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Pubbl. Ven, 20 Ott 2017

Illegittima la richiesta di omologazione dell´accordo dei separati in casa

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Carlo Giaquinta


Per i giudici del Tribunale di Como la separazione presuppone sempre l´intollerabilità della convivenza tra i coniugi


L’evoluzione giurisprudenziale in materia matrimoniale è sempre in continuo fermento, considerato che i temi della separazione e del divorzio sono stati recentemente oggetto di dibattito in seguito alle ultime pronunce della Corte di Cassazione, che hanno riguardato i criteri per la determinazione dell’assegno di mantenimento. In particolare, con la sent. n° 11504 del 10 maggio 2017, la I^ sez. della Suprema Corte ha abbandonato il tradizionale criterio del “tenore di vita” per la determinazione dell’assegno divorzile.

Inoltre, sempre più di frequente i coniugi che intendono separarsi danno vita a fattispecie che potremmo definire inconsuete. Su una di queste, con ord. del 6 giugno 2017, si è pronunciato il Tribunale di Como, dinanzi al quale si presentavano due coniugi per chiedere l’omologazione degli accordi presi in sede di separazione consensuale. 

La peculiarità della fattispecie deriva dalla circostanza che entrambi i coniugi, dopo aver regolamentato tutti gli aspetti patrimoniali relativi al mantenimento del figlio (che, peraltro, trovavano l’avvallo dei giudici) chiedevano anche venisse approvata la loro scelta di continuare la coabitazione nella stessa casa coniugale, giustificandola con ragioni di convenienza economica.

In altre parole, i coniugi richiedevano al Tribunale di dare veste giuridica alla condizione di “separati in casa” che, per loro stessa ammissione, perdurava già da diversi anni antecedenti alla proposizione del ricorso per separazione. La particolare gestione della casa familiare voluta dai coniugi non trova tuttavia il consenso dei giudici i quali statuiscono come l’accordo in questione si ponga in contrasto con i principi e con le norme cogenti in tema di ordine pubblico matrimoniale e per questo non merita di essere omologato. In sede di audizione i coniugi motivavano la scelta di continuare a vivere insieme pur essendo venuta meno la “ comunione materiale e spirituale” nella prospettiva di preservare le risorse economiche familiari e così agevolare il percorso di studio del figlio nonché di garantire alla moglie eventuale assistenza personale. Opzione però non condivisa dai giudici i quali, oltre a suggerire che tali finalità solidaristiche ben potrebbero essere perseguite anche da “separati” in senso proprio e fermo restando che “sul piano personale le parti hanno facoltà di comportarsi e autodeterminarsi come meglio credono, stabiliscono il principio secondo cui l’ordinamento non può dare riconoscimento a soluzioni ibride che contemplino il venir meno tra i coniugi di gran parte dei doveri derivanti dal matrimonio, pur nella persistenza della coabitazione che, come si evince dall’art. 143 c.c., rappresenta la cornice in cui si inseriscono i vari aspetti e modi di essere della vita coniugale. Pertanto, continuano i giudici, considerando che l’istituto della separazione presuppone a monte una situazione di intollerabilità della convivenza, non si vede come essa possa conciliarsi laddove siano gli stessi coniugi a voler continuare a convivere insieme, pur non provando reciprocamente sentimento né attrazione fisica, desiderando proseguire una convivenza meramente formale.

Con una decisione sapiente, il Tribunale di Como conclude per il rigetto dell’omologa di siffatte condizioni di separazione. Ed infatti un tale desiderio, seppur insindacabile in quanto rientrante nella sfera di libera autodeterminazione delle scelte di vita dei singoli, non può assurgere a diritto , non corrispondendo a nessun strumento o istituto presente nell’ordinamento matrimoniale. In altre parole, è certamente consentito ai coniugi di vivere da “separati in casa”, vale a dire sotto lo stesso tetto ma in camere separate, ma essa continuerà ad essere una mera separazione di fatto, non potendo l’ordinamento riconoscere a tale condizione gli effetti tipici della separazione legale.