Pubbl. Dom, 17 Dic 2017
Rovina di edificio: la responsabilità dell´appaltatore ai sensi dell´art. 1669 c.c.
Modifica paginaLe Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione precisano l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 1669 c.c. prendendo posizione in merito al precedente contrasto giurisprudenziale e ridefiniscono il bene giuridico tutelato dalla norma in oggetto.
Sommario: 1. Il caso; 2. La disciplina; 3. Tesi dottrinali; 4. Orientamenti giurisprudenziali; 5. La soluzione delle Sezioni Unite.
1. Il caso
Veniva convenuta in giudizio la società F.S. s.r.l. e la società P.F. s.n.c., quest’ultima avendo dato incarico alla prima di eseguire sull’edificio opere di ristrutturazione edilizia, con richiesta di condanna, in solido tra loro, al risarcimento dei danni consistenti in un esteso quadro fessurativo esterno ed interno delle pareti del fabbricato ed altri gravi difetti di costruzione.
Entrambe le società convenute davano seguito nel giudizio di I Grado alla chiamata in garanzia nei confronti della società E. s.r.l., responsabile dell’esecuzione degli intonaci, al fine di essere tenute da quest’ultima indenni.
Nella contumacia della società chiamata, il giudice di I Grado, ritenendo di dover fare applicazione dell’art. 1669 c.c., accoglieva la domanda di parte attrice e condannava in solido le due convenute al pagamento di una somma a titolo di responsabilità per danni.
Impugnata dalla società P.F. s.n.c. tale decisione è stata ribaltata in grado di appello. La Corte d’appello ha ritenuto opportuno dare applicazione ad un orientamento giurisprudenziale piuttosto restrittivo che sul punto sottolinea che, ciò che costituisce presupposto ai fini dell’applicazione dell’art. 1669 c.c., e dunque limite della responsabilità dell’appaltatore, è rappresentato dalla costruzione ex novo di un edificio o di altra cosa immobile di lunga durata. Nel caso di specie dunque, si è ritenuto che non potesse trovare applicazione la normativa in oggetto poiché erano stati eseguiti semplici opere di ristrutturazione edilizia, comprendenti la realizzazione di nuovi balconi ai primi due piani, di una scala in cemento armato e di nuovi solai ai sotterranei.
Una volta giunto il caso all’attenzione della terza sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, ravvisando un contrasto di giurisprudenza sussistente sulla questione, viene operata la rimessione alle Sezioni Unite affinché potesse trovare adeguata soluzione interpretativa.
Il contrasto rilevato dalla terza sezione civile della Suprema Corte di Cassazione riguarda l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 1669 c.c., il quale recita che: “quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta”.
2. La disciplina
In materia di appalti per la costruzione di edifici, fondamentale importanza riveste l’art. 1669 c.c. il quale introduce una specifica responsabilità che si pone in aggiunta alla disciplina ordinaria della responsabilità per inadempimento contrattuale in tema di appalti dettata dagli articoli 1667 e 1668 c.c. .
Tale articolo, infatti. contempla una particolare obbligazione a carico dell’appaltatore, dunque di riflesso una specifica garanzia a favore del committente, che si vede riconosciuto il diritto ad agire nei confronti dell’appaltatore, entro uno specifico termine, se l’opera commissionata e destinata alla lunga durata non rimarrà esente da vizi (rovina o grave difetto) per almeno dieci anni.
La peculiarità della garanzia in oggetto rispetto alla ordinaria disciplina codicistica della responsabilità contrattuale, ha storicamente indotto la giurisprudenza ad affermare in modo pressoché costante la natura extracontrattuale della responsabilità ex art. 1669 c.c., con carattere di specialità rispetto alla previsione generale dell’art. 2043 c.c. . Tale tesi si basa su ragioni di ordine pubblico e di tutela dell’incolumità personale dei cittadini, come tale inderogabile ed irrinunciabile.
Una fondamentale svolta si avrà proprio con la sentenza in commento.
3. Tesi dottrinali
In verità la peculiare questione oggetto della pronuncia in esame ha destato opposti orientamenti interpretativi altresì in ambito dottrinale. Mentre, infatti, risulta pacifica l’applicabilità dell’articolo in commento ai casi di costruzione di nuovo edificio e nuova cosa immobile destinata a lunga durata, vi è da un lato chi ne sostiene l’applicabilità altresì a fattispecie di meri interventi ristrutturativi – modificativi anch’essi di lunga durata nel tempo. Risulterebbero escluse, quindi, dall’applicabilità della suddetta disciplina, solamente le ipotesi di riparazioni di breve durata come quelle attinenti all’ordinaria manutenzione. A sostegno di tale interpretazione, si argomenta che l’opinione inversa solleverebbe con alta probabilità seri dubbi di legittimità costituzionale, stante la linea di confine che lo stesso legislatore ha tracciato, in tema di responsabilità dell’appaltatore, tra gli artt. 1667 e 1668 c.c., per opere consistenti in mere modificazioni o riparazioni, e l’art. 1669 c.c. : interpretando restrittivamente l’art. 1669 c.c. infatti, in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione, si giungerebbe ad applicare l’art. 1667 c.c. in tutte le ipotesi di ricostruzione totale o parziale dell’opera, previa demolizione, del tutto sovrapponibili ad una costruzione ex novo.
Dall’altro lato vi è in dottrina altresì chi sostiene che l’art. 1669 c.c. è una norma di carattere speciale, rispetto alla disciplina dettata dagli artt. 1667 e 1668 c.c. . Essa infatti, delinea una garanzia vera e propria nonché una disposizione di favore per il committente, dovuta al fatto che nelle opere di lunga durata alcuni vizi possono presentarsi anche a distanza di molto tempo. Si tratta dunque di una norma insuscettibile di applicazione analogica, che trova attuazione esclusivamente nelle ipotesi di costruzione dalle fondamenta di nuovi edifici o cose immobili, ovvero costruzione ex novo di opere dotate di propria autonomia in senso tecnico, quali ad esempio le sopraelevazioni.
4. Orientamenti giurisprudenziali
Si tratta di una questione davvero peculiare, considerato il fatto che la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione si è trovata ad affrontare l’argomento soltanto in tre casi precedenti.
Il primo orientamento è stato espresso dalla sentenza della Corte di cassazione n. 24143/2007, relativamente ad un caso di impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo condominiale di un edificio preesistente. In tale pronuncia la Suprema Corte, attraverso un’interpretazione meramente letterale della norma in oggetto, ha espresso il principio secondo cui l’art. 1669 c.c. si applica in via esclusiva ai casi di opere aventi ad oggetto la costruzione ex novo di edifici o altri beni immobili di lunga durata, ivi compresi le sopraelevazioni di un fabbricato preesistente, mentre devono ritenersi esclusi dal suo ambito applicativo tutte le opere di modificazione o riparazione di edifici preesistenti, da identificare a norma dell’art. 812 c.c. . Ne consegue dunque che, nei casi in cui non ricorra la costruzione di un edificio o di altre cose immobili di lunga durata, ma un’opera di mera riparazione o modificazione, non è applicabile l’art. 1669 c.c., ma, ricorrendone i presupposti, deve trovare invece applicazione la disciplina dettata dall’art. 1667 c.c. .
Mentre la seconda pronuncia che la Suprema Corte di cassazione ha prodotto sulla questione è stata meramente riproduttiva della prima (Cassazione n. 10658/2015) , con la pronuncia numero 2253/2015 è stata abbracciata un’interpretazione di segno completamente opposto. In tale ultima pronuncia infatti, il Supremo Collegio ha espresso il principio secondo cui risponde ex art. 1669 c.c., anche l’autore di opere realizzate su un edificio preesistente, purché quest’ultime incidano sugli elementi essenziali dell’immobile o su elementi secondari rilevanti per la funzionalità globale. Anche in questo caso sembra che la Corte si sia assestata su di un’interpretazione di stampo prettamente letterale, giungendo tuttavia ad una conclusione opposta. Si dice, infatti, che non a caso il legislatore ha discriminato tra “edificio o altra cosa immobile destinata a lunga durata” e “opera”. L’opera infatti, non necessariamente deve identificarsi con la costruzione ex novo di un edificio o cosa immobile, ma ben può riferirsi a qualsiasi intervento modificativo o ripartivo eseguito successivamente alla costruzione dell’immobile. Pertanto, anche gli autori di tali interventi di modificazione o riparazione possono rispondere ai sensi dell’art. 1669 c.c., allorché le opere realizzate incidano in modo sensibile sugli elementi essenziali della struttura dell’immobile, ovvero su elementi secondari o accessori, ma tali da compromettere la funzionalità globale dell’immobile stesso.
5. La soluzione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite con la pronuncia n. 7756 del 27 marzo 2017 scelgono di aderire all’orientamento meno restrittivo, ritenendolo fondato e convincente sulla base di diverse interpretazioni: storico-evolutiva, letterale e teleologica.
Innanzitutto va rilevato che anche opere più “moderate”, ossia non aventi ad oggetto la vera e propria costruzione ex novo di edifici o cose immobili, ma piuttosto riparazioni straordinarie, ristrutturazioni, restauri o altri interventi di natura immobiliare, possono “rovinare in tutto o in parte ovvero presentare evidente pericolo di rovina o gravi difetti” ai sensi dell’art. 1669 c.c., tanto nella porzione riparata o modificata, quanto in quella preesistente che ne risulti comunque coinvolta.
Il punto focale della questione viene rinvenuto quindi nei cosiddetti “gravi difetti”, in quanto rappresentano la vera e propria linea di confine tra il regime ordinario dettato dagli artt. 1667 e 1668 c.c. e la disciplina dell’art. 1669 c.c. . Sulla scorta di precedenti pronunce chiarificatrici della questione in commento, le Sezioni Unite hanno ribadito che devono ritenersi gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori, come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi ecc. , purché tali da compromettere la funzionalità globale dell’opera stessa e che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con interventi di manutenzione ordinaria ai sensi della L. n. 457 del 1978, art. 31, e cioè con “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” o con “opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”.
Esemplificando, sono stati inquadrati nell’ambito della norma in oggetto i gravi difetti riguardanti: la pavimentazione interna ed esterna di una rampa di scala e di un muro di recinzione, opere di pavimentazione e di impiantistica, infiltrazioni d’acqua, umidità nelle murature e in generale problemi rilevanti di impermeabilizzazione, ecc.
In base al ragionamento suesposto dunque, ciò che rileva è la compromissione del godimento dell’immobile secondo la sua propria destinazione, risultando del tutto irrilevante che i gravi difetti riguardino o meno una costruzione interamente nuova. Sarebbe totalmente irrazionale, infatti, una diversificazione di trattamento basata sulla fabbricazione iniziale e la ristrutturazione edilizia, ben potendo quest’ultima, al pari della prima, essere foriera dei medesimi gravi pregiudizi
Il fondamentale punto di arresto delle Sezioni Unite della Suprema Corte ci fa comprendere che il focus dell’attenzione va spostato rispetto a quello tradizionale: rilevante non è più il momento “fondativo” dell’opera in oggetto, ma piuttosto i “gravi difetti” che essa presenta.
A sua volta la categoria dei gravi difetti tende a spostare il baricentro dell’art. 1669 c.c., dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene, dunque da una storica ottica pubblicistica ed aquiliana ad una più prettamente privatistica e contrattuale.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione pronunciano dunque il seguente principio di diritto: “l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendo tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in generale, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo”.