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Pubbl. Lun, 25 Set 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

Sulla inammissibilità strutturale dell´atto di appello: un cambiamento di rotta con la motivazione?

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Irene Coppola


L´atto d´appello non può essere aspecifico e deve essere come un bisturi che seziona le parti della sentenza da ricostruire. La vecchia e la nuova formulazione dell´art. 342 cpc non mutano sostanzialmente il concetto di motivo di appello. Nota a sentenza della Corte di Appello di Potenza n. 372  del 2016.


Sommario: 1. La sentenza: il fatto; 2. La sentenza: in diritto; 3. Il commento.

1. La sentenza: il fatto

Tizio ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lagonegro, Caio per ottenere la risoluzione del “compromesso di vendita di locale commerciale e depositi” stipulato fra le parti in data 0 gennaio 0000, allegando difformità edilizie da cui sarebbero affetti i locali.

Si è costituito il convenuto Caio che non solo ha contestato la domanda, ma ha agito in via riconvenzionale chiedendo di dichiarare la risoluzione del preliminare e l’incameramento della caparra.

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha rigettato la domanda principale ed accolto la domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto, dichiarando per l’effetto sussistere i presupposti per il recesso e la sussistenza del diritto di Caio al definitivo incameramento della caparra contrattualmente prevista.

Il Tribunale ha osservato: che i locali siti al piano seminterrato sono stati indicati nel contratto quali “depositi”, di talché alcuna Iagnanza in ordine alla destinazione degli stessi può essere sollevata da parte dell'attore; che il locale sito al piano terra è risultato conforme alle prescrizioni edilizie; che, quanto alle altezze diverse riscontrate nei locali-deposito, esse rappresentano una parziale difformità rispetto alla concessione edilizia e che non sussistono gli estremi per una impugnativa del contratto in quanto la regolarità urbanistica non è requisito essenziale nei contratti preliminari; che la ingiustificata stipula del contratto definitivo a seguito di formale invito del convenuto rappresenta una ipotesi di inadempimento.

Avverso detta sentenza Tizio ha proposto appello per i seguenti motivi: A) Vizio di motivazione. Afferma l'appellante che il Tribunale, dopo aver riscontrato la difformità relativa all'altezza dei locali adibiti a deposito, ha ritenuto che esse potrebbero essere anche dovute agli interventi di ristrutturazione posti in essere dall'attore. Viceversa, la prova per testi articolata ha dimostrato quali lavori siano stati eseguiti, per cui non è pensabile che la difformità dell'altezza derivi da intervenuti successivi; B) Decisione ultra petitum: il Giudice riqualifica la domanda riconvenzionale del convenuto asserendone la fondatezza sulla presunzione che il convenuto (che agisce in riconvenzionale per domandare la risoluzione del contratto) in realtà avrebbe voluto chiedere il recesso ex art 1385 c.c. C) Nullità dalla vendita. Afferma l’appellante che la vendita di un immobile che presenti irregolarità dal punto di vista urbanistico non comporta semplicemente l'inadempimento e dunque la responsabilità del venditore, ma implica la nullità del contratto stesso. Per cui, la difformità di altezza incide in modo rilevante sul contratto perché varia la destinazione d'uso dei locali che, per effetto della mutata altezza, non sono più da considerarsi locali “deposito”.

Chiede, alla stregua di tanto, la riforma della sentenza impugnata, con conseguente accoglimento della domanda principale e rigetto di quella incidentale. Con ordinanza del 00.00.0000 la Corte di Appello ha fissato per la discussione l’udienza, ai sensi dell`art. 281 sexies c.p.c.

All'udienza 000000, la causa è stata discussa e decisa con lettura contestuale del dispositivo e della motivazione della sentenza.

2. La sentenza: in diritto

L’appello é inammissibile: esso difetta dei requisiti richiesti dalla legge.
Come è noto, l'attuale formulazione dell’art. 342 c.p.c. prescrive che l’appello debba essere motivato.

La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità:

  1. L’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
  2. l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Il previgente art. 342 c.p.c. indicava invece quali elementi necessari dell'atto di appello l'esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione.

La norma novellata, lungi dall'escludere la necessità di specifici motivi di appello, malgrado l'eliminazione del precedente espresso riferimento ad essi, pone in stretta relazione le attività previste dai nn. 1 e 2 del secondo comma con l’onere di motivazione previsto dal primo comma.

Nel caso di specie non risulta esserci l'atto di appello redatto conformemente ai dettami inderogabili dell'art. 342 cpc.

Ergo l'appello è inammissibile.

Condanna alle spese ed al doppio del contributo a carico della parte soccombente.

3. Commento

Questa sentenza rappresenta un'applicazione interessante dell'art. 342 c.p.c. nuova formula, perché non si limita a fornire una stringata motivazione sul punto, ma si sofferma sulla giustezza applicativa della fattispecie per indurre l'operatore a riflettere sul contenuto della norma stessa.

L'atto di appello viene esaminato, prima di tutto, nella sua corretta impostazione formale, nella sua struttura e, poi, con riferimento alla fondatezza dello stesso.

L'appello è un atto che va sostenuto da motivi. Esso non può e non deve limitarsi a mere deduzioni, magari già ripetute nel corso del giudizio di primo grado; l'atto di appello deve contenere censure alla sentenza di primo grado e le censure formulate, rappresentate da vere e proprie critiche, in punto di fatto e di diritto, alla decisione gravata, vanno esaustivamente motivate [1]

I motivi, difatti, non possono e non devono mancare, altrimenti scatta la sanzione dell'inammissibilità. Motivare, dunque, non significa, come giustamente ed analiticamente sostenuto dalla Corte annotata, svolgere un'attività meramente assertiva, ma occorre uno studio ed una attività che va oltre la mera ed infeconda considerazione sicché l’appellante, deve:

a) indicare le ragioni per le quali ritiene che debba essere modificata la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, sottoponendo una critica sufficientemente specifica le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata;
b) esporre, sempre in maniera specifica, le ragioni per cui ritiene un’inesatta ricostruzione della fattispecie sotto il profilo giuridico, indicando le conseguenze che ne derivano ai fini di una decisione.

Sotto il profilo contenutistico, vanno anche rilevate le differenze tra l’atto d’appello “ammissibile” ai sensi del previgente art. 342 c.p.c e quello “ammissibile” ai sensi della stessa norma processuale riformulata.

In ordine all'aspetto in esame la Corte si sofferma ad una vera e propria ricostruzione della fattispecie che merita indubbia attenzione.

Nel regime anteriore, l’appellante, dopo una sommaria ricostruzione dei fatti, poteva limitarsi a esporre una critica sufficientemente specifica all'operato del giudice di prime cure, effettuando un richiamo, anche generico, agli atti del primo grado e alla motivazione della sentenza impugnata.
Spettava poi ai giudice d’appello verificare, leggendo gli atti e le motivazioni della sentenza, la fondatezza delle censure.
Ciò imponeva spesso (ed impone, nelle cause ancora non assoggettate al nuovo rito di appello) una defatigante ricerca, nei verbali e negli atti di causa, delle circostanze in ipotesi non adeguatamente valutate dal giudice di prime cure.

Tale procedimento non è più consentito.

Come si evince dalle relazioni che hanno preceduto l'adozione della novella, lo scopo perseguito è quello di migliorare l’efficienza del sistema delle impugnazioni, con chiaro riferimento al § 520 del codice di procedura civile tedesco.
Il legislatore tedesco, infatti, attesta la necessità di una motivazione seria e sostitutiva di un punto errato della sentenza appellata, con sufficiente perentorietà.

E' ora necessario, in altri termini:
a) indicare i passi della sentenza non condivisi, se non trascrivendoli integralmente, almeno riassumendone in maniera chiara e sufficientemente specifica il contenuto;
b) esporre i motivi specifici di dissenso, indicando gli errori, anche di diritto, e omissioni in cui è incorso il giudice di primo grado;
c) esporre, sulla scorta di essi, un “ragionato progetto alternativo di decisione". [2]

In altre parole, come afferma correttamente la Corte di Appello di Potenza, tenuto anche conto del riferimento dell'art. 342 c.p.c. alla “motivazione”, il nuovo atto di appello assume un aspetto contenutistico assimilabile a quello della sentenza, nel senso che anche per l'appello deve esserci il requisito dell’autosufficienza. Ma il contenuto è solo assimilabile a quello di una sentenza.

Difatti la motivazione della sentenza contiene il ragionamento logico giuridico nell'interezza del casus decisus; mentre la motivazione nell'atto di appello incide e motiva relativamente alla critica del singolo punto o della singola parte della sentenza da espungere o correggere.

Vero è che in entrambi i casi si parla di autosufficienza. In tal caso l'autosufficienza è l'assoluta autonomia della motivazione che, da sola, deve costituire parte del tutto e far intendere appieno, senza possibilità di confusione o di scarsa chiarezza, il ragionamento logico giuridico ed i punti analizzati e risolti in un modo piuttosto che in un altro.

La motivazione è essa stessa decisione; è il decisus.
L'autosufficienza deve poter consentire al lettore (anche comune) di comprendere appieno, in modo esaustivo, il contenuto, lo svolgimento e la decisione del processo, senza dover rinviare ad altro ed, in particolare, senza dover rinviare alla lettura di verbali, memorie, documenti per poterne cogliere il senso. L'autosufficienza distacca la sentenza dal processo conferendole piena autonomia.

Il requisito della motivazione, nel senso precisato, condiziona l’ammissibilità del gravame, ma non esonera tuttavia il giudice, superato tale vaglio, da una concreta verifica della rispondenza della ricostruzione operata dall'appellante in base a tutti gli elementi di causa (al contrario di ciò che accade nel giudizio di legittimità, in cui la lettura degli atti processuali diversi dalla sentenza impugnata e dal ricorso è consentita solo nel caso in cui siano proposte censure di carattere processuale).[3]

E' il caso di evidenziare che la norma riformata, tesa all’agevolazione e allo sveltimento del lavoro del giudice di appello, si pone in stretta connessione con la previsione del “filtro in appello" (art. 348 bis c.p.c.), istituto a sua volta riconducibile al § 522 del codice di procedura civile tedesco.

Infatti, l’interpretazione dell’art. 348 bis c.p.c., che la Corte ritiene più convincente, identifica la probabile infondatezza dell’appello con la sua palese infondatezza, rilevabile, cioè, ad una prima lettura dell'atto di gravame nell’ambito di fattispecie sostanziali e processuali non particolarmente complesse.

Non è ragionevole, infatti, ipotizzare l'adozione del modello procedimentale, previsto dagli artt.. 348 bis e segg. c.p.c., che consente inoltre una motivazione semplificata, in casi differenti.

Non a caso, si afferma nella motivazione del testo della novella approvato dalla Camera dei Deputati il 23/7/2012 che l'art. 348 bis c.p.c., traendo spunto dal § 522 del codice di procedura civile tedesco, consente al giudice di vedere agevolato il proprio compito di esame, fugando il rischio di un utilizzo arbitrario del filtro, impedito dalla traccia specifica proposta dall'appellante, su cui necessariamente dovrà tararsi la prognosi di ragionevole probabilità di accoglimento.

In tale contesto, la redazione dell'atto di appello secondo le modalità previste dall'art. 342 c.p.c., permette al giudice di valutare con immediatezza il tipo di procedimento e di provvedimento da adottare (ordinanza di inammissibilità, sentenza - eventualmente ex art. 281 sexies c.p.c. - in caso di palese fondatezza dell’appello, rinvio ordinario per la precisazione delle conclusioni nel caso di fattispecie più complesse e con profili sostanziali e processuali di particolare problematicità).

Non bisogna, però, incorrere in errore. Anche nell'appello "vecchio rito" sussiste l'obbligo del motivo specifico.[4]

Si è passati dal motivo specifico ad un obbligo di motivazione più ampio perché inclusivo anche di una sorta di "progetto decisionale" (mera suggestione senza ambizione di sostituire la decisione che è sempre, solo ed esclusivamente, del giudice), o meglio di una bozza di sentenza che possa valere a sostituire quelle appellata.

Anche prima dell'emendamento, infatti, l'appello doveva (ed è) essere sorretto dalla motivazione.

Il Giudice d'appello doveva (e deve, attesa la copiosa pendenza degli appelli vecchio rito) vagliare e valutare i motivi d'appello, ben espressi con chiarezza e precisione, in modo dettagliato e non meramente assertivo, costituenti vere censure al provvedimento gravato e deciderne l'inammissibilità, l'accoglimento (perché fondato) oppure il rigetto (perché infondato).

I motivi di appello devono sempre essere specifici e tale previsione sussiste nella formulazione originario dell'art. 342 c.p.c., applicabile ai processi di appello cd. "vecchio rito" e, precisamente, a quelli introdotti prima della novella. Il che impone all'appellante di procedere sempre secondo l'indicazione precisa della censura alle parti della sentenza di primo grado e del suo perché.

Al di là della critica, soltanto enunciata, occorre specificare e riportare nell'atto di appello quali siano le parti della motivazione insufficienti, carenti e contraddittorie, con l'indicazione delle ragioni della decisività degli errori motivazionali con la loro rilevanza ai fini della decisione.[5]

Quello che effettivamente costituisce novità è l'indicazione della parte della sentenza "in come dovrebbe essere riformata"; in altri termini quello che sembra essere elemento dirimente di inutili e defatiganti giudizi è dato dalla suggestione di una nuova e diversa minuta di sentenza.

Tale profilo non è immune da criticità.

Difatti non può tacersi che "il progetto di decisione"  della sentenza, in pratica, non trova alcun sensibile riscontro perché il magistrato e, nella fattispecie, la Corte di Appello, non gradisce suggestioni, ma opera sempre come giudice terzo per garantire un imparziale e giusto provvedimento.

Il progetto di sentenza appare come un'idea nell'Iperuraneo di Platone.
Trattasi di un concetto astratto e senz'altro con scarsa fortuna applicativa. Anche perché lo sforzo più massacrante per l'operatore del diritto consiste proprio nel momento applicativo della norma che spesso e volentieri appare eccessivamente scollegata dai casi concreti e, dunque, di difficile (se non di impossibile) applicazione.

Di qui consegue che il lavoro non risulta alleggerito nell'esame e nello studio delle carte che c'è e deve esserci sempre.
Fin quando la giustizia sarà res publica.
Il Giudice pubblico, espressione di amministrazione pubblica, interviene super partes e per decidere non può accontentarsi di una bozza di sentenza suggerita, ma deve adoperarsi attraverso la esatta ricostruzione della fattispecie per addivenire all'applicazione della norma attraverso la personale ed indelegabile attività di sussunzione.   

Quello che piuttosto aiuta a snellire ed ad evitare l'abuso del processo che attualmente costituisce uno dei più delicati e difficili problemi dell'amministrazione giustizia, è la sanzione dell'inammissibilità che scatta a monte se l'atto di appello si appalesa strutturalmente inammissibile (art. 342 cpc), oppure è inammissibile per ragionevole probabilità di non accoglimento, in sede di udienza filtro (art. 348 bis e ss c.p.c.).

La sanzione è la chiave di volta.[6]

La sanzione afflittiva dell'inammissibilità con la condanna alle spese ed al doppio del contributo è il vero deterrente (art. 13 comma quater del DPR  115/2002,come modificato dalla L. n. 228/2012).

La riflessione sulla necessità della sanzione e sull'aspetto coattivo ed afflittivo del diritto nasce dall'osservazione puntuale del momento applicativo della norma. La regola senza sanzione non trova cittadinanza in un ordinamento. Il comando (positivo o negativo) non può prescindere dalla pena. Senza, è mera cartula.

L'appello in esame della Corte di Potenza difetta dei requisiti di cui al novellato art. 342 c.p.c.

Sotto il profilo formale che l’appellante ha completamente omesso di indicare le parti del provvedimento che si intendono impugnare e le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado.

Né si ha modo di verificare quali siano le circostanze da cui deriverebbe la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Sotto il profilo contenutistico, l’appellante non indica le ragioni per le quali ritiene che debba essere modificata la ricostruzione dei fatto compiuta dal giudice di primo grado, non sottoponendo ad una critica sufficientemente specifica le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata e non esponendo, in maniera specifica, le ragioni ai fini della decisione.

La sanzione preliminare dell'inammissibilità penalizza indubbiamente l'aspettativa di una decisione sul merito, ma il processo è un metodo fatto basato su di un procedimento che bisogna osservare per poter ottenere una risposta dallo Stato.

Ignorare il procedimento, la regola procedurale, la tecnica di redazione di un atto processuale, può solo portare a gravi confusioni ed alla negazione del riconoscimento di ogni tutela.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] D. FABIANI, Oggetto e contenuto dell’appello civile, in L’appello e il ricorso per cassazione della riforma del 2012, in FI, 2012, V, pp. 284 e 285. G. LUDOVICI, Prova d’appello: le ultime modifiche al codice di rito civile, in (www.judicium.it)
[2] A. TEODOLDI, L'appello civile, Torino 2016; E.M. CATALANO, L' accordo sui motivi di appello, collana Univ. Milano-Fac. giuridica, Milano, 2001
[3] Cass. n. 1651/2014: "La specificità dei motivi di appello deve essere commisurata alla specificità della motivazione e non è ravvisabile laddove l'appellante, nel censurare le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, ometta di indicare, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza impugnata sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni di fatto e di diritto che ritenga idonee a giustificare la doglianza. Ne consegue l'inammissibilità dell'atto di appello che, a fronte della motivazione con la quale il tribunale abbia respinto la domanda di risarcimento del danno commisurata al valore estrattivo dei beni espropriati, basata sul difetto dell'attualità della destinazione estrattiva, si sia limitato a far rilevare il contrasto della motivazione del tribunale con la legislazione e la giurisprudenza in tema di danni provocati dalla P.A. nella materia della illegittima occupazione di fondi." 
Cass. n. 19222/2013: "Il difetto di specificità dei motivi di appello ai sensi dell'art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alla modifica di cui all'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), non rilevato d'ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorché essa non abbia sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poiché si tratta di questione che, afferendo alla stessa ammissibilità dell'impugnazione e, quindi, alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d'ufficio dalla Corte di cassazione."
[4] Qualora l'appellante non contrasti in modo adeguato e con sufficiente grado di specificità, come previsto dall'articolo 342 c.p.c., il fondamento logico giuridico di tutte le argomentazioni del primo giudice, l'accertamento ed il giudizio valutativo di quest'ultimo non possono essere assoggettati a riesame.
[5] Corte di Cassazione, sezione terza, sentenza n. 24629 del 2015.
[6] Sul punto si legga voce inammissibilità in Enciclopedia Treccani.it Nel diritto processuale, vizio dell’atto che impedisce al giudice di esaminare la richiesta avanzata da una parte del processo non presentando essa i requisiti stabiliti dalla legge.