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Pubbl. Sab, 13 Mag 2017

Il criterio del “tenore di vita matrimoniale” è contrario agli effetti estintivi del divorzio

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Valeria Lucia


La Corte di Cassazione, Sez. I, con sentenza del 10 maggio 2017, n. 11504, ha chiarito che il giudice deve accertare il diritto all’assegno di divorzio, relativamente all’an debeatur, secondo il principio dell’ «autoresponsabilità economica», ovvero con esclusivo riferimento al grado di indipendenza economica del richiedente


Sommario: 1. Premessa. 2. Il precedente orientamento giurisprudenziale. 3. L’approccio della Corte. 4. Il principio di diritto.

1. Premessa.

Come noto, uno degli effetti dello scioglimento del vincolo matrimoniale è l’estinzione del dovere reciproco di assistenza morale e materiale di cui all’art. 143 c.c. Come evidenziato dalla Corte con la pronuncia in commento, “una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso … il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi "persone singole", sia dei loro rapporti economico-patrimoniali (art. 191, comma 1, cod. civ.) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143, comma 2, cod. civ.), fermo ovviamente, in presenza di figli, l'esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi (cfr. artt. 317, comma 2, e da 337-bis a 337-octies cod. civ.)”.

Una volta perfezionata l’estinzione del rapporto matrimoniale, il riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, previsto dall’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, è condizionato dal previo accertamento giudiziale in merito alla mancanza di «mezzi adeguati» dell'ex coniuge richiedente l'assegno o, comunque, dell'impossibilità dello stesso «di procurarseli per ragioni oggettive», in ossequio alla ratio del diritto all’assegno di divorzio, per cui tale diritto è costituzionalmente garantito dal combinato disposto tra l’art. 2 Cost. (rispetto alla natura “assistenziale” della prestazione) e 23 Cost. (rispetto alla doverosità della prestazione stessa), quale dovere inderogabile di «solidarietà economica» tra ex coniugi.

2. Il precedente orientamento giurisprudenziale.

Rispetto alla determinazione dell’an e del quantum debeatur, un orientamento, ormai consolidato tra i giudici della Corte di Cassazione, aveva stabilito che il diritto sorge ogniqualvolta l’ex coniuge non sia autosufficiente, anche in relazione alle aspettative maturate e al “tenore di vita” goduto durante il matrimonio, sulla scorta del principio di «solidarietà economica» tra ex coniugi. Pertanto, per valutare l’adeguatezza dei mezzi economici, il criterio di riferimento era il tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio, per cui la ratio dell’assegno di divorzio, evidentemente, era quella di garantire al coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, producendo una inevitabile e per certi versi ingiustificata commistione tra fase di individuazione dell’an e di successiva determinazione del quantum. (Corte di Cassazione, Sez. Un., nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990)

Il parametro del “tenore di vita matrimoniale”, infatti, se utilizzato nella fase dell’an debeatur, non può non violare la natura giuridica e gli effetti giuridici prodotti dal divorzio, dal momento che, come premesso, la sentenza di divorzio estingue il rapporto sia sul piano personale sia sul piano economico-patrimoniale, per cui l’operatività del suddetto parametro successivamente alla estinzione del rapporto provoca una vera e propria ultrattività del rapporto matrimoniale.

Diriment, in merito, le considerazioni della Corte per cui “le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di contemperamento dell'esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio «inteso come "sistemazione definitiva", perché il divorzio è stato assorbito dal costume sociale» (così la sentenza n. 11490 del 1990) con l'esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dalla «attuale esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali, anche perché sorti in epoca molto anteriore alla riforma», con ciò spiegando la preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che «meno traumaticamente rompe[sse] con la passata tradizione» (così ancora la sentenza n. 11490 del 1990). Questa esigenza, tuttavia, si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile (matrimonio che - oggi - è possibile "sciogliere", previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all'ufficiale dello stato civile, a norma dell'art. 12 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 10 novembre 2014, n. 162)”, senza considerare che, prosegue la Corte, “un'interpretazione delle norme sull'assegno divorzile che producano l'effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell'individuo (cfr. Cass. n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 9)”, in assenza, per contro, di una precisa garanzia costituzionale in favore dell’ex coniuge.

3. Il nuovo approccio della Corte di Cassazione.

Secondo la Corte, quindi, un valido parametro per valutare l’adeguatezza è la “indipendenza economica” dell’ex coniuge e la possibilità effettiva di raggiungere tale condizione. La meritevolezza di un tale approccio trova riscontro nell’utilizzo del criterio della indipendenza economica già in relazione alla posizione del figlio maggiorenne alla prestazione dovuta dai genitori, nonostante il mantenimento dello status filiationis ex art. 238 c.c. e una garanzia costituzionale prevista dall’art. 30 Cost. A contrario, non potrebbe permettersi in una situazione connotata da un rapporto estinto, quale quello matrimoniale, l’utilizzo di un parametro ad esso collegato, quale il “tenore di vita matrimoniale”. Senza considerare che, anche nelle vicende del figlio maggiorenne, e quindi in una situazione di status valido ed efficace, «[....] La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l'autonomia economica tramite l'impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perché contrastante con il principio di autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona [....]» (Corte di Cassazione, sent. n. 18076 del 2014)

E’ evidente che, con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione, in chiave evolutiva, ha voluto abbandonare l’orientamento appena descritto per indicare un nuovo criterio di indagine in merito all’an debeatur, ovvero il principio dell’«autoresponsabilità economica» degli ex coniugi, lasciando ogni valutazione in termini di «solidarietà economica» alla successiva fase di determinazione del quantum, indicando, peraltro, dei veri e propri indici per condurre l’accertamento giudiziale in merito alla indipendenza economica del richiedente e, quindi, l'adeguatezza o meno dei mezzi, nonché la possibilità o meno, «per ragioni oggettive», dello stesso di procurarseli: il possesso di redditi di qualsiasi specie; il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l'assegno; le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

4. Il principio di diritto.

In ragione delle considerazioni esposte, la Corte di Cassazione ha enunciato i seguenti principi di diritto, per cui il giudice del merito, cui è richiesto l’assegno di cui all’art. 5, comma 6 della Legge n. 898 del 1970,“nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell'ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:

A) deve verificare, nella fase dell'an debeatur - informata al principio dell'autoresponsabilità economica" di ciascuno degli ex coniugi quali "persone singole", ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all'assegno di divorzio fatto valere dall'ex coniuge richiedente -, se la domanda di quest'ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso, desunta dai principali "indici" - salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge;

B) deve "tener conto", nella fase del quantum debeatur - informata al principio della «solidarietà economica» dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[....] condizioni dei coniugi, [....] ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [....] reddito di entrambi [....]»), e "valutare" «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.).”