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Pubbl. Lun, 23 Ott 2017

L´ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.: una collaborazione forzata non sorretta da alcuno strumento coercitivo

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Luca Ghiara


Alcuni cenni sul procedimento istruttorio ex art. 210 c.p.c. e 94 disp. att., tra principio dispositivo ed assenza di poteri materiali in capo al giudice


L'impossibilità per la parte di produrre la documentazione necessaria a provare i fatti allegati costituisce un evento drammatico che, talora, può condurre direttamente alla soccombenza.

L'ordine di esibizione è quel procedimento istruttorio atto a superare una carenza cruciale di conoscenze preesistenti, avendo ad oggetto una "collaborazione forzata". In particolare, l'istituto de quo rappresenta una significativa creazione del Legislatore processuale del 1940, giacché – in ossequio all'assorbente visione liberale intessuta nel codice "borghese" del 1865 – lo Stato, oltre a non intervenire nell'economia, non interveniva finanche nel processo.

Ed invero, i codici del 1865 non prevedevano una norma analoga a quella in commento, bensì ancoravano la possibilità di ottenere la tutela esibitoria al requisito indefettibile che la parte interessata potesse vantare un proprio diritto sostanziale sul documento richiesto. Nel sistema vigente, per converso, l'astratta concedibilità dell'esibizione appare del tutto svincolata da qualsivoglia presupposto sostanziale, essendo sufficienti i requisiti indispensabili di cui al combinato disposto degli artt. 210, 94 disp. att. e 118 c.p.c.

In dottrina si ritiene diffusamente, se non unanimemente, che l'art. 210 c.p.c. sia stato formulato dal Prof. Piero Calamandrei, ancorché lo stesso non facesse ufficialmente parte della commissione ministeriale.

A tal proposito, nella relazione al Re del codice di procedura civile del '40 – documento, anch'esso, redatto da Calamandrei – viene dichiarato che "il potere conferito al giudice di ordinare d'ufficio ispezioni sulla persona delle parti o di un terzo, ovvero sulle cose in loro possesso [...] ed altresì il potere di ordinare, ad istanza di parte, l'esibizione in giudizio di cose in possesso delle parti o del terzo, corrispondono, in conformità dei voti della dottrina e della pratica, a quelle stesse considerazioni di solidarietà sociale e di cooperazione dei cittadini al miglior funzionamento della giustizia, sul quale è basato il dovere pubblico di render testimonianza. Come il cittadino è tenuto a deporre secondo verità in giudizio, così, quando l'interesse della giustizia lo reclama, egli deve essere tenuto a mettere a disposizione di questa le proprie cose ed anche, in certi casi eccezionalissimi, la propria persona."

Orbene, tra le condizioni necessarie ad ottenere l'ordine ex art. 210 c.p.c., merita particolare attenzione il requisito dell'istanza di parte, il quale risulta non solo ex professo dalla lettera della norma de qua, ma anche implicitamente dall'art. 94 disp. att. c.p.c., che di tale istanza disciplina analiticamente il contenuto.

Sotto tale profilo, pertanto, l'istituto in discorso si uniforma al cosiddetto principio dispositivo come codificato nell'art. 115 c.p.c., a differenza di quanto avviene in tema di ispezione giudiziale.

A norma dell'art. 94 disp. att. c.p.c. – disposizione, quest'ultima, troppo spesso disattesa dai pratici del diritto – l'stanza di esibizione deve contenere la specifica indicazione del documento o della cosa e, quando è necessario, l'offerta della prova che la parte od il terzo li possiede.

A tal proposito, il costante insegnamento della Suprema Corte chiarisce come il requisito della specificità sia volto ad evitare richieste di esibizione a scopi meramente esplorativi, permettendo al Giudice istruttore di valutare compiutamente la rilevanza e la concludenza (id est la necessaria acquisizione al giudizio) del procedimento istruttorio in esame.

Rileva, poi, il carattere "necessitato" dell'istanza: è indispensabile, infatti, che l'esibizione non sia acquisibile aliunde, ossia non possa essere fornita con altro mezzo di prova.

Infine, posto il richiamo dell'art. 210 c.p.c. "agli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell'art. 118 l'ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo", l'ordine di esibizione non può essere pronunciato allorché sia suscettibile di determinare un grave danno per la parte o per il terzo, ovvero di costringere questi ultimi a violare uno dei segreti previsti dal codice di procedura penale agli artt. 201-203.

Infine, occorre soffermarci brevemente sulle conseguenze derivanti dalla mancata ottemperanza all'ordine di esibizione. È evidente che si tratta di un aspetto di cruciale importanza, sia dal punto di vista dell'effettività del procedimento istruttorio de quo sia sotto il profilo della funzionalità dello stesso a quelle esigenze "pubblicistiche" cui fa riferimento la relazione ministeriale citata in esordio.

Orbene, giova subito precisare che il vigente sistema non contempla qualsivoglia strumento di esecuzione coattiva dell'ordine di esibizione.

In particolare, la res exhibenda non può essere acquisita coattivamente attraverso il c.d. sequestro di prova ex art. 670 c. 2 c.p.c., e ciò per due rationes precipue: in primo luogo, se il sequestro di prova è preordinato ad assicurare la fruttuosità dell'istruzione probatoria e, segnatamente, dell'accertamento del diritto controverso, la pronuncia dell'ordine di esibizione, come s'è detto, appare del tutto sganciata dall'affermazione di qualsivoglia diritto sostanziale sulla cosa; in secondo luogo, ma non per ordine d'importanza, una volta disposto l'ordine di esibizione, esso non è più controverso, sicché viene meno il requisito previsto dall'art. 670 c.p.c. ai fini dell'autorizzazione del sequesto giudiziario.

Orbene, alla luce delle considerazioni che precedono, quali sono le conseguenze probatorie desumibili a carico della parte inottemperante all'ordine di esibizione?

La sanzione è del tutto risibile, giacché dalla mancata esibizione del documento richiesto, il giudice potrà trarre "argomenti di prova a norma dell'art. 116 c. 2 c.p.c."

A tale conclusione si giunge non solo in virtù del richiamo all'ispezione giudiziale contenuto nell'art. 210 c.p.c., ma anche in considerazione della circostanza pacifica che anche il rifiuto di esibire è di per sè un "contegno processuale" significativo ai sensi e per gli effetti dell'art. 116 c.p.c.

Di talché, secondo il modesto parere di chi scrive, si può affermare che in un processo civile come il nostro, caratterizzato dalla carenza di strumenti idonei ad assicurare pregnanza ed incisività agli effetti dei provvedimenti istruttori del giudice, la soluzione di equiparare il rifiuto ingiustificato di esibire ad una ficta confessio meriterebbe opportuna considerazione.