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Pubbl. Sab, 16 Dic 2017

La nuova legge sul biotestamento

Ilaria Valentino
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Napoli Federico II


Alcune brevi considerazioni sulla nuova legge approvata dal Parlamento sul biotestamento.


Giovedì 14 dicembre, con 180 voti a favore, 71 voti contrari e 6 astensioni, il Senato ha approvato - dopo mesi di ostruzionismo e decine di migliaia di emendamenti - la legge sul testamento biologico o biotestamento.

Giovedì 14 dicembre, con 180 voti a favore, 71 voti contrari e 6 astensioni, il Senato ha approvato - dopo mesi di ostruzionismo e decine di migliaia di emendamenti - la legge sul testamento biologico o biotestamento.

Il provvedimento affronta i temi del consenso informato: ne disciplina le modalità di espressione e di revoca, di legittimazione ad esprimerlo e a riceverlo e regola le condizioni con le quali il dichiarante illustra i propri orientamenti sul “fine vita” nell'ipotesi in cui sopravvenga una perdita irreversibile della sua capacità di intendere e di volere.

Il provvedimento, nello specifico, si compone di 6 articoli.

L’articolo 1 disciplina ed affronta le linee generali del consenso informato e prevede che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero della persona che intende avvalersene (tranne che, ovviamente, nei casi espressamente previsti dalla legge).

Inoltre, la relazione di fiducia tra paziente e medico, nella quale si incontrano la libera scelta del paziente e l’autonoma competenza professionale del medico - e che trova il suo presupposto e atto fondante proprio nel consenso informato[1], ex art. 32 Cost., confermato dalla L. 145/2001 - viene valorizzata e potenziata.

Viene così disciplinato il diritto all’informazione, qualificato come il diritto di ogni persona a conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e comprensibile circa la diagnosi, la prognosi, i benefici, i rischi, dei trattamenti sanitari indicati, nonchè delle alternative e delle conseguenze dell'eventuale rinuncia e/o rifiuto del trattamento sanitario. Viene anche sancito il diritto della persona a rifiutare di ricevere le informazioni ed il diritto di indicare tra i familiari una persona di sua fiducia che possa ricevere le informazioni in sua vece.

In questo modo, quindi, se il paziente lo desidera, vengono coinvolti nelle relazioni di cura anche i suoi familiari, o la parte dell’unione civile, ovvero il convivente, o una persona di sua fiducia.

Ad ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere viene riconosciuto il diritto di rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia, nonché quello di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporta l’interruzione del trattamento, comprese la nutrizione e l’idratazione artificiali.

Con una norma di garanzia viene stabilito, poi, che il rifiuto o la rinuncia al trattamento sanitario non possono comportare l’abbandono terapeutico. Così come al paziente è riconosciuto il diritto di abbandonare le terapie, al medico è riconosciuta -in maniera esente da ogni responsabilità civile e penale - l’obiezione di coscienza[2]: quindi non è previsto l’obbligo professionale di attuare la volontà del paziente. 

Tuttavia, è sempre assicurata l’erogazione delle cure palliative.

L'articolo 2 detta le regole per l’espressione del consenso da parte dei minori e degli incapaci. Per quanto attiene al minore, il consenso informato al trattamento sanitario è espresso o rifiutato da coloro che esercitano la responsabilità genitoriale o dal tutore, i quali dovranno tener conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, pur sempre tutelando e rispettando la salute psicofisica e la vita della persona.

Per l’interdetto il consenso è espresso o rifiutato dal tutore, il quale dovrà prima di tutto - ove possibile – consultarlo. Anche in questo caso, il tutore dovrà tener conto la tutela della salute psicofisica e la vita della persona.

Infine il consenso informato dell’inabilitato è espresso dal medesimo e dal curatore.

Viene poi previsto che -in assenza di biotestamento, qualora il rappresentante legale o l’amministratore di sostegno del minore, dell'interdetto, dell'inabilitato rifiuti le cure proposte in contrasto con il parere del medico che le ritenga appropriate e necessarie- la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata, o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.

L'articolo 3 prevede e disciplina le disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Queste vengono definite come “l’atto in cui ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere può, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”.

La cosiddetta “pianificazione condivisa delle cure” nella relazione tra medico e paziente di fronte all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante, viene definita mediante l’articolo 4. Il medico e/o l’equipe sanitaria sono tenuti ad attenersi a quanto stabilito nella pianificazione delle cure, qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità. La pianificazione può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia su richiesta del paziente o su suggerimento del medico.

All’articolo 5, viene prevista una norma transitoria, che sancisce che quanto previsto dalla legge sul testamento biologico si applica anche alle dichiarazioni di volontà già presentate e depositate. Recita, infatti, l’articolo: “Ai documenti atti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di residenza o davanti a un notaio prima della data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni della medesima legge”.

Infine, l’articolo 6 della legge contiene la clausola di invarianza finanziaria.

A parere di chi scrive, tale legge affronta un tema particolarmente delicato e sensibile, a confine tra l’aspetto religioso e l’aspetto laico-civile.

Seppur all’apparenza “immorale” e a tratti ingiusta, essa, in realtà, pone l’accento sul principio di auto-determinazione del malato, sancito dalla Costituzione, dalla convenzione di Oviedo e da tutti i codici deontologici del mondo e, di fatto, segna la fine del connubio tra legge morale e legge naturale.

Così come scriveva il cardinale Carlo Maria Martini, citando il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (n.2278), “non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire […] il punto è verificare quando un intervento medico è appropriato […] occorre un discernimento attento che consideri le circostanze concrete e le intenzioni dei soggetti coinvolti, mettendo al centro la volontà del malato ed evitando di lasciarlo in condizioni di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue decisioni”.

Il paziente ha diritto di scegliere, non può e non deve esistere una legge che proibisca la libertà dell’individuo: essa deve essere sempre garantita e non può essere negata, soprattutto quando si tratta di decidere della propria vita. Quando si fanno delle scelte, infatti, l’individuo è nella sua essenza in primo piano, perché “la dignità non è un elemento artificioso, ma l’anima di una persona.[3]

 

Note e riferimenti bibliografici
[1] Il consenso informato è il presupposto per la legittimità dell’attività medica. Infatti, vige il principio per il quale nessuno può essere sottoposto a trattamenti medici contro la sua volontà (art. 32 della Costituzione).
Questa regola, di rango costituzionale, è poi confermata a livello internazionale dalla Convenzione di Oviedo del 1997 che è stata ratificata dall’Italia con la Legge n. 145 del 28 marzo 2001 che stabilisce alcuni principi.
In primo luogo, quello già presente nella Costituzione, per il quale ogni intervento o terapia, invasivo o no, necessita dell’assenso dell’interessato.
In secondo luogo, l’assenso deve essere consapevole, ovvero deve essere preceduto da una adeguata informativa riguardo alle caratteristiche, ai rischi e alle finalità dell’intervento.
Il consenso informato è pertanto espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, ed è un diritto della persona, che trova fondamento direttamente nei principi espressi dagli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione.
Infine, anche qualora il consenso sia stato concesso, il paziente è sempre libero di ritirarlo in qualsiasi momento.

[2] La prima norma nell'ordinamento italiano a disciplinare l'obiezione di coscienza fu la legge 15 dicembre 1972 n. 772 (la cosiddetta Legge Marcora dal nome del suo relatore) seguita dal relativo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 28 novembre 1977 n. 1139 “Norme di attuazione della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza”. L’obiezione di coscienza per i professionisti sanitari è prevista per l'interruzione volontaria di gravidanza: introdotta in Italia dalla legge 22 maggio 1978 n. 194.
[3] Maurizio de Tilla, Testamento Biologico e Principio di Autodeterminazione” convegno associazione La Toga Rosa con il patrocinio della Città di Mercato San Severino e A.N.A.I. (Associazione Nazionale Avvocati Italiani)