La nozione comunitaria ed italiana di consumatore e le differenti forme di tutela attivabili
Modifica paginaUna biografia del consumatore tra Codice del Consumo e Codice Civile, alla luce dei recenti interventi dell´AGCOM e della Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2610 del 2017.
Sommario: 1. Considerazioni introduttive. - 2. La nozione di consumatore: ambito soggettivo di operatività. - 2.1. (segue) orientamenti dottrinali di segno contrario. - 3. La nozione di consumatore: ambito oggettivo di operatività. - 4. Le tutele individuali di matrice codicistica e le tutele collettive di matrice consumeristica. - 4.1. Le azioni avverso le pratiche commerciali scorrette. – 4.2. L'azione inibitoria avverso le clausole vessatorie. - 4.3. L'azione inibitoria avverso le violazioni di interessi collettivi di consumatori ed utenti. - 4.4. Le azioni risarcitorie collettive. - 4.4.1. L'azione avverso i professionisti e le imprese. - 4.4.2. (segue) La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n° 2610/2017 - 4.4.3. L'azione avverso la Pubblica Amministrazione e i concessionari di pubblici servizi. - 5. Considerazioni conclusive.
1. Considerazioni introduttive.
Il Codice del Consumo, all'art. 3 co 1, fornisce una definizione unitaria e restrittiva di consumatore, identificandolo con la persona fisica che agisce per scopi estranei alla attività imprenditoriale o professionale da lui eventualmente svolta; viceversa, qualifica come professionista la persona, fisica o giuridica, che agisce nell'esercizio dell'attività professionale o imprenditoriale svolta.
Rientra pertanto nell'orbita attrattiva della nozione di professionista qualsiasi ente, di diritto o di fatto, avente natura pubblica o privata, dotato o meno di personalità giuridica, ivi compresi gli enti no profit - limitatamente all'attività imprenditoriale o professionale strumentale allo svolgimento dell'attività sine lucrum - nonché gli enti pubblici. Viene attratta altresì la categoria degli 'intermediari' del professionista (lato sensu comprensiva non soltanto dei mandatari o dei rappresentanti, ma altresì di qualsiasi soggetto che si innesti professionalmente nella catena produzione-distribuzione: agenti, mediatori, vettori).
2. La nozione di consumatore: ambito soggettivo di operatività.
Trovandoci di fronte a due nozioni 'speculari', il primo interrogativo concerne l'ambito di applicazione c.d. soggettivo della disciplina del consumatore, ed in particolare la possibilità di estendere o meno l'operatività della disciplina in esame al di là del mero dato letterale dell'art. 3 co 1 Cod. Cons., applicandola analogicamente, per esigenze di equità, a soggetti pur non dotati di natura fisica.
A livello sovranazionale, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nel 2001, ha ritenuto essenziale il requisito della natura 'fisica', escludendo l'estensione analogica della disciplina in esame all'impresa che avesse stipulato un contratto di scambio avente ad oggetto beni di esclusiva fruizione da parte dei dipendenti.
A livello nazionale, la questione è stata affrontata dalla Corte di legittimità ben prima dell'emanazione del Codice del Consumo, in vigenza della disciplina codicistica delle clausole vessatorie, (artt. 1469 bis ss.), con la sentenza nº 10721/2001, escludendo l'estensione della qualità di 'consumatore' a favore di colui che, pur non 'in veste' di proprietario di un negozio, avesse stipulato un contratto bancario volto a regolare la successiva concessione di finanziamenti ai propri futuri acquirenti. In questa occasione la Corte:
a) ha ribadito la nozione restrittiva di consumatore, ricomprendendovi unicamente le persone fisiche non esercenti attività professionali od imprenditoriali ovvero le persone fisiche che, sebbene esercenti tali attività, avessero concluso il contratto de qua per la soddisfazione di bisogni della vita quotidiana, e dunque agendo per scopri estranei all'attività medesima. Tale orientamento, in armonia con le indicazioni della giurisprudenza sovranazionale, risponde al convincimento che l'ente, personificato o no, non possa agire per scopi diversi da quelli indicati nell'atto costitutivo e nello statuto, e da tale assunto conseguirebbe una sorta di 'presunzione di professionalità' degli atti compiuti.
b) ha ritenuto ininfluente la circostanza che il soggetto non avesse agito 'in veste' di professionista o imprenditore, ritenendo sufficiente, per l'esclusione dell'operatività della nozione di 'consumatore', che il contratto fosse stato stipulato per il conseguimento di uno scopo obiettivamente connesso all'attività professionale od imprenditoriale eventualmente svolta.
In altra occasione, con sentenza nº 10086/2001, la Corte ha preso in esame talune operazioni economiche che, formalmente imputabili ad un ente, fossero in realtà riconducibili ad una pluralità di persone fisiche (il caso di specie concerneva taluni contratti stipulati dall'amministratore di condominio in qualità di mandatario con rappresentanza dei singoli condomini), ritenendo estensibile, a favore di questi ultimi, la qualifica di 'consumatore'.
2.1. (segue) orientamenti dottrinali di segno contrario.
Nonostante il rapporto di concordanza tra gli orientamenti giurisprudenziali sovranazionali e quelli interni della corte di legittimità, talune pronunce di merito, muovendo da ragioni di giustizia sostanziale, hanno invece sottolineato la necessità di ricorrere ad un'estensione analogica della nozione di 'consumatore' a favore di enti, personificati o no, connotati dalla medesima condizione sostanziale di 'debolezza' nei confronti del professionista.
Pertanto, nel 2001, un Giudice di Pace di Sanremo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., in relazione alla disciplina delle clausole vessatorie di cui all'art. 1469 bis, co 2 (oggi art. 33 co 2, cod. cons.), nella misura in cui, fra i soggetti beneficiari di tale regime più favorevole, non menzionava le persone giuridiche e gli enti di fatto connotati da obiettiva condizione di debolezza.
La Consulta, intervenendo con sentenza nº 469/2002, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione sollevata, condividendo la scelta del legislatore di ancorare la qualità di 'consumatore' all'indefettibile requisito (non sufficiente, sebbene necessario) della natura fisica del soggetto contraente, con ciò escludendo dal regime speciale tutti quei soggetti (professionisti, piccoli imprenditori, artigiani) che, in forma individuale o collettiva, agissero per scopi in qualche modo connessi all'attività economica svolta. In ragione dell'attività abitualmente esercitata, detti soggetti procederebbero ad una contrattazione in condizioni di parità con la controparte 'professionista'.
Le medesime conclusioni sono state condivise anche dalla dottrina maggioritaria, la quale ha ribadito come la ratio alla base della politica comunitaria di tutela del consumatore sia di natura economica, piuttosto che sociologica ed equitativa, avendo di mira i mercati finali (in cui persone fisiche si contrappongono a professionisti) e non i mercati intermedi, in cui si muovono piccole e medie imprese e liberi professionisti. [1]
3. La nozione di consumatore: ambito oggettivo di operatività.
Un secondo interrogativo investe invece l'ambito di applicazione oggettivo della norma, e concerne in particolare la disciplina applicabile ai cd. 'contratti a finalità promiscua, privata e professionale'.
Vi è concordanza, a tal proposito, fra il piano sovranazionale e quello interno, così come, all'interno di quest'ultimo, tra le opinioni della dottrina maggioritaria e quelle della giurisprudenza di legittimità.
A livello sovranazionale, la Corte di giustizia dell'Unione Europea, esclusivamente competente in materia di interpretazione dei trattati e di ogni altro atto di derivazione comunitaria, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla corretta interpretazione da attribuire all'art. 13 della Convenzione di Bruxelles del '68, è intervenuta nel 2005 per chiarire come la controparte di un contratto stipulato per finalità mista, personale e professionale, di regola non abbia il diritto di avvalersi del beneficio delle regole derogatorie di competenza del foro del consumatore, previste dagli artt. 13-15, se non nell'eccezionale ipotesi in cui, fra il contratto stipulato e l'attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta, intercorra un legame talmente modesto da divenire assolutamente marginale (e in ogni caso la valutazione degli elementi, afferenti al caso concreto, spetterà al giudice interno).
A livello nazionale, l'orientamento dottrinale assolutamente dominante (ALPA, CHINÈ) ha elaborato la teoria dello "scopo obiettivo dell'atto", escludendo l'applicabilità della disciplina del consumatore alle ipotesi di contratti a finalità mista, nella misura in cui l'art. 3 co. 1 si riferirebbe esclusivamente agli scopi totalmente "estranei", in linea con la giurisprudenza di legittimità (si veda la già citata sentenza della Corte di Cassazione n* 10127/2001) secondo la quale l'accertamento della natura (privata o professionale) dello scopo per il quale il soggetto ha agito debba avvenire in virtù di un criterio oggettivo, a nulla rilevando l'intenzione soggettiva (il cd. motivo) che abbia animato il contraente. Il giudice dovrà pertanto valutare gli elementi soggettivi (modalità dell'atto, forme utilizzate, circostanze di tempo e di luogo, condizioni di pagamento) al fine di verificare che l'atto sia stato effettivamente compiuto per soddisfare i bisogni personali o familiari. A nulla rileva altresì, come già precisato, che la stipula sia formalmente avvenuta in veste di professionista/imprenditore o piuttosto di consumatore, dovendosi guardare unicamente allo scopo.
Non è tuttavia mancata una certa tendenza dottrinale [2], corroborata da disparate pronunce di merito [3], protesa a distinguere da un lato gli "atti della professione", esclusi dall'ambito protettivo della disciplina in esame e, dall'altro lato, gli "atti relativi alla professione" (fra cui gli atti a finalità promiscua) che invece vi rientrerebbero. Tale distinzione viene fortemente criticata e ritenuta irrilevante dall'orientamento maggioritario [4] giacché finirebbe per accordare protezione anche a soggetti che non subirebbero alcuna "asimmetria informativa" rispetto alla controparte contrattuale.
4. Le tutele individuali di matrice codicistica e le tutele collettive di matrice consumeristica.
Venendo adesso alle forme di tutela esperibili da parte del consumatore, la disciplina consumeristica affianca alle tradizionali azioni individuali, esperibili dal singolo consumatore, una serie di tutele mediate.
Resta ferma, infatti, al ricorrere dei presupposti previsti dalla legge, la possibilità di esperire l'azione contrattuale per inadempimento, ai sensi degli artt. 1218 ss cod. civ., l'azione precontrattuale ex art. 1337 cod. civ., od infine l'azione extracontrattuale ex artt. 2043 ss. In questi casi gli esempi sono molteplici: si pensi alla condotta precontrattuale di un dipendente che, in nome e per conto dell'operatore di telefonia mobile per il quale presta servizio, contatti ripetutamente un ex cliente per convincerlo a ritornare, a tal proposito proponendo tariffe molto più vantaggiose di quelle di cui attualmente esso gode, per poi revocare l'offerta fatta, ed applicarne altra non vantaggiosa, al momento della stipula del contratto; oppure si pensi, ancora, al danno extracontrattuale - eziologicamente cagionato dal malfunzionamento di un apparecchio difettoso (poi esploso) - ed invocabile dalla madre del bambino che accidentalmente risulti coinvolto nell'esplosione durante una passeggiata nel negozio convenzionato in cui il macchinario veniva esposto per finalità promozionali.
Allo stesso modo resta impregiudicato il diritto di procedere, al ricorrere dei presupposti concernenti ipotesi di asimmetria patologica, all'esercizio di un'azione di annullamento o di rescissione.
All'interno del Codice del Consumo viene poi introdotta una serie di tutele speciali, che adesso analizzeremo più nel dettaglio.
4.1. Le azioni avverso le pratiche commerciali scorrette.
Una prima disciplina speciale è prevista con riferimento alle pratiche commerciali scorrette. Con tale espressione ci si riferisce ai comportamenti idonei a limitare la libertà di scelta o di comportamento del consumatore, inducendolo ad assumere una decisione che altrimenti non avrebbe preso.
A tal proposito merita attenzione, a livello sovranazionale, il regolamento 2004/2006 CE, adottato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio per la cooperazione e l'assistenza reciproca tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa a tutela dei consumatori, al fine di prevenire le infrazioni intra comunitarie.
L'art. 27 Cod. Cons., richiamando il regolamento in questione, individua l'AGCOM (Autoritá Garante per la Concorrenza ed il Mercato) quale autorità nazionale competente, cui spetta in via esclusiva l'intervento, d'ufficio o su istanza di soggetti od organizzazioni che ne abbiano interesse, per inibire la continuazione di pratiche commerciali scorrette:
- disponendone con provvedimento motivato la sospensione provvisoria laddove sussista particolare urgenza, ed avviando un'istruttoria regolamentata, a carico del professionista, nella quale sia garantito in ogni caso il principio del contraddittorio;
- comminando, in caso di inottemperanza senza giustificato motivo, sanzioni amministrative pecuniarie di diversa entità.
Il tema delle pratiche commerciali sleali rimane, ancor oggi, un terreno protagonista di lotte continue. A tal proposito, nell'Agosto 2017 è intervenuta l'autorità Antitrust, su segnalazione del Codacons, comminando la massima sanzione amministrativa a carico di Trenitalia. I sistemi informativi, messi a disposizione dei viaggiatori perché questi potessero provvedere autonomamente all'acquisto dei titoli di viaggio, mostravano in evidenza solo le combinazioni di viaggio più onerose (ossia quelle concernenti treni ad alta velocità), mentre quelle più economiche diventavano visibili solo allorché fosse il cliente a selezionare "tutte le soluzioni". In quest'occasione l'AGCOM ha provveduto alla comminazione di una maxi-sanzione di 5 milioni di euro, dando origine al primo atto di una dichiarazione ufficiale di guerra al colosso italiano dei trasporti ferroviari.
4.2. L'azione inibitoria avverso le clausole vessatorie.
Un'ulteriore garanzia, di natura generale e preventiva, attivabile dagli enti collettivi riconosciuti, è riconosciuta a favore del consumatore in materia di clausole vessatorie: l'azione inibitoria.
Prima dell'emanazione del codice del consumo, l'art. 1469 sexies cod. civ. attribuiva alle camere di commercio e alle associazioni dei consumatori la legittimazione attiva nel giudizio avverso il professionista o l'associazione di professionisti che utilizzassero o raccomandassero l'utilizzo di condizioni generali di contratto di accertata abusività.
Il Codice del Consumo introduce una specifica disciplina, all'art. 37, prevedendo la legittimazione attiva all'esercizio dell'azione inibitoria in capo alle associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale, nonchè delle associazioni rappresentative dei professionisti o delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, potendo queste convenire in giudizio il professionista o l'associazione di professionisti che utilizzino o raccomandino l'utilizzo di condizioni generali di contratto. Presupposto per la concessione dell'inibitoria è che ricorrano "giusti motivi di urgenza" ex art. 669 bis cod. proc. civ., requisito valutato con riferimento all'idoneità della clausola vessatoria ad incidere qualitativamente su diritti fondamentali della persona o su beni primari, come chiarito dalla giurisprudenza. Il co. 4 dell'art. 37 cod. cons. prevede che, per quanto non espressamente disciplinato dallo stesso, alle azioni inibitorie esercitate dalle associazioni dei consumatori si applicano le disposizioni dettate dall'art 140 cod. cons. sull'inibitoria collettiva.
4.3. L'azione inibitoria avverso le violazioni di interessi collettivi di consumatori ed utenti.
Un ulteriore strumento di tutela, attivabile unicamente dalle associazioni rappresentative avverso le violazioni di interessi collettivi dei consumatori e degli utenti, è quello introdotto dall'art. 140 cod. cons.
Sono necessarie, tuttavia, alcune precisazioni preliminari.
I) dato il diverso ambito soggettivo di operatività, unicamente le associazioni hanno la possibilità di chiedere al giudice l'adozione delle misure riparatorie; gli altri soggetti (Camere di commercio, associazione di professionisti) sono invece legittimati al l'esperimento dell'azione inibitoria, disciplinata dall'art. 37, concernente il divieto di utilizzo futuro delle clausole vessatorie.
II) con questo strumento non è possibile ottenere il risarcimento dei danni eventualmente subiti dai singoli consumatori, poiché con l'azione collettiva le associazioni agiscono a tutela o in rappresentanza non dei singoli diritti, ma degli interessi collettivi.
Resta fermo il diritto del singolo consumatore, pertanto, come espressamente previsto dal co. 9 dell'art. 140, di avviare un'azione risarcitoria individuale, eventualmente concorrente con l'azione inibitoria delle associazioni, sul presupposto che l'atto o il comportamento sia stato individualmente lesivo nei confronti del singolo (e ferma restando l'applicazione, in questo caso, delle regole processuali in materia di litispendenza, continenza, riunione, connessione).
Le associazioni, non prima che siano trascorsi 15 giorni dalla bonaria ed infruttuosa richiesta di cessazione del comportamento lesivo attraverso raccomandata a/r all'impresa o al professionista, possono agire in giudizio per chiedere al tribunale di:
1) ordinare al soggetto la cessazione di atti o comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori, ovvero vietarne la ripetizione in futuro;
Il provvedimento può consistere nell'imposizione di un obbligo di fare (ritiro del prodotto difettoso, innalzamento degli standard qualitativi) ovvero di un obbligo di non fare (inibire l'utilizzo di clausole vessatorie nelle condizioni generali di contratto).
2) adottare misure idonee ad eliminare o correggere gli effetti dannosi delle violazioni accertate; il contenuto di queste misure è deciso dal giudice, ed è volto a ripristinare la situazione preesistente.
3) ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani.
Con questo rimedio si intende far conoscere a tutti i consumatori potenziali del prodotto la natura vessatoria delle clausole (art. 37) o la decisione circa la misura adottata dal giudice al fine di eliminare le violazioni commesse dal professionista (art. 140), e funge da deterrente per l'adozione di buone condotte del professionista, il quale potrebbe essere mosso proprio dall'esigenza di evitare la cattiva pubblicità che di riflesso potrebbe derivare dalla divulgazione della notizia.
Le associazioni, così come gli organismi pubblici indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciute in altro Stato comunitario, hanno la facoltà di attivare prima del ricorso al giudice la procedura di conciliazione dinanzi alla Camera di Commercio competente per territorio, attivabile altresì dal soggetto al quale viene chiesta la cessazione del comportamento, e in questo caso l'autorità giurisdizionale si limiterà ad omologare il contenuto del verbale di conciliazione.
4.4. Le azioni risarcitorie collettive.
4.4.1. L'azione avverso i professionisti e le imprese.
L'azione collettiva risarcitoria nei confronti dei professionisti e delle imprese è disciplinata dall'art. 140 bis cod. cons., introdotto con la Legge finanziaria del 2008 e successivamente modificato dal decreto sulle liberalizzazioni nº 1/2012; la class action specifica, avverso atti e comportamenti della PA, è stata introdotta e disciplinata invece dal d. lgs. nº 198/2009.
L'art. 140 bis introduce una vera e propria class action ordinaria, attraverso la quale far valere diritti individuali ed omogenei dei consumatori. Tale previsione estende l'azione delle associazioni di categoria oltre l'ambito di operatività degli strumenti - meramente inibitori - previsti dagli artt. 37 e 140, consentendogli di agire in giudizio per il (preventivo) accertamento delle violazioni commesse dall'impresa, con la quale si è entrati in rapporti contrattuali mediante sottoscrizione di contratti stipulati ai sensi dell'art. 1342 cid. civ., e per la (successiva) determinazione e quantificazione del danno risarcibile. Le violazioni possono essere cagionate dalla diffusione di prodotti difettosi, o dall'assunzione di comportamenti commerciali scorretti o contrari alle norme concorrenziali. Tale ricorso riduce notevolmente i costi processuali che il singolo dovrebbe sostenere qualora intentasse un'azione individuale, consentendogli anche di aderire successivamente alla pretesa di classe già azionata.
La legittimazione attiva è riconosciuta, oltre che alle associazioni riconosciute dal DM, ex art. 137, anche alle associazioni e ai comitati dotati di rappresentatività; per contro, la legittimazione passiva è invece limitata alle sole imprese.
I consumatori che intendano avvalersene devono comunicare per iscritto, all'associazione proponente, la propria adesione entro e non oltre l'udienza di precisazione delle conclusioni (sistema di opt-in) e il giudice può adottare idonee forme di pubblicità.
L'art 140 bis co. 3 statuisce che il tribunale, alla prima udienza, pronunci sulla ammissibilità della domanda, con ordinanza reclamabile davanti alla corte di appello, che pronuncerà in camera di consiglio.
Qualora la domanda venga accolta, il giudice individua i criteri per la liquidazione delle somme, e nei sessanta giorni successivi alla notificazione della sentenza l'impresa propone il pagamento di una somma. Se questa viene accettata dal consumatore, la proposta diviene titolo esecutivo.
Qualora la proposta non venga accettata, o in caso di inerzia dell'impresa condannata, si avvierà una fase di conciliazione, dinanzi ad una camera a composizione paritetica e presieduta da un avvocato nominato dal presidente del tribunale.
4.4.2. (segue) La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n° 2610/2017
Con ordinanza nº 8433/2015 viene rimessa alle Sezioni Unite la risoluzione del contrasto concernente la definitività o meno dell'ordinanza di inammissibilità, dipendendo da tale interrogativo, per un verso, la possibilità di riproposizione della domanda risarcitoria in sede ordinaria, per i medesimi fatti e contro la medesima impresa e, per altro verso, la ricorribilità in Cassazione avverso l'ordinanza de qua. Il collegio remittente era orientato per la definitività dell'ordinanza (ritenendo determinante, a tal proposito, l'assenza di indicazioni del legislatore in tal senso, a fronte del combinato disposto dei commi 3 e 15 che, invece, consentirebbero espressamente la riproposizione della domanda risarcitoria individuale); tuttavia, un altro orientamento delle sezioni semplici del 2012 aveva proteso per la non definitività dell'ordinanza (ritenuta per ciò non ricorribile in Cassazione - se non per la pronuncia sulle spese - in quanto fondata su una delibazione sommaria, e pertanto idonea a fondare una mera pronuncia di rito, non ostativa della riproposizione dell'azione risarcitoria collettiva in via ordinaria).
Le Sezioni Unite Civili intervengono con Sentenza n. 2610 del 2017 a risoluzione del contrasto in esame.
In prima battuta, i giudici di legittimità ribadiscono i due caratteri indispensabili perchè una qualsiasi ordinanza possa essere oggetto di ricorso straordinario in Cassazione, ossia la 'definitività' e la 'decisorietà', caratteristiche volte a rendere l'ordinanza idonea ad incidere, con efficacia di giudicato, su diritti soggettivi sostanziali. Successivamente, escludono la sussistenza dei requisiti predetti, e dunque la legittimità di un ricorso straordinario, con riferimento al caso di specie, alla luce del comma 15 dell'art. 140 bis. La definitività raggiunta attraverso l'ordinanza è di natura processuale ma non sostanziale, pertanto non può essere giustificato alcun ricorso straordinario.
A questo punto, la Corte elabora il seguente principio di diritto: "Allorquando l'azione di classe sia finalizzata ad ottenere la tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe e non anche un interesse collettivo, l'ordinanza d'inammissibilità adottata dalla Corte d'appello in sede di reclamo non è impugnabile con ricorso straordinario ex art. 111 co 7 Cost., essendo il medesimo diritto suscettibile di tutela attraverso l'azione individuale finalizzata ad ottenere il risacimento del danno".
Pertanto l'ordinanza di inammissibilità, se per un verso fa stato nei confronti di chi abbia già partecipato all'azione di classe (o di chi vi abbia aderito) - atteso che a questi soggetti è legittimamente preclusa la reiterazione dell'iniziativa processuale, coerentemente con il principio del 'ne bis in idem' - per altro verso non preclude la proposizione dell'azione da parte di altri soggetti, ossia ad opera "di chi non abbia aderito all'azione oggetto di quella dichiarazione" - poichè l'ordinanza, non definitiva, non ha pregiudicato il diritto di questi ultimi.
4.4.3. L'azione avverso la Pubblica Amministrazione e i concessionari di pubblici servizi.
Infine, completa il quadro delle tutele la L. nº 15/2009, attraverso il nuovo istituto dell'azione collettiva rivolta alle amministrazioni e ai concessionari di servizi pubblici, che si affianca alla class action ordinaria, di matrice consumeristica.
La nuova class action, avente ad oggetto il rapporto tra cittadino e P.A., si propone di garantire l'effettività della pretesa del primo al rispetto dei canoni di qualità, economicità e tempestività da parte della seconda, in un'ottica sempre più permeata dalla visione delle amministrazioni pubbliche come 'amministrazioni di risultato'.
Tuttavia, essa ha natura esclusivamente ripristinatoria, e non risarcitoria.
Per un verso, gli enti esponenziali hanno una legittimazione attiva autonoma (non necessitando di uno specifico mandato dei singoli componenti della classe), che si affianca a quella dei titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei; per altro verso, la sentenza finale di accoglimento non provvede sul risarcimento del danno subito dai cittadini, per espressa esclusione legislativa, restando fermi i rimedi ordinari (si pensi all'azione risarcitoria dinanzi al G.A., ex art. 30 c.p.a.).
La domanda verrà accolta qualora, nel primo giudizio:
a) venga accertata, alternativamente:
- la violazione degli standard qualitativi ed economici;
- la violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei servizi;
- la violazione degli obblighi di emanazione (concernenti atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo)
- la violazione dei relativi termini a provvedere (e in quest'ultimo caso, il rimedio si aggiunge all'azione individuale per danno da ritardo ex art. 2 bis L. nº 241/1990)
b) sia provata la lesione diretta, concreta ed attuale, eziologicamente connessa ad una delle violazioni precedentemente elencate.
L'azione presuppone una diffida (assente nella class action ordinaria) all'amministrazione o al concessionario, con la quale vengono invitati ad intervenire spontaneamente per la composizione degli interessi lesi, che diviene condizione di procedibilità, ragion per cui il ricorrente ha l'onere di provare l'avvenuta notificazione della diffida all'organo di vertice dell'amministrazione.
L'azione non può essere promossa:
I) se un organismo di regolazione nazionale o regionale abbia instaurato, e non completato, un procedimento istruttorio volto ad accertare le medesime condotte;
II) se sia stato già instaurato, in relazione alle medesime condotte, un giudizio inibitorio o risarcitorio ex artt. 139, 140, 140 bis del Codice del Consumo (i quali prevarranno anche se avviati dopo l'azione pubblica, data la sussidiarietà dell'azione in esame).
L'eventuale accoglimento della domanda veicola una condanna ad un facere, poiché il giudice ordina alla Pubblica Amministrazione, o al concessionario, di porre rimedio alla violazione, all'omissione o all'inadempimento entro un congruo termine, nei limiti delle risorse e senza maggiori oneri per la finanza pubblica.
L'espressa esclusione legislativa di un ricorso al fine di chiedere al giudice una sentenza di condanna al risarcimento del danno rappresenta, per un verso, un grosso limite sul piano dell'effettività della tutela giurisdizionale; per altro verso, appare disarmonica con la tendenza, instaurata a partire dalla sentenza Cass. Sez. Un. nº 500/1999, ad una piena responsabilizzazione dei soggetti pubblici. Anche la fase dell'esecuzione, così come quella della cognizione, è rimessa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; ciò consente, in caso di inadempimento dell'amministrazione o del concessionario, il ricorso al giudizio di ottemperanza ex art. 112 c.p.a.
Per quanto concerne, infine, l'attribuzione delle controversie aventi ad oggetto le erogazioni di pubblici servizi, ad opera di pubbliche amministrazioni o di pubblici concessionari, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essa appare una scelta condivisibile perché coerente con gli insegnamenti della Corte Cost., la quale, con sentenza nº 204/2004, rispondendo all'interrogativo circa l'esistenza o meno di parametri o limiti in ordine a tale devoluzione, ha individuato il 'criterio della pertinenza', secondo il quale può dirsi costituzionalmente legittima unicamente la devoluzione concernente materie che intercettano non esclusivamente diritti soggettivi, ma altresì interessi legittimi (come evidentemente nel caso di specie può dirsi).
Con l'azione di classe introdotta dalla riforma Brunetta, appena analizzata, si chiude la giostra delle tutele attivabili dal consumatore. In particolare avverso quest'ultima non sono mancate severe critiche, essendo ritenuta fortemente carente sotto il profilo dell'effettività della tutela contro le inefficienze della P.A. per l'assenza di profili risarcitori e per la scarsa deterrenza da essa veicolata.
5. Considerazioni conclusive.
Sebbene sia innegabile che, nella stragrande maggioranza delle ipotesi, il 'consumatore' verta davvero in condizioni di squilibrio informativo nei confronti del professionista, alcune riserve possono forse nutrirsi con riferimento a quella classe di ipotesi nelle quali il contraente sia qualificabile come 'professionista' o 'imprenditore', sebbene in relazione a settori 'estranei' a quelli oggetto del contratto stipulato.
La Corte di Giustizia, con una recente pronuncia del 3 Settembre 2015, in relazione al C-110/14, ha nuovamente ribadito che il professionista (nel caso di specie un avvocato di nazionalità rumena), quando agisce 'fuori dallo studio', è da considerarsi sempre e comunque un 'consumatore'.
Sebbene tale pronuncia sia in linea con l'orientamento costante in precedenza analizzato (il quale àncora unicamente alla natura fisica del contraente e allo scopo sotteso all'atto concluso ogni indagine concernente la qualificazione del contraente come consumatore) è innegabile l'esistenza di alcune ipotesi pratiche, e molto meno 'limite' di quanto potrebbe sembrare, in relazione alle quali la disciplina si risolve, forse, in un eccesso ingiustificato di tutela.
Si prendano in esame le ipotesi in cui il 'consumatore' sia un imprenditore con decenni di esperienza professionale "nel mondo del commercio", o un avvocato (magari) civilista, (magari anche) specializzato nella disciplina delle clausole vessatorie; si pensi a un qualsiasi professionista che sia abituato alla contrattazione mediante adesione a formulari e moduli predisposti. Immaginare che tutti questi soggetti provvedano alla stipula di un contratto con altro professionista – sebbene in ambiti non concernenti direttamente l'attività professionale svolta – non prestando la dovuta attenzione al contenuto del contratto stesso, ma dimenticando l'esperienza maturata, rasenta la fantasia.
Probabilmente questo eccesso di tutela, che è il fisiologico corrispettivo di una disciplina ancorata quantomeno a requisiti oggettivamente accertabili, rappresenta una parziale forzatura con riferimento ai casi appena analizzati.
Note e riferimenti bibliografici
[1] CHINE', La nozione di consumatore nel diritto vivente, in AA. VV., Lezioni di diritto privato europeo, Padova, 2007, 898.
[2] GABRIELLI, Il consumatore e il professionista, in GABRIELLI-MINERVINI (a cura di), I contratti dei consumatori, Tomo I, Torino, 2005, 20 ss.
[3] Tribunale di Roma, 20 ottobre 1999; Pret. Foggia, Sez. dist. Orta Nova, 17 Dicembre 1998.
[4] DI MARZIO, Ancora sulla nozione di 'consumatore' nei contratti, in Giust. civ., 2002, I, 694; STELLA RICHTER, Il tramonto di un mito: la legge uguale per tutti (dal diritto comune dei contratti al contratto dei consumatori), ivi, 1997, II, 202.