• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Sab, 6 Gen 2018

Un parlamentare risponde di corruzione nell´esercizio delle sue funzioni?

Modifica pagina

Alessandra Inchingolo


L´immunità parlamentare ex art. 68 della Costituzione non preclude la configurabilità del reato di corruzione quando gli atti posti in essere dal parlamentare esulano dalle funzioni pubbliche e vi è totale asservimento all´interesse privato.


Con la sentenza n. 36769 del 24 luglio 2017 la  VI Sezione penale della Cassazione statuisce che l’immunità prevista dall’art. 68, comma 1, Cost., non preclude la perseguibilità del reato di corruzione per esercizio della funzione, di cui all’art. 318 c.p., in relazione all’attività del membro del Parlamento, enunciando altresì i seguenti principi di diritto:

  1. i membri del Parlamento sono pubblici ufficiali anche in relazione alle attività diverse dalla partecipazione alla formazione di atti aventi forza di legge,
  2. l’attività posta in essere da un membro del Parlamento, in qualità di rappresentante italiano nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, è qualificabile come attività svolta da un pubblico ufficiale o, quanto meno, da un incaricato di pubblico servizio, ai sensi degli artt. 357 e 358 cod. pen.

La questione prende le mosse dal ricorso della Procura di Milano contro il proscioglimento di Luca Volontè, ex deputato Udc, accusato di aver ricevuto una tangente da 2 milioni e 390 mila euro per votare e orientare il voto del suo gruppo parlamentare in favore del governo dell’Azerbaijan, nell’ambito dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, affinchè non fosse approvato il cosiddetto rapporto Straesser “sulle condizioni di prigionieri politici in Azerbaijan”.

Si osservi che il reato previsto dall’art. 318 del codice penale, secondo la giurisprudenza, è integrato non da singoli atti, ma dalla condotta considerata nel suo complesso, quando realizza un costante asservimento all’interesse privato. Tuttavia il Gup sosteneva che a fronte dell’immunità parlamentare, non si potrebbe attribuire al parlamentare il suddetto reato, mentre l’accusa, sosteneva che per integrare il reato sarebbe sufficiente l’accordo tra il parlamentare e il governo corruttore avente ad oggetto la promessa, da parte del parlamentare di porre in essere una serie indeterminata di azioni a vantaggio dello Stato dell’Azerbajan.

Per la prima volta la Cassazione è investita del vaglio della corruzione del parlamentare ammettendo la possibile rilevanza penale, ai sensi dell’art. 318 c.p., di condotte poste in essere dai membri del Parlamento, nonché la stessa sindacabilità in sede giudiziaria di comportamenti da questi ultimi tenuti nell’esplicazione delle proprie funzioni.

La condotta presa in esame è soltanto quella che si attua stipulando un accordo per l’esercizio delle sue funzioni in cambio della promessa o della dazione di una indebita utilità, non rilevando per il giudice penale il successivo esercizio di tale funzione ed il contenuto intrinseco degli atti compiuti.

Né può ritenersi che la configurabilità del reato di corruzione per l’esercizio della funzione sia in linea di principio preclusa dalla specificità della funzione parlamentare, in quanto caratterizzata da una “inevitabile contaminazione tra interessi particolari ed interessi collettivi”. Difatti, se lo svolgimento dell’attività politica è finalizzata a comporre interessi di parte e istituzionalmente  si caratterizza anche come attività di compromesso, evidentemente  in tale ambito  può rientrare la ricezione di utilità a titolo personale, perché un eventuale accordo profilerebbe  uno sfruttamento a fini privati dell’esercizio di parlamentare e dunque della pubblica funzione ricoperta.

Due le questioni che si pongono al’attenzione del Supremo Collegio: a) la qualifica soggettiva del parlamentare e b) la possibilità che si configuri il reato di corruzione in relazione all’attività parlamentare.

Va premesso che l’immunità prevista dalla Costituzione ha subito delle modifiche a seguito della riforma costituzionale del 1993 che ha stabilito che il fondamento dell’immunità è l’esigenza di garantire l’indipendenza delle Camere e dei singoli deputati, non quello di consentire al parlamentare di usufruirne per obiettivi diversi dalle sue funzioni. Dunque, l’immunità non è un privilegio personale. Nella vicenda in questione, ciò che viene sindacato e contestato è l’accordo illecito, antecedente al voto .

Importante il quadro normativo di partenza della Corte, ovvero l’art. 4 della Convenzione penale sulla corruzione, sottoscritta a Strasburgo il 27 gennaio 1999, nella parte in cui impegna gli Stati aderenti ad estendere la disciplina nazionale di contrasto alla corruzione anche alle condotte corruttive poste in essere dal “componente di un’assemblea pubblica nazionale che esercita poteri legislativi o amministrativi” e poi considera l’art. 322 bis c.p., che applica la disciplina dei delitti di corruzione anche “ai membri del Parlamento europeo ”, dunque per estensione anche a carico dei membri del Parlamento italiano, perché se così non fosse, si attuerebbe un’inconcepibile disparità di trattamento penalistico in relazione a due figure, quali quella del parlamentare nazionale e del Parlamentare europeo, che svolgendo attività di contenuto simile, sono altresì espressione del medesimo corpo elettorale e sono tutelati da analoghe guarentigie.

In conclusione la Corte chiamata ad esprimersi sul ricorso della Procura di Milano, lo accoglie, annullando senza rinvio la sentenza del Tribunale e statuendo che per integrare il reato di corruzione del parlamentare basta l’accordo illecito tra corrotto e corruttore e l’ integrale asservimento della funzione pubblica ad interessi privati, a nulla valendo l’immunità prevista dall’art. 68 della costituzione che copre solo gli atti posti in essere dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni.