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a. – la Corte di Assise di Taranto, con un'importante inversione di tendenza rispetto alla giurisprudenza e alla dottrina maggioritarie, ha ammesso le richieste di costituzione di parte civile presentate nei confronti delle predette persone giuridiche. Nel dettaglio, il giudice tarantino si sofferma anzitutto sulla Relazione ministeriale al decreto, la quale esplicitamente colloca la responsabilità dell’ente nella casella classificatoria del tertium genus, riconoscendo, altresì, che la disciplina dell’art. 8 d.lgs. 231/2001 individua in capo all’ente un titolo autonomo di responsabilità che presuppone, in ogni caso, la commissione di un reato.
Secondo il giudice tarantino, se "il legislatore non ha espressamente disciplinato l’azione di responsabilità civile nei confronti dell’ente che si ritiene responsabile a norma del D.Lgs. 231/2001 in quanto non ha inteso adeguarsi alla delega che, appunto, individua un criterio peggiorativo e diverso rispetto a quello, invece, stabilito dalle regole del codice di procedura penale che, a loro volta, richiamano espressamente quelle del codice penale", d’altro canto, il legislatore non è rimasto silente sul tema, "ma ha espressamente individuato un sistema di rinvio ricettizio alle disposizioni generali sul procedimento in base a quanto disposto dagli art 34 e 35 del citato D.Lgs. 231/2001". Pertanto, il legislatore del 2001 ha riconosciuto l’ammissibilità della pretesa risarcitoria del danneggiato nella misura in cui, rifiutandosi di dare attuazione ai principi espressi in materia dalla legge delega – in quanto ritenuti suscettibili di generare pesanti ricadute sulla vita dell’ente – ha evitato di adottare una disciplina “speciale” relativa alla costituzione di parte civile, per così dire in malam partem, tenendo ferma, mediante il combinato disposto degli articoli 34 e 35, la disciplina “generale” del codice di procedura penale, senz’altro più favorevole.
Il punto saliente dell’ordinanza in commento pare il tentativo della corte tarantina di collegare la legittimazione della parte civile a una lettura sistematica della normativa sulla responsabilità dell’ente, in particolare facendo perno sulla differenza tra la disciplina codicistica della parte civile (considerata esportabile nell'ambito del d.lgs. 231/2001) e la disciplina “in deroga” che la legge delega aveva ipotizzato (rigettata in sede di redazione del decreto).
Questa lettura è apparsa senz’altro innovativa[28] ed ha rivitalizzato un dibattito che sembrava esaurito, a riprova della circostanza che il tema non è scomparso dall'attenzione della giurisprudenza.
Occorrerà, allora, valutare se l’ordinanza in commento rappresenti un sussulto isolato della giurisprudenza di merito, giustificabile alla luce degli interessi - in particolare, salute pubblica e sicurezza sui luoghi di lavoro- incisi dalla specifica vicenda relativa al caso Ilva ovvero se costituisca la prima incrinatura di una più ampia breccia che emergerà nella futura prassi del processo agli enti.
9. L’inammissibilità della costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti del “MOSE” di Venezia (GUP Venezia, ord. 27 settembre 2017)
La pronuncia della Corte d'Assise di Taranto è rimasta, allo stato, un caso isolato.
Infatti, il G.u.p. presso il Tribunale di Venezia, accogliendo la richiesta formulata dalle difese di alcuni enti imputati ai sensi del d.lgs. n. 231/01 nell’ambito del noto procedimento “MOSE” , ha rigettato la richiesta di costituzione di parte civile nei confronti dei predetti enti imputati[20].
Il G.u.p. veneziano procede ad esaminare i diversi approdi giurisprudenziali di segno contrario all’ammissibilità della costituzione di parte civile. In particolare, dopo aver riconosciuto di concordare con le difese degli enti pubblici in merito al fatto che la sentenza C-79/11 del 12 luglio 2012 della Corte di Giustizia non escluderebbe espressamente l’ammissibilità dell’istituto nel sistema processuale a carico degli enti, afferma che tale circostanza non sarebbe comunque dirimente, poiché con tale pronuncia i Giudici di Lussemburgo si sono limitati a riconoscere la compatibilità del d.lgs. 231/01 con l’art. 9 della Decisione Quadro 2001/220/GAI nella misura in cui al danneggiato e alla persona offesa sarebbe sempre concessa la possibilità di esercitare l’azione civile nei confronti della persona fisica responsabile del reato presupposto.
Entrando nel merito della questione, il G.u.p. di Venezia afferma che non si può non concordare sul fatto che sarebbe da respingersi in toto la tesi per la quale l’art. 34 d.lgs. n. 231/2001 costituirebbe la norma attraverso cui far entrare nel sistema del procedimento a carico degli enti l’istituto della costituzione di parte civile. Sul punto, infatti, l’ordinanza afferma che non sarebbe superabile quanto affermato dalla Sezione VI della Cassazione con la sentenza n. 2251/2010, la quale “lascerebbe poco spazio ai dubbi, affrontando e risolvendo molte delle problematiche interpretative”.
Pertanto, secondo il giudice veneziano, tale evidenza non può che condurre a ritenere inammissibile la costituzione di parte civile nei confronti degli enti imputati ex d.lgs. n. 231/01, e, nel caso di specie, all’estromissione dell’ente pubblico quale parte civile.
10. Riflessioni conclusive
La soluzione al quesito dell'ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei riguardi dell'ente non può prescindere – a sommesso parere di chi scrive – da una adeguata valutazione dei risvolti pratici che una eventuale ammissione della parte civile determinerebbe.
A tal proposito, occorre considerare che non pare dubbio che il titolo costitutivo della responsabilità dell’ente sia un fatto autonomo, proprio dell’ente e ancorato ad un peculiare coefficiente di colpevolezza, la cosiddetta colpa di organizzazione, intesa, tuttavia, non nella sua accezione psicologica (come, invece, accade per le persone fisiche), ma quale possibilità di muovere all’ente un rimprovero coerente rispetto alla sua organizzazione e struttura interna.
Dunque, indipendentemente dalla minore o maggiore rilevanza degli argomenti che i contrapposti orientamenti spendono, sembrerebbe una ragione eminentemente pratica a far prevalere un atteggiamento di chiusura verso la parte civile.
Invero, ammettendo nel processo a carico dell’ente la costituzione della parte civile, si profilerebbe un concreto rischio di duplicazione delle poste risarcitorie con conseguente moltiplicazione delle voci di danno e surrettizia applicazione nei confronti dell’ente di punitive damages.
E' anche vero, tuttavia, che recentemente la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che non sono incompatibili con l'ordinamento interno i danni punitivi[30]. Ciò, tuttavia, come precisa la stessa Corte, “non significa che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati"[31].
Come noto, infatti, ogni prestazione personale esige una “intermediazione legislativa” in ossequio al principio di riserva di legge stabilito dall’art. 23 della Costituzione e, dunque, nel sistema italiano la condanna al pagamento di una somma ulteriore a quella strettamente necessaria per ristabilire lo status quo ante (risarcimento punitivo) è configurabile solo e soltanto se vi è una norma ad hoc che, nella fattispecie, lo prevede[32].
Aderendo a tale impostazione giurisprudenziale, mancando nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001 una espressa previsione normativa in proposito, dovrebbe concludersi per l'inammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei riguardi dell'ente, così da evitare indebite locupletazioni.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Principio presente nel diritto canonico. Nel giro di un decennio il panorama legislativo è dunque mutato radicalmente. Anche i paesi europei prevedono oggi, in larga maggioranza, la diretta responsabilità delle imprese; si tratta, perlopiù, di una responsabilità penale, autonoma rispetto a quella (eventuale) delle persone fisiche che agiscono per l'impresa.
[2] L'art. 1 primo comma D.lgs. 231/2001 esplicitamente assoggetta a responsabilità gli "enti", termine volutamente generico con cui il legislatore ha inteso riferirsi tanto ai soggetti privi di personalità giuridica quanto a quelli provvisti di personalità giuridica. Al co 2 dell'art. 1 D.lgs 231/2000 sono poi previste esplicitamente esclusioni di responsabilità giustificate, a detta di alcuni, dalla necessità di salvaguardare dalla responsabilità particolari tipi di enti che sovraintendono allo svolgimento della vita democratica e costituzionale.
[3] In epoca più recente, inoltre, la responsabilità degli enti è stata di nuovo definita esplicitamente “amministrativa” dal nostro legislatore, all’art. 10 della l. 146/06 sul crimine organizzato transnazionale.
[4] Secondo De Felice, La responsabilità da reato degli enti collettivi, 2002, p. 86, Il fatto, d’altra parte, che l’accertamento di tale responsabilità sia rimesso alla competenza del giudice penale (ex art. 36 d.lgs. 231/01) non apporta un reale contributo al dibattito sulla reale natura dell’illecito dell’ente. Anche l’art. 24 della l. 689/81, infatti, prevede che nei casi in cui vi sia una connessione obiettiva tra un reato e un illecito amministrativo, il giudice penale sia competente a conoscere di entrambi gli illeciti e ad applicare le rispettive sanzioni: ma ciò non ha mai suggerito l’idea che in tali casi l’illecito amministrativo muti natura.
[5] Anche se tale argomentazione è sminuita dai fautori della tesi della responsabilità amministrativa i quali sottolineano come anche in materia di responsabilità amministrativa è prevista la competenza del giudice penale (art. 24 d.lgs. 689/1981).
[6] T. Padovani, Diritto penale, 2008 p. 91; Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale, 2008, p.30.
[7] M.Panasiti, Spunti di riflessione sulla legittimazione passiva dell’ente nell’azione civile di risarcimento esercitabile nel procedimento penale, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2007, p. 95.
[8] Lo stesso legislatore delegato, d’altra parte, aveva parlato nella relazione al decreto della “nascita di un tertium genus di responsabilità che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia”.
[9] In tal senso M. SANTISE, F. ZUNICA, Coordinate ermeneutiche di diritto penale, II edizione, Giappichelli, Napoli, 2016, p. 652.
[10] Così M. SANTISE, F. ZUNICA, op. cit., p. 652.
[11] La correttezza di tale interpretazione trova ulteriore conforto in quella parte della dottrina che, pur dichiarandosi poco favorevole all’uso dell’espressione ‘tertium genus’, opta in ogni caso per una classificazione autonoma tanto dal diritto amministrativo quanto dal diritto penale della nuova disciplina, indicandola con la formula, “dogmaticamente neutra” per sua stessa ammissione, di “responsabilità da reato”.
[12] Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2011, n. 34476.
[13] Cass., Sez. II, 20 dicembre 2005, n. 3615; Cass., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20936; Cass., Sez. VI, 30 marzo 2004 n. 18941.
[14] Cass., Sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735 e Cass., Sez. VI, 9 luglio 2009, n. 36083.
[15] Cass., Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssen Krupp.
[16] In particolare, la Suprema Corte, trattando della responsabilità da condotte tenute da coloro che rivestono un ruolo apicale all'interno degli enti, ha ribadito che l'onere di dimostrare l'esistenza dell'illecito dell'ente grava sull'organo della pubblica accusa, mentre all'ente incombe dimostrare, con efficacia liberatoria, l'adozione e l'efficace attuazione, prima del fatto di reato, di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire e reprimere reati della stessa specie di quello verificatosi.
[17] Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Sez. II, 12 luglio 2012, Giovanardi C-79/11.
[18] Cass., 5 ottobre 2010, n. 2251.
[19] Così Cass., Sez. VI, 22 gennaio 2011, n. 2251 che si esaminerà infra.
[20] Cass., Sez. VI, 22 gennaio 2011, n. 2251.
[21] Nel dettaglio, sostiene la sesta Sezione che la soluzione al problema dell’ammissibilità di una costituzione di parte civile nei confronti dell’ente “può essere svincolata dal tema relativo alla definizione della tipologia della responsabilità da reato, che rischia di diventare una questione meramente nominalistica, per essere affrontata attraverso l'esame positivo dei contenuti della speciale normativa che disciplina il processo nei confronti degli enti, vagliandone la compatibilità con l'istituto codicistico della costituzione di parte civile".
[22] Cass., Sez. VI, 22 gennaio 2011, n. 2251.
[23] Da un lato, vi è l'art. 27 che nel disciplinare la responsabilità patrimoniale dell'ente la limita all'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria, senza fare alcuna menzione alle obbligazioni civili; dall'altro lato, appare particolarmente significativa la regolamentazione del sequestro conservativo, di cui all'art. 54. L'omologo istituto codicistico di cui all'art. 316 c.p.p. pone questa misura cautelare reale sia a tutela del pagamento della "pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario", sia delle "obbligazioni civili derivanti dal reato", in quest'ultimo caso attribuendo alla parte civile la possibilità di richiedere il sequestro; invece, il citato art. 54 d.lgs. 231/2001 limita il sequestro conservativo al solo scopo di assicurare il pagamento della sanzione pecuniaria (oltre che delle spese del procedimento e delle somme dovute all'erario), sequestro che può essere richiesto unicamente dal pubblico ministero. Anche qui il legislatore ha compiuto una scelta consapevole, escludendo la funzione di garantire le obbligazioni civili, funzione che, nella struttura della norma codicistica, presuppone la richiesta della parte civile”.
[24] Detto altrimenti, il richiamo contenuto nell’art. 34, d.lgs. n. 231 del 2001, può in ipotesi ricomprendere gli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p.
[25] Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Sez. II, 12 luglio 2012, Giovanardi C-79/11.
[26] Il GUP del Tribunale di Firenze aveva, infatti, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 codice di rito penale e del D.lgs. 231/2001 nella parte in cui “non prevedono espressamente e non permettono che le persone offese e vittime del reato non possano chiedere direttamente alle persone giuridiche ed agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stese persone giuridiche e gli enti siano chiamati a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti”.
[27] Rileva M. SALA, Ancora in tema di azione civile nel processo penale de societate: la Corte Costituzionale ammette la citazione dell'ente come responsabile civile, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 18 dicembre 2014: "a tal proposito, non si può non evidenziare che, nella maggioranza dei processi ex 231, gli imputati persone fisiche "spariscono" dal processo (perché il loro processo si estingue, ad es., per prescrizione) o "non sono mai esistiti" (perché, ad es. non sono mai stati identificati), fatto che comporta - in base all'interpretazione ad oggi prevalente - il mancato riconoscimento in sede penale dei diritti delle persone offese dal reato, nonostante la sussistenza del processo a carico dell'ente e nonostante la sua (eventuale) condanna.
La strada della responsabilità indiretta dell'ente, attraverso la sua citazione come responsabile civile, non risolve quindi che in maniera alquanto parziale il problema della tutela nel processo penale degli interessi delle persone offese nei confronti dell'ente; per evitare che la presenza o meno di coimputati persone fisiche risulti decisiva al fine di assicurare una tutela efficace di tali interessi, la strada non può che essere quella di un intervento legislativo, che arrivi finalmente a introdurre la possibilità della citazione diretta dell'ente imputato".
[28] Così M. RICCARDI, “Sussulti” giurisprudenziali in tema di costituzione di parte civile nel processo de societate: il caso Ilva riscopre un leitmotiv del processo 231, in GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2017, 4.
[29] Peraltro, prima di questa pronuncia già Trib. Milano, Sez. II, ord. 06.04.2017 aveva concluso nel senso della inammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell'ente. Nel caso specifico un istituto di credito, in relazione ai reati di cui agli articoli 2622 e 2638 C.C. e 185 TUF era chiamato a rispondere del relativo illecito amministrativo ai sensi del decreto legislativo 231/2001 e aveva definito la propria posizione all’interno del processo con sentenza di patteggiamento; ora pretendeva di costituirsi parte civile nel giudizio dibattimentale a carico degli asseriti autori dei fatti reato (suoi apicali, pare di capire, all’epoca dei fatti). Il Collegio milanese, richiamando il dato ermeneutico (Cass. Pen., Sez. VI, 06.02.2009 n. 19764; Gup Milano, ord. 09.07.2009), ha concluso per l’impossibilità per l’ente di costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico dei propri apicali. La ragione risiederebbe nell’assenza di legitimatio ad causam della persona collettiva, la quale concorrerebbe - con un fatto che si inquadra nel paradigma penalistico della responsabilità concorsuale- nel delitto c.d. “presupposto”, commesso da soggetti che abbiano agito per suo conto, a suo interesse o vantaggio e per sua inadeguatezza organizzativa a prevenire la commissione di reati del tipo di quello verificatosi. Ciò si sostanzierebbe in una vera e propria incompatibilità di posizioni per l’ente, il quale, in ordine al medesimo fatto criminoso, si troverebbe imputato ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001, da un lato, asseritamente danneggiato, dall’altro: “ […] Data la convergenza di responsabilità della persona fisica e di quella giuridica e avuto riguardo all’unicità del reato come “fatto” riferibile ad entrambe, deve trovare applicazione il principio solidaristico che informa lo schema concorsuale..”; pertanto, “..[…] nel caso in cui si ritenesse la esistenza di una sua legittimazione attiva alla costituzione di parte civile, l’ente finirebbe con il dolersi e pretendere il risarcimento da quei soggetti legittimati ad agire in nome e per suo conto che hanno posto in essere la condotta imputata anche a vantaggio e nell’interesse dell’ente medesimo nell’ambito di un rapporto criminale che l’ultima pronuncia della Suprema Corte sopra riportata ha definito sostanzialmente concorsuale nel medesimo reato”.
[30] Cass., Sez. Un. Civ., 5 luglio 2017 n. 16601. La Corte ha preso posizione su un argomento interessante e cioè se sia possibile, nel sistema italiano, prevedere il pagamento di una somma superiore a quella strettamente necessaria a reintegrare il danno, al precipuo fine di infliggere una pena al danneggiante. Secondo gli ermellini, deve essere superato il “carattere monofunzionale della responsabilità civile” costituito dalla finalità reintegratoria del risarcimento - per riportare il danneggiato allo status quo ante il danno - a cui fa riferimento l’impostazione classica. Accanto alla “preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria” si riconosce adesso una “natura polifunzionale che si proietta verso più aree”, tra cui le principali sono quella preventiva e quella sanzionatorio-punitiva: l’istituto dei risarcimenti puntivi “non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano”.
[31] Cass., Sez. Un. Civ., 5 luglio 2017 n. 16601.
[32] In altri termini i danni punitivi sono configurabili nell’ordinamento italiano ma, pur essendo riconosciuti dal sentire giuridico comune (tanto da trovare riconoscimento in alcune specifiche norme) non possono considerarsi immanenti al sistema della responsabilità civile di cui all'articolo 2043 c.c. e non trovano applicazione tout court, costituendo ancora un’eccezione che, in quanto tale, deve essere legittimata da una specifica previsione legislativa. Spetta al legislatore, pertanto, decidere in quali casi sia possibile configurare un risarcimento punitivo.