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Pubbl. Sab, 7 Ott 2017

La causa nel contratto gratuito atipico e nella vendita a prezzo simbolico o vile

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Giuseppe Mainas


Alla luce della nuova nozione di causa concreta del contratto, è doveroso affrontare il problema della validità del contratto gratuito atipico e della vendita a prezzo simbolico o vile, in modo da valutare gli eventuali risvolti giuridici sostanziali e processuali che possano derivarne.


Sommario: 1. Premessa; 2. Funzione economico-sociale del contratto; 3. Funzione economico-individuale del contratto; 4. Dicotomia tra causa e motivo; 5. Criteri valutativi dell'esistenza della causa contrattuale; 6. Contratto gratuito atipico; 7. Contratto a prezzo simbolico o vile.

1. Premessa

Il nostro sistema contrattuale, diversamente da altri, è un sistema in cui non basta la volontà e neppure l’equità contenutistica ma ha bisogno di una causa.

L'ordinamento giuridico italiano, quindi, non tollera spostamenti patrimoniali acausali, senza un perché, senza un significato eziologico, ma al contrario pretende che ogni spostamento negoziale e patrimoniale abbia come fondamento giustificativo una causa.

Il principio di necessaria causalità è quindi un principio generale, inderogabile, riguarda tutti gli spostamenti anche non negoziali, tutti i negozi non contrattuali anche di carattere formale ed è un principio che non conosce una deroga convenzionale e legale, perché la legge deroga alla causalità ma non abdica mai ad essa, quindi non c’è nessuna norma del codice civile che ammette che un negozio possa essere efficace definitivamente, e quindi produrre uno spostamento irreversibile, senza una causa.

2. Funzione economico-sociale del contratto

Dal 1942 al 1960, il problema della causa è stato risolto nel senso che la causa è una funzione economico sociale, astratta (tesi di Emilio Betti), cioè è una funzione che non è stabilita dai contraenti del singolo contratto ma viene stabilita dal legislatore per tutti quei negozi appartenenti ad una tipologia contrattuale, quindi allo stereotipo contrattuale complessivamente considerato.

Funzione economico sociale, cioè funzione che giustifica la transazione economica, che deve essere una funzione di tipo sociale, quindi il contratto non deve essere semplicemente non illecito, non illogico e non razionale ma deve essere un atto socialmente utile e deve contribuire al progresso della società, deve portare benessere alla società. Quindi è una visione questa tradizionale la quale reputa che il contratto deve avere una causa come funzione economica sociale di rilevanza pubblica che viene stabilità dalla legge per tutti i contratti a appartenenti a quello stereotipo contrattuale.

Allora ci si può chiedere come può questo tipo di causa attagliarsi ai contratti atipici? I contratti atipici erano visti con sfavore, proprio perché non aventi una causa fissata dalla legge e in secondo luogo si ritagliava un giudizio di similitudine, per cui i contratti atipici dovevano essere simili a quelli tipici, e quindi avere una causa rispondente a quella funzione sociale simile a quella che veniva perseguita dai singoli contratti tipizzati dalla legge.

Questa tesi crolla nel 2006, quando già Ferri l’aveva demolita negli anni 60 sul piano dottrinale, con la pronuncia della Cassazione (la validità di un contratto di affidamento di una consulenza ad un amministratore della società che però era già obbligato a rendere quel servizio nella sua veste di amministratore, quindi tale consulenza, che doppiava un obbligo societario già previsto, era completamente priva di causa). Tuttavia la pronuncia del 2006 demolisce la teoria della causa come funzione economico sociale osservando e mettendo in luce molte sue criticità:

a) In primo luogo una criticità storico-ideologica: perché la funzione economico sociale fissata dalla legge è propria di un sistema di carattere autoritario, dirigistico, paternalistico in cui è l’ordinamento a fissare gli scopi che devono perseguire i contraenti, e quindi ad imporre i fini da perseguire contraddicendo in questo modo il concetto liberale dell’autonomia negoziale in base al quale l’ordinamento mette a disposizione degli strumenti ma gli scopi sono decisi dai contraenti, in modo evidentemente libero e autonomo.
Questa matrice ideologica, che vede nella causa uno strumento di controllo attraverso cui la legge prevede degli scopi e limita la libertà negoziale, è chiaramente superata dalla Costituzione, dall'economia di mercato, dalla libertà individuale e dalla considerazione che gli scopi del contratto sono fissati dai contraenti e non imposti autoritariamente dalla legge.

b) In secondo luogo si rileva, dal punto di vista sistematico, che la funzione economico sociale pretende che il contratto assolva ad una funzione pubblicistica e snatura il concetto propriamente privatistico del negozio giuridico che lo differenzia dal provvedimento amministrativo.

A questo punto occorre domandarsi (se si pretende che il contratto persegua un fine pubblico), qual è la differenza con i provvedimenti amministrativi, che pure devono perseguire fini di carattere collettivo?

Il contratto è un atto privato che persegue interessi privati che devono essere leciti e meritevoli ma non devono essere certamente utili e perseguire i fini di tutti, ma deve perseguire invece fini propri, i fini dei contraenti.

c) In terzo luogo si evidenziava la presenza di due tipi di cause contrattuali, perché i contratti tipici e atipici finivano per avere cause diverse: nei contratti tipici la causa era fissata dalla legge, nei contratti atipici la causa era fissata dalle parti. Ma il concetto di causa nel nostro sistema è uguale sia per i contratti tipici che atipici.

3. Funzione economico-individuale del contratto

Dunque, il superamento ideologico del bisogno di differenziare il contratto privato dall’atto di diritto amministrativo e l’impossibilità di un concetto di causa differente a seconda che il contratto sia tipico o atipico conduce la giurisprudenza, nel 2006, ad affermare la tesi secondo cui la causa rappresenta la funzione economico-individuale del contratto. La causa rappresenta la ragione pratica dell’affare, è l’intento del contratto, è lo scopo del contratto specificatamente inteso.

Quindi per causa si intende la funzione economica individuale che viene perseguita dal singolo contratto e che viene decisa naturalmente dai contraenti per lo specifico affare, funzione che deve emergere naturalmente, non a livello psicologico intento dei contraenti, ma che deve divenire intento del contratto.

La causa deve oggettivizzarsi diventando funzione obiettiva della stipulazione contrattuale, quindi causa concreta ma non soggettiva, funzione individuale ma non personale, intento del contratto ma non del contraente.

Si giunge ad affermare che la causa individuale riesce a dominare il contratto nella sua dimensione di valore con il ruolo unificatore dei vari elementi soggettivi ed oggettivi del contratto.

La causa non è uno strumento di controllo ma è oggetto di controllo perché l’ordinamento deve verificare se lo scopo perseguito dai contraenti è lecito e meritevole con le scelte dell’ordinamento giuridico.

Il principio, affermato con la sentenza del 2006, è stato ribadito da numerose altre sentenze:

  • da Cass. 16315/2007 che ha affermato che la causa è un requisito non solo genetico ma funzionale della stipulazione contrattuale, con la conseguenza che non solo la sua presenza è essenziale per la validità ma la sua persistenza è necessaria per l’efficacia del contratto, se la causa viene meno per uno sopravvenienza il contratto si risolve;
  • Cass. SS.UU.  6538/2010 invece riguarda l’adempimento del terzo e della natura onerosa o gratuita di tale adempimento ai fini della revocatoria fallimentare. La Cassazione conclude che non si può affermare in astratto se l’adempimento del terzo è un atto gratuito o oneroso, ma bisogna indagare sulla causa in concreto, alla luce di un rapporto trilatero (adempiente, debitore, creditore). Occorre allora verificare in base all’analisi del rapporto concreto tra i tre soggetti qual è la ragione pratica dell’affare e quindi dell’adempimento del terzo.

Quest'ultima sentenza è molto importante, perchè afferma un nuovo concetto di negozio a titolo oneroso. È oneroso non solo il negozio che ha un corrispettivo diretto ma anche il caso di onerosità indiretta, anche il caso cioè in cui l’atto è posto in essere non per ricevere un corrispettivo ma un vantaggio ulteriore, un vantaggio diverso, indiretto ma che senza l’atto la parte non avrebbe ottenuto (ad esempio, la società che adempie il debito della società capogruppo; non c’è corrispettivo ma c’è comunque un vantaggio, quello cioè di evitare il fallimento della società).

Si tratta quindi di una gratuità vantaggiosa che secondo questa impostazione, e ai fini della revocatoria, consente di qualificare l’atto come oneroso.

  • Cass., SS.UU., n. 4628/2015, in merito al preliminare di preliminare ha affermato che il preliminare di preliminare in un ordinamento basato sulla causa in concreto non è di per sé lecito o illecito ma occorre verificare di volta in volta se sussiste una ragione intrinseca che sostiene l’affare e che giustifica l’operazione.
  • Cass., SS.UU., n. 18813/2015, risolve il problema della locazione quando sia stato fissato un canone diverso da quello indicato nell’atto registrato per ragione di abuso fiscale.

4. Dicotomia tra causa e motivo

A questo punto della tematica in oggetto occorre risolvere i seguenti quesiti:

A) Che differenza c’è tra causa e motivo?

È evidente che la differenza oggi è molto più sfumata, prima del 2006 c’era una diversità di fonte: la causa era decisa dalla legge; il motivo dalle parti. Oggi sia la causa che il motivo sono decise dai contraenti, quindi, si pone il problema di distinguere il motivo dalla causa, lo scopo del contraente dallo scopo del contratto, l’intento dell’atto dall’intento del contraente. La differenza è molto semplice in apparenza:

  • Il motivo: è lo scopo psicologico che non viene trasferito nel programma negoziale sul piano obiettivo;
  • La causa può derivare da un motivo che non sia rimasto nella sfera psicologica ma si sia obiettivizzato nell’atto.

Ma sulla base di quali parametri posso verificare se il motivo del contrante rimane nella sfera psicologica o diventa parte dell’atto come requisito funzionale dello stesso? Qual è quindi la linea di demarcazione tra scopo del contraente e scopo del contratto?

I parametri sono due:

  1. Parametro formale: quando c’è l’expressio causae.
  2. Parametro sostanziale: non sempre c’è bisogno dell’expressio causae perché l’interpretazione del negozio consente di verificare il movente funzionale dell’atto anche se non c’è un riferimento formale espresso. Ciò accade tutte le volte in cui, pur non essendoci l’expressio causae, quel tipo di scopo ha chiaramente influenzato il programma negoziale che non è spiegabile se non per effetto di quella causa (cd. unidirezionalità causale, l’esempio classico è quello dell’affitto del balcone mentre passa la regina; nel caso in cui si stipuli un tale contratto di affitto per un ora a 100 euro, questi 100 euro si spiegano senza quella causa? Certamente no. Quindi quella causa, anche se non formalmente menzionata, si è inserita nel programma negoziale giustificandone il pagamento).

Casi diversi sono quelli che riguardano ad esempio la vendita del vestito di nozze. Se il matrimonio non si celebra più, la donna può decidere di restituire il vestito senza pagarne il prezzo? Si ritiene che in questo cas onon sussista una causa sia perché essa non è espressa sia perché essa non influenza il programma negoziale. Il prezzo del vestito inerisce infatti al pregio della stoffa, alla bravura del sarto e non certo all’uso matrimoniale.

5. Criteri valutativi dell'esistenza della causa contrattuale

B) Secondo problema: qual è il parametro per controllare se c’è una causa? E per controllare se è idonea e quindi non illecita? Qual è quindi il significato oggi dell’art. 1322, comma 2, c.c.?

Se tutti i negozi hanno causa concreta è evidente che il problema del controllo causale diventa identico in tutti i contratti, tipici e atipici. Poiché non è più vero che i contratti tipici hanno causa tipica e i contratti atipici causa atipica, è vero invece il contrario che tutti i contratti, anche quelli tipici, hanno causa atipica, cioè quella fissata dalle parti.

Quindi il controllo causale per i contratti tipici ed atipici è uguale e postula il problema della singolo affare.

È chiaro in secondo luogo che la verifica della causa, ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c.c., è una verifica che deve essere fatta tenendo conto del contenuto del contratto, del contenuto concreto, e cioè se il contratto con quel contenuto concreto abbia una giustificazione causale.

Il problema del controllo causale è un problema tanto più importante quando il contenuto è anomalo e ponga il dubbio dell’assenza di una causa idonea a giustificare questa stranezza.  Quando il contratto prevede un programma strano, vendo a 10 ciò che vale 1000, il contenuto contrattuale è un contenuto del tutto anomalo e ha quindi bisogno di una ragione giustificativa che compensi e che spieghi l’apparente anomalia del programma e che dia significato a quella sproporzionale altrimenti assurda e anomala.

Bisogna quindi verificare che sia giustificato non il contratto astrattamente inteso ma il programma contrattuale con quel contenuto.

In terzo luogo si pone il problema dell’intensità del controllo causale, non sono accettabili né la tesi estrema, per cui la causa richiederebbe un’utilità sociale, così seguendo un’impostazione ideologica oramai superata, né la tesi opposta, secondo cui un contratto sarebbe meritevole di tutela, ex art. 1322, quando la causa sia non illecita.
Quindi basterebbe un giudizio in negativo sul piano della liceità: se la causa non è illecita è meritevole di tutela. Questa tesi non è accoglibile perché si traduce in una interpretatio abrogans dell’art. 1322, co. 2, che richiede non solo un controllo di non illiceità ma un controllo di meritevolezza, che va al di là del non contrasto con norme imperative, di ordine pubblico e di buon costume.

Inoltre non considera che la tesi della causa in concreto diventa uno straordinario strumento per il controllo della razionalità dell’affare più che della sua liceità.

Il problema principale non è verificare se l’affare sia lecito o no ma se sia razionale o meno. La verità sta quindi come sempre nel mezzo.

6. Contratto gratuito atipico

È valido o no il contratto caratterizzato da gratuità vantaggiosa?

La Cassazione con la sent.n. 24511/2011 ha affermato che i contratti gratuiti atipici sono ammissibili, non c’è nessun divieto. L’art. 1322, co. 2, c.c. nel prevedere i contratti atipici non distingue tra negozi ad efficacia obbligatoria e negozi ad efficacia reale, quindi non c’è ragione per escludere che i negozi ad efficacia reale possano essere atipici. Questo divieto nei confronti del principio dell’autonomia negoziale è aprioristico e non si concilia con il nostro ordinamento.

Vigente la tesi della causa in concreto, non è vero che solo i contratti tipici hanno causa forte, per ragioni che non ripetiamo, ma occore verificare se c’è una causa in concreto.

L’assenza di corrispettivo è una spia che deve indurre ad un controllo causale forte perché c’è il rischio di una donazione senza forma pubblica o di una liberalità atipica senza i requisiti previsti dalla legge, ma non rappresenta di per sé una preclusione.

Il controllo causale forte quindi compensa tale irrazionalità apparente, e verifica se sussistano le ragioni che giustificano questa irrazionalità.

7. Contratto a prezzo simbolico o vile

I giudici di legittimità, proseguendo sulla scia di quanto affermato precedentemente nel 2011, proposero una dicotomia tra:

  • Vendita senza prezzo o con prezzo simbolico: è la vendita in cui il prezzo non c’è in senso assoluto, perché non ha un’intrinseca consistenza, e quindi è una non vendita per assenza del prezzo; la vendità con prezzo simbolico è nulla per assenza del prezzo, di conseguenza se non può essere riqualificata come una donazione è una fattispecie praticamente nulla. Qui il problema non è del controllo causale ma dell’assenza del prezzo che rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie.
  • Vendita con prezzo vile, irrisorio o tenue: il prezzo c’è, ma il fatto che in senso relativo che tale prezzo sia sproporzionato al valore del bene questo è un problema che non interessa all’ordinamento giuridico. Se il prezzo c’è ma non è equo non è un problema dell’ordinamento, a patto che non ci sia un vizio della volontà.

Tali affermazioni si fondavano sul concetto di causa come funzione economico sociale, astratta: se c’è il prezzo c’è la funzione di scambio se non c’è non c’è neanche la funzione di scambio. Si tratta di un controllo quindi meramente burocratico.

Le due affermazioni, alla luce della causa in concreto, devono essere rivisitate perché è possibile che le soluzioni siano addirittura apposte.

La giurisprudenza negli ultimi 5 anni è giunta a queste conclusioni:

  • In alcune ipotesi la vendita a prezzo simbolico è stata considerata un contratto gratuito atipico vantaggioso caratterizzato dalla presenta di una gratuità interessate che se idonea, proporzionata e giustificata, in un sistema che tratta allo stesso modo i contratti tipici e atipici, può essere valutata positivamente dall’ordinamento;
  • Al contrario in alcuni casi, la sproporzione manifesta nei contratti a prezzo vile ha comportato la nullità degli stessi. Ratio à è contestata non l’ingiustizia contrattuale in quanto tale, la sproporzione, ma l’ingiustizia sena causa, la sproporzione non sorretta da causa adeguata. Se il programma negoziale è anomalo, perché vendo a 1 ciò che vale 1000, questa anomalia deve essere spiegata dalla causa, in un sistema causale.

È disapprovato quindi lo squilibrio contrattuale senza ragione giustificativa.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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