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Pubbl. Mer, 29 Nov 2017

L´arricchimento senza causa

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Chiara Anna Pia Giordano


Arricchimento ingiusto o ingiustificato? Commento all´articolo 2041 del codice civile.


“Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.
Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda”. 
Tanto dispone l’art. 2041 c.c.

L'arricchimento consiste in qualsiasi vantaggio suscettibile di valutazione economica; quindi anche un risparmio di spesa, oppure una perdita evitata[1]. Deve essere effettivo, ed è quindi escluso un arricchimento futuro o anche solo eventuale e deve essere sussistente al momento in cui viene proposta la domanda. Se, però, l'arricchimento non sussiste per una causa imputabile all'arricchito, l'azione sarà ugualmente esperibile.

L'impoverimento, invece, consiste nel danno patrimoniale arrecato al soggetto che agisce; tale danno può consistere nella perdita di un bene, nella mancata utilizzazione di esso, o nella mancata remunerazione di una prestazione resa ad altri. Non rientra nel concetto di impoverimento il mancato guadagno (cfr. Trabucchi).

Ciò premesso, prima di addentrarsi in tale tematica, occorre, in via del tutto preliminare, andare a precisare quanto disposto dagli artt. 1321 ss. c.c.

Ai sensi dell’art. 1321 c.c. il contratto è l’accordo con cui due o più parti costituiscono, modificano o estinguono rapporti giuridici di natura patrimoniale. Il seguente art. 1325 c.c. ne individua come elementi essenziali l’accordo tra le parti, la causa, l’oggetto, la forma se prescritta dalla legge a pena di nullità.

In questa sede interessa approfondire il concetto di causa, del quale, a ben vedere, non c’è alcuna definizione nel dettato codicistico, se non la sua essenzialità tant’è che l’art. 1418 c.c. sanziona con la nullità il contratto privo della stessa.

In assenza di definizioni, si può configurare la causa come la ragione giuridico-socio-economica giustificativa del contratto, è il quid di quest’ultimo. Da non confondere con i motivi, i quali rappresentano le ragioni individuali che spingono il singolo a contrarre.

Un esempio può essere d’aiuto: Tizio compra un vaso presso Caio, proprietario di un negozio di accessori per casa. La causa sarà: vaso contro denaro, il motivo è da rinvenire nella passione di Tizio per la collezione di vasi.

Ciò premesso, si può ora affrontare l’argomento in questione. Se, come si è rilevato, la causa è da considerarsi come ragione giustificatrice del contratto, qualsiasi tipo di prestazione patrimoniale adempiuta in modo ingiustificato è, pertanto, illegittima. Si tratta, dunque, di un arricchimento ingiustificato o senza causa.

La ratio è da rinvenire nel non ammettere un vantaggio a favore di un soggetto a danno di altri senza che ciò sia sorretto da una causa di giustificazione. Quindi, quando avviene che qualcuno si arricchisce – o, viceversa, si impoverisce – senza che vi sia una giustificazione, l'ordinamento interviene per restaurare l'equilibrio patrimoniale tra le parti.

Inoltre, affinché si possa configurare la fattispecie in esame occorre anche che vi sia un danno per un altro soggetto[2]. Stando a ciò, c’è chi ritiene che l’arricchimento si configurerebbe, oltre come ingiustificato, anche come ingiusto.

Tra arricchimento e danno deve esserci, poi, nesso di causalità. Quando si parla di nesso di causalità si vuole indicare che tra l'arricchimento e il depauperamento deve esserci questa relazione: a) l'arricchimento di una parte deve essere causato direttamente dal depauperamento dell'altra; b) il fatto che ha causato l'arricchimento ingiusto deve essere unico, non è ammesso, cioè, che possano esserci più cause concorrenti.

Avendo carattere indennitario e non risarcitorio, al verificarsi di tale situazione, va da sé che l’indennizzo debba avere la stessa entità, né maggiore né minore, del depauperamento subìto.

Tale principio è alla base anche della condictio indebiti, ma non solo di essa, in quanto numerose altre norme del codice civile costituiscono un’applicazione particolare dello stesso principio[3].

La condictio, inoltre, è collocata nel codice prima dell'azione di arricchimento, perché quest'ultima ha carattere sussidiario, cioè sarebbe esperibile solo allorquando non esistano altre azioni esperibili da colui che si è impoverito a vantaggio di un altro; tale norma è stata definita da molti una norma di chiusura dell'ordinamento.

L’azione di arricchimento ingiustificato ha natura personale, esperibile, cioè, solo tra i soggetti che sono parte del rapporto che ha causato lo spostamento patrimoniale, inoltre dottrina e giurisprudenza ne affermano costantemente il carattere sussidiario. Ciò è perfettamente esplicitato dall’art. 2042 c.c. rubricato "Sussidiarietà dell'azione" che recita: “L'azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito”.

La sussidiarietà viene intesa da dottrina maggioritaria e da unanime giurisprudenza, nel senso che se l'ordinamento già appresta – in astratto - un'altra azione per poter rimediare al pregiudizio patrimoniale, l'azione di arricchimento non è esperibile. Dunque, il legislatore fa salve le singole specifiche ipotesi considerando la loro specialità, ma si preoccupa anche di dettare una norma che disciplina i casi residuali non contemplati altrove.

Secondo Barbero, invece, tale visione, nonostante sia accolta sia dalla dottrina prevalente che dalla giurisprudenza della Cassazione, è errata; sussidiarietà, infatti, è un termine che indica che tale azione è sussidiaria (cioè si aggiunge) alle altre. Sussidiarietà, cioè, non è sinonimo di residualità. Il che significa che l’azione di arricchimento potrebbe essere esercitata anche quando l’ordinamento prevede in astratto altra azione, che non è stata esercitata per ragioni pratiche.

Un argomento testuale a favore della tesi può ricavarsi leggendo lo stesso art. 2041 c.c., nella parte in cui sancisce che "l'azione di arricchimento non è esercitabile quando il danneggiato può esercitare altra azione", e non è specificato che l'impossibilità debba essere intesa in senso astratto. Un esempio eclatante dei risultati cui si vuole giungere con l'applicazione di questa teoria si ha in tema di prescrizione: se l'azione di ripetizione dell'indebito - o altra azione esercitabile dall'attore - fosse prescritta, il creditore potrà ancora esperire l'azione di arricchimento, se anche questa non si è a sua volta prescritta.

Contro tale tesi, può replicarsi, però, che appare abbastanza evidente che se esiste nel nostro ordinamento un'azione che in astratto è esperibile, ma che in concreto non lo è più perché il creditore colposamente non ha esercitato l'azione e ha lasciato che decorresse la prescrizione, non si può più parlare di un arricchimento "ingiustificato" (al di là di quale significato si voglia attribuire al termine giusta causa, su cui esistono un'infinità di teorie e che vedremo tra poco): qui la giustificazione valida per l'ordinamento giuridico c'è, ed è, appunto, la prescrizione dell'azione.

Secondo Bianca, poi, la regola secondo cui l'azione di arricchimento sarebbe esperibile solo ove non vi fossero altre azioni, si giustifica anche con l'esigenza di evitare che questa diventi strumento per eludere le preclusioni e i limiti afferenti ad altri rimedi (come, appunto, la prescrizione). Vedasi, in tal senso Cass. n. 18502/2003 e n. 6205/2013.

La prescrizione è decennale.

In ultimo, occorre indicare, seppur brevemente, le modalità di calcolo dell’indennizzo. Esso deve essere effettuato, secondo dottrina prevalente, al momento dell’emanazione della sentenza.

Se l'arricchimento consiste in una cosa determinata l'obbligo è quello di restituzione (o di pagarne il valore se la cosa è perita). Qualora la cosa non sia perita, ma sia deteriorata, si ritiene che il debitore debba restituire la cosa, oltre a corrispondere una somma ulteriore a titolo di indennizzo, in applicazione dei principi di cui gli articoli 2037 e 2038 c.c.[4]

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] È escluso, quindi, il vantaggio morale.
[2] Si pensi, ad esempio, al proprietario di un bene che, a causa dell'uso altrui, non ha potuto fruirne.
[3]In materia di proprietà sono espressione del principio di arricchimento gli artt. 935 comma 1, 936 comma 2, 937 comma 3, 939 comma 2 e 940; il possessore che  ha riparato o migliorato la cosa del proprietario, ha il diritto di agire contro costui nei limiti dell'arricchimento (art. 1150 c.c.); il debitore che paga anticipatamente il creditore ha diritto di ottenere dal creditore ciò di cui quest'ultimo si è arricchito per effetto del pagamento anticipato (art. 1185 c.c.); il depositante può ottenere dal depositario il rimborso di quanto sia andato a proprio vantaggio in conseguenza del deposito (art. 1769 c.c.).
[4] Art. 2037, I comma c.c.: “Chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata è tenuto a restituirla”.
Art. 2038 c.c.: “Chi, avendo ricevuto la cosa in buona fede, l'ha alienata prima di conoscere l'obbligo di restituirla è tenuto a restituire il corrispettivo conseguito. Se questo è ancora dovuto, colui che ha pagato l'indebito subentra nel diritto dell'alienante. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito.
Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l'obbligo di restituirla, è obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il valore. Colui che ha pagato l'indebito può però esigere il corrispettivo dell'alienazione e può anche agire direttamente per conseguirlo. Se l'alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l'acquirente, qualora l'alienante sia stato inutilmente escusso, è obbligato, nei limiti dell'arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito”.