• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 23 Giu 2017

Recidiva reiterata e sostanze stupefacenti

Modifica pagina

Sara Sammito


Il giudizio di comparazione nell´applicazione della recidiva reiterata o della circostanze attenuanti in materia di sostanze stupefacenti alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 74 del 2016. Divieto di prevalenza della circostanza attenuante dell’art. 73, co. 7, D.P.R. 309 del 1990, rispetto alla recidiva reiterata.


Il legislatore, con la Legge del 5 dicembre del 2005, n. 251, “Modifiche del codice penale e alla legge n. 354/1975, in materia di circostanze attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione”, ha apportato notevoli cambiamenti all’interno del diritto penale sostanziale e processuale, introducendo dei veri e propri limiti alla discrezionalità del giudice nel suo potere decisionale.

Le modifiche maggiormente apportate dalla legge suddetta si individuano all’art. 4, in relazione all’istituto giuridico della recidiva reiterata, disponendo l’aumento di pena di un terzo solo nel caso in cui il soggetto, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, commetta un nuovo delitto non colposo; eliminando la possibilità di poter applicare la recidiva reiterata alle contravvenzioni e ai reati colposi.

Preliminarmente, occorre sottolineare che la persona recidiva è colui che volontariamente commette un reato della stessa indole di un reato precedentemente commesso, dopo aver subito un processo e quindi ricevuto una sentenza irrevocabile di condanna. La concessione di tale circostanza da parte dell’organo decidente è connessa all’esistenza di una relazione tra il precedente reato e quello nuovo commesso.

La recidiva ha natura di circostanza aggravante e, per tale ragione, spetta al giudice di cognizione, di volta in volta, verificare la reiterazione dell’illecito come causa di pericolosità sociale dell’autore, avendo riguardo alla natura del reato commesso, al grado di offensività e alla distanza temporale di commissione.

In base al disposto dell’art. 99 c.p., cosi come riformulato dalla Legge n. 251 del 2005, l’aumento di pena per la recidiva deve limitarsi alle sole ipotesi di cui al comma 5, cioè quella relativa ai reati più gravi, mentre sarà facoltativa, a discrezionalità del giudice, per tutti gli altri casi.

Quindi sarà applicata da parte di quest’ultimo qualora il nuovo delitto costituisca un fatto più grave di quello già commesso. Nel caso in cui il giudice debba effettuare il giudizio di comparazione delle circostanze, potrà ritenere prevalenti le attenuanti sulle aggravanti nel caso di recidiva reiterata, ovvero, qualora la recidiva reiterata concorra con una o più attenuanti, il giudice nel procedere al giudizio di bilanciamento ha il potere di escludere la recidiva qualora ritenga che il nuovo reato commesso non sia espressione di una più marcata pericolosità sociale.

Seppur la giurisprudenza di legittimità e di merito, dopo l’introduzione da parte del legislatore della novella n. 251/2005, si è conformata a quanto sin ora detto, anche la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito all’argomento de quo, in primis discutendo sulla natura giuridica della recidiva stessa.

Infatti, con la sentenza n. 249/2010 la Corte Costituzionale ha attribuito carattere facoltativo alla concessione della recidiva reiterata all’art. 99, comma 4 c.p., tale istituto non si trova in contrasto con i principi costituzionali garantiti, la concessione della stessa è alla base di una sentenza definitiva di condanna, delimitandone l’applicazione solo ai delitti non colposi ed essendo basata sulla relazione tra la commissione di reati precedenti ed un nuovo reato.

Il giudizio di facoltatività di applicazione della recidiva reiterata, dice la Consulta, corrisponde ad una valutazione del tutto restrittiva concernente l’aspetto dell’aumento di pena, infatti, il soggetto ricaduto nella commissione di un medesimo reato, precedentemente compiuto, impedisce l’applicazione delle attenuanti sulle aggravanti e mette in atto un giudizio di comparazione da parte del giudice, perchè la recidiva prevale rispetto a tutte le circostanze.

Infatti, proprio nel giudizio di bilanciamento il giudice, al fine di riconoscere la recidiva, deve stabilire se a prevalere è quest’ultima o concorrono unitamente ad essa le circostanze aggravanti, allora in tal caso applicherà l’aumento di pena in relazione alla recidiva; invece nel caso in cui concorrono le circostanze eterogenee, il giudice deve attuare un giudizio di comparazione stabilendo se la recidiva sia prevalente, subvalente o equivalente alle altre circostanze.

Successivamente, con la sentenza n. 251/2012 la Corte Costituzionale stabiliva che: “il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990 sulla recidiva di cui all’art. 99, comma 4, c.p.” e ancora la Consulta ribadisce che: “il giudizio di bilanciamento tra le circostanze eterogenee consente al Giudice di valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando gli effetti sanzionatori di tutte le circostanze, sia tenendo conto di quelle che aggravano la pena, oppure solo di quelle che la diminuiscono”.

Con il giudizio di bilanciamento si ha l’effetto di consentire un riequilibrio di giudicati evitando gli eccessi contrastanti e ingiusti.

Fin quanto detto aiuta a buttare le premesse per affrontare la questione indicata nella sentenza n. 74/2016 della Corte Costituzionale che si è pronunciata in merito sulla questione di legittimità, sollevata dalla Corte d’Appello di Ancona, in relazione all’art. 69 comma 4, c.p. nella parte in cui si prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, D.P.R. 309/1990 sulla recidiva reiterata prevista all’art. 99, comma 4, c.p.

Nel caso di specie, il giudice di prime cure si trovava a valutare la richiesta proveniente dall’imputato, cui veniva contestato il reato ascritto all’art. 73 del D.P.R. 309/1990 e del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 73 D.P.R. 309/1990, per aver illecitamente detenuto un chilogrammo di marijuana e 85 grammi di cocaina, i reati ascritti erano unificati al vincolo della continuazione, condannato già alla pena di quattro anni di reclusione, ritendo la recidiva reiterata equivalente alle concesse circostanze attenuanti generiche. L’imputato avverso tale decisione aveva proposto appello contestando non tanto l’applicazione della recidiva ma solo chiedendo il riconoscimento delle attenuanti generiche previste al comma7, art. 73 D.P.R. 309/1990 al fine di vedersi diminuita l’applicazione della pena.

Quanto chiesto nel ricorso in appello mira a premiare il ravvedimento post delittuoso di colui che collabora, vedendosi diminuita la pena dalla metà fino a due terzi.

Rimessa la decisione alla Corte d’Appello di Ancona quest’ultima ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale sia in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione, sia in riferimento all’art. 69 c.p. nella parte in cui si prevede il divieto delle attenuanti sulla recidiva reiterata.

Il comma 7 dell’art. 73 D.P.R. 309/1990 prevede che la collaborazione del reo è una circostanza attenuante speciale diretta solo a stimolare e premiare il responsabile del fatto, tale attenuante non può essere applicato al recidivo reiterato perché è contro la ratio della norma stessa e non consente al responsabile, sebbene attuando un comportamento post operoso, di godere della diminuzione di pena inflitta.

Infine, la Corte stabilisce che: “la collaborazione resa dopo la sentenza di condanna, non considerata rilevante dal giudice di primo grado, era vasta e completa, pertanto l’intensità di tale collaborazione indurrebbe a ritenere prevalente l’attenuante di cui al comma 7, art. 73 D.P.R. 309/1990 sulla recidiva reiterata.”

Inoltre sempre la Consulta ha stabilito che: “la circostanza prevista all’art. 73 D.P.R. 309/1990 è espressione di una scelta politica criminale di tipo premiale, volta solo ad incentivare, attraverso la diminuzione della pena, il ravvedimento post delittuoso del soggetto, rispondendo all’esigenza di tutelare il bene giuridico, si la prevenzione e la repressione dei reati in materia di stupefacenti. Quando viene riconosciuta la recidiva reiterata nei confronti del soggetto la norma censurata impedisce la disposizione premiale di esplicare i suoi effetti facendo venir meno l’incentivo a cui era ispirata l’attività collaborativa.”

Per questi motivi con sentenza n. 74/2016 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di cui all’art. 69, comma 4, c.p. come sostituito dalla L. 251/2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti di cui all’art. 73, comma 7, D.P.R. 309/1990 sulla recidiva reiterata prevista all’art. 99 c.p.