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Pubbl. Gio, 7 Dic 2017

Atto di appello penale: il concetto di privata dimora ex art. 624 bis c.p.

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Marco Nigro


Focus Esame Avvocato: svolgimento dell´atto giudiziario in materia penale. Indicazioni ai candidati per la corretta redazione dell´atto in seguito alle modifiche introdotte dalla Riforma Orlando.


Traccia

Tizio, incensurato, durante una passeggiata solitaria in ora tarda, intravede dalla vetrina di un noto ristorante una macchina fotografica d’epoca poggiata su uno dei tavoli del locale.

Tizio, da sempre appassionato di fotografia e collezionista di macchine fotografiche d’epoca, decide così di introdursi all’interno del ristorante approfittando di una finestra sul retro lasciata aperta. Una volta dentro, oltre ad impossessarsi della macchina fotografica, avendo confidenza con il locale, si avvicina alla cassa dalla quale sottrae euro 200,00.

Al momento del furto nel locale non v'era alcuna persona, mentre il proprietario era sopraggiunto proprio mentre Tizio stava uscendo dalla finestra, così facendolo arrestare subito dopo, avendolo seguito ed avendo allertato le forze di polizia.

In seguito a richiesta di giudizio abbreviato Tizio viene condannato in data 10 luglio 2017 alla pena di anni uno di reclusione ed euro 400 di multa per il reato di cui agli artt. 624-bis e 625, primo comma, n. 2 del codice penale.

Nella sentenza il Tribunale ha ritenuto configurabile il delitto di cui all’art. 624 bis c.p.p. in quanto “per privata dimora deve intendersi qualsiasi luogo che serve all’esplicazione di atti della vita privata, compresi attività lavorative, professionali, culturali, politiche”.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga atto di appello avverso la prefata sentenza.

 

Indicazioni ai candidati per il corretto svolgimento dell’atto di appello penale in seguito alle modifiche introdotte dalla “Riforma Orlando”

La terza prova scritta dell’esame di Avvocato è incentrata nella redazione di un atto giudiziario a scelta tra penale, civile e amministrativo.

Le statistiche dimostrano come l’atto giudiziario in materia penale è nel 95% dei casi un atto di appello. È pertanto necessario tenere ben a mente le neo introdotte modifiche apportate dalla “Riforma Orlando” all’art. 581 c.p.p. in vigore dallo scorso 3 agosto 2017.

Viene confermata la proposizione dell’impugnazione con atto scritto nel quale debbono essere indicati il

1. il provvedimento impugnato;
2. la data del medesimo;
3. il giudice che lo ha emesso. 

Il novum legislativo, tuttavia, è rappresentato dal contenuto dell’atto di impugnazione; non è, infatti, più sufficiente la sola enunciazione dei motivi di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta, ma è necessario indicare, a pena di inammissibilità, i capi e dei punti della decisione ai quali si riferisce l'atto (lett. a), le prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione (lett. b) e, infine, le richieste, anche istruttorie (lett. c).  Tutto ciò in sintonia con la maggiore specificità della motivazione della sentenza secondo l'innovato tenore dell'art. 546, 1° co., lett. e.

Non è da escludere, pertanto, che la traccia contenga informazioni in tal senso al fine di consentire al candidato la corretta indicazione degli elementi previsti, si badi, a pena di inammissibilità.

Sarà pertanto consigliabile indicare:

a. i capi e i punti della decisione che si intende impugnare se ciò lo si può desumere dal tenore della traccia. Non si esclude che quest’anno la traccia relativa all’atto di appello penale potrà contenere uno o più “passi” della sentenza da impugnare, proprio al fine di consentire ai candidati di assolvere tale onere.

b. l’eventuale erronea valutazione delle prove che hanno condotto alla colpevolezza dell’imputato o l’omessa valutazione di quelle prove che avrebbero condotta ad una pronuncia di assoluzione. Anche qui non si esclude che la traccia possa contenere elementi in tal senso che non dovranno, pertanto, essere sottovalutati dai candidati.

c. le richieste istruttorie da ritenersi, in ogni caso, eventuali e sempre sulla base del tenore della traccia che potrebbe “suggerire” una scelta difensiva in tal senso.

Svolgimento

 

Corte di Appello di ……………..

Il sottoscritto Avv. ………….. del Foro di ……….., con studio in ………….. alla via……………, difensore di fiducia, in virtù di nomina in calce al presente atto, di Tizio, nato a ………., il …………….., residente in ………………, condannato nell’ambito del procedimento penale n. ………….. propone

APPELLO

avverso la sentenza n.… pronunciata dal tribunale di …. il giorno ….. con la quale l’imputato Tizio veniva condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 400 di multa per il delitto p. e p. dall’ art. 624bis e 625 comma 1, n. 2, c.p.

La presente impugnazione investe i capi ed i punti della sentenza nei quali viene affermata la responsabilità penale dell’imputato ed in particolare i capi ..…, punti ..…, pag. ..… nonché, in via subordinata, quello relativo alla commisurazione della pena.

Essa è finalizzata ad ottenere l’assoluzione dell’imputato da tutti i reati ascritti; in linea gradata, la rideterminazione della pena subordinata alla sospensione condizionale.

A sostegno si enunciano i seguenti

MOTIVI

1) Erronea qualificazione del fatto reato contestato come furto in abitazione ex art 624 bis c.p. anziché come furto semplice ex art 624 c.p.

La presente impugnazione investe il capo della sentenza nel quale il Tribunale afferma: “per privata dimora deve intendersi qualsiasi luogo che serve all’esplicazione di atti della vita privata, compresi attività lavorative, professionali, culturali, politiche ecc.”.

Il Giudice di prime cure ha così ritenuto raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità dell’odierno imputato in ordine al reato p. e p. dall’art. 624 bis c.p.p. assumendo come il luogo ove si è perpetrato il furto (nella specie un ristorante) sia riconducibile al concetto di “privata dimora”.

In effetti, non va sottaciuto, che la esatta locuzione utilizzata nel precetto, e cioè il riferimento a "luoghi destinati in tutto o in parte a privata dimora", ha fatto registrare evidenti contrasti giurisprudenziali e che la categoria di luoghi contemplati ex art. 624 bis c.p., che ha dato vita alla maggior parte della casistica è quella degli esercizi commerciali, stabilimenti industriali, studi professionali e luoghi aperti al pubblico con gestione di un'attività d'impresa.

Orbene, secondo l’orientamento prevalente, per privata dimora deve intendersi qualsiasi luogo che serve all’esplicazione di atti della vita privata, compresi attività lavorative, professionali, culturali, politiche cosicché anche nel caso in esame sarebbe astrattamente configurabile la fattispecie di cui all’art. 624 bis c.p.. essendo il ristorante riconducibile al concetto di “privata dimora”

Un secondo orientamento ritiene, invece, quale criterio discretivo la considerazione della pubblica accessibilità del luogo, reputata incompatibile con la nozione di “privata dimora” (sez. 5, n. 23641 del 29/01/2016) ed escludendo così che luoghi come un ristorante possano essere considerati tali.

Tale ultimo criterio, tuttavia, ha come corollario un ulteriore sub-criterio discretivo relativo al concetto accessibilità pubblica "in astratto" e "in concreto" con riferimento al momento consumativo del reato: secondo alcuni, infatti, in orario di chiusura vi sarebbe la necessità di accertare “concretamente” la presenza, all'interno di quei luoghi, di persone intente in attività lavorativa per l’ovvia considerazione che il luogo, sebbene accessibile al pubblico e quindi riconducibile in astratto al concetto di “privata dimora”, potrebbe non esserlo in concreto proprio durante gli orari di chiusura.

Altri, invece, hanno ritenuto che nei luoghi nei quali si svolge una attività lavorativa che sia, per sua natura accessibile ad un numero indeterminato di persone, diventi irrilevante accertare se la condotta illecita sia avvenuta durante l'orario di chiusura o meno.  

Ciò posto, risulta chiaro come, secondo il primo orientamento, la nozione di privata dimora appare più ampia rispetto a quella di abitazione, estendendosi a tutti i luoghi, anche non pubblici, nei quali le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata. Proprio secondo tale orientamento si è ritenuto configurabile il delitto previsto dall’art. 624 bis c.p. in ordine al furto commesso all’interno di un ristorante o di un tabacchi in orario di chiusura, in uno studio odontoiatrico, all’interno di un ripostiglio di un esercizio commerciale, etc., sull’assunto che occorre pur sempre che “il luogo nel quale è perpetrato il furto abbia per sua struttura o per l’uso che ne è fatto in concreto una destinazione legata e riservata alla esplicazione di attività proprie della vita privata della persona offesa, ancorché non necessariamente coincidenti con quelle propriamente domestiche o familiari ma identificabili anche con attività produttiva, professionale, culturale, politica. Deve cioè trattarsi di luoghi deputati allo svolgimento di attività che richiedano una qualche apprezzabile permanenza, ancorché transitoria e contingente, della persona offesa, per taluna delle finalità predette” (cfr. Cass. Pen., IV sezione, n. 33413 del 29 luglio 2014).

Tuttavia, a dirimere il contrasto giurisprudenziale, sono recentemente e definitivamente intervenute le Sezioni Unite, che hanno proceduto ad una interpretazione letterale della norma da cui può desumersi altresì la voluntas legis.

Secondo i giudici del massimo consesso è significativo che l’espressione “privata dimora” sia preceduta dalle parole “in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte …” così da far desumere, evidentemente, che deve trattarsi di un luogo destinato effettivamente ad una dimora “personale” dell’offeso. Ma ulteriormente significativo è anche l’altro dato letterale che vede l’art. 624 bis c.p. rubricato “Furto in abitazione”, circostanza che non lascia adito a dubbi sulla portata della norma in perfetta aderenza al significato sopra evidenziato.

Orbene sulla scorta di tali riflessioni le Sezioni Unite hanno concluso nel senso che nella nozione di “privata dimora” vanno ricompresi i luoghi che, ancorché non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano comunque le caratteristiche dell’abitazione ovvero della riservatezza e della non accessibilità da parte di terzi senza il consenso dell’avente diritto. Di converso, non possono rientrare nella nozione di privata dimora i luoghi di lavoro nonostante al loro interno un soggetto compia atti di vita privata perché tali luoghi “sono generalmente accessibili a una pluralità di soggetti, anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto. Non può pertanto parlarsi di riservatezza o di necessità di tutela della sfera privata dell’individuo”.

Il ragionamento della Suprema Corte è stato poi raccolto nella seguente massima “Ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 624 bis c.p., i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624 bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare”. (SS. UU., sent. 23 marzo 2017, n. 31345)

Alla luce di quanto esposto la sentenza di primo grado andrà integralmente riformata riqualificando la contestazione di cui al capo d’imputazione quale delitto di furto semplice ex art 624 c.p. anziché di furto in abitazione ex art 624 bis c.p.

2) Erronea applicazione dell’aggravante ex art 625 comma 1 nr 2 c.p. e conseguente esclusione della punibilità dell’imputato per particolare tenuità del fatto ex art. 131bis c.p.

La presente impugnazione investe, altresi, il capo della sentenza ove si prevede l’applicazione dell’aggravante ex art 625 comma 1, n. 2, c.p.

Di fatto, non è revocabile in dubbio come l’imputato si sia introdotto all’interno del locale approfittando della finestra sul retro lasciata aperta, e pertanto, non compiendo alcuna violenza sulle cose né tantomeno avvalendosi di qualsivoglia mezzo fraudolento.

Da ciò ne consegue l’astratta possibilità di escludere la punibilità del prevenuto per particolare tenuità del fatto ex art. 131bis c.p.

Il riconoscimento dell’ipotesi più lieve di furto semplice, invero, sposta la cornice edittale da sei mesi a tre anni di reclusione, perfettamente compatibile con la concessione dell’istituto della particolare tenuità del fatto. Il beneficio, infatti, è concesso per quei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, senza tener conto di eventuali circostanze aggravanti, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (come quella ex art 625 comma 1 nr 2 c.p. che nel caso di specie deve essere esclusa).

Ciò chiarito, è appena il caso di evidenziare che l’imputato risulta del tutto incensurato e, come tale, il contegno posto in essere può correttamente essere ritenuto meramente occasionale, certamente non abituale. Inoltre l’esiguità del relativo danno cagionato, valutate ex art. 133 c.p., condurrebbero a validamente applicare al caso di specie l’istituto previsto dal neointrodotto art. 131bis c.p.. A tale applicazione consegue l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma I, c.p.p. giacché l’applicazione del 131bis a seguito di dibattimento comporta la pronuncia di una sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma I, c.p.p. e non una mera sentenza di proscioglimento per improcedibilità.

3) Mancata concessione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p.; mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione. Eccessività del trattamento sanzionatorio.

Non corretta appare, altresì, la mancata concessione all’imputato delle circostanze attenuanti generiche le quali comporterebbero un’ulteriore rideterminazione in melius della pena inflitta all’odierno prevenuto alla luce dei criteri ex art. 133 c.p.

Infine, erronea appare la mancata concessione a Tizio del beneficio della non menzione ex art. 175 c.p., vanamente richiesto al termine del giudizio di prime cure, giacché ne parrebbero sussistere tutti i requisiti prescritti dalla legge.

In via del tutto subordinata, qualora il Giudice di secondo grado dovesse ravvisare la responsabilità di Tizio, si chiede la rideterminazione della pena in senso più favorevole all’imputato.

In definitiva, con la richiesta rideterminazione della pena e tenuto conto delle modalità della presunta condotta penalmente rilevante di Tizio, si ritiene che il collegio giudicante possa concedergli la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel casellario giudiziario.

Per quanto sopra esposto, con riserva di meglio specificare i motivi testé enunciati ovvero di proporne di nuovi, il sottoscritto difensore rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, in accoglimento della doglianza esposta, riformare l’impugnata sentenza del Tribunale di … e, per l’effetto,

  1. in via principale, previa derubricazione del fatto reato in termini di delitto ex art 624 bis c.p. con la fattispecie più lieve di furto ex art 624 c.p. non aggravato, assolvere l’imputato ex art. 530, comma I, c.p.p. giacché la punibilità è esclusa per la particolare tenuità del fatto;
  2. in via subordinata, rideterminare la pena, previa concessione delle attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p. con concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziario;
  3. in via ulteriormente subordinata, rideterminazione della pena in misura maggiormente favorevole al reo

Con Perfetta Osservanza

Luogo, data                                                                              

                                                                                                                                                     Avv……………

 

NB. Per la redazione del mandato, che si consiglia di inserire nell'atto di appello, si rinvia alla pubblicazione ad essa dedicata.

L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze.