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Pubbl. Mer, 24 Mag 2017

La nozione di amministratore di fatto ex art. 2639 c.c.

Antonella Storti


Espansione del concetto giuridico di amministratore di fatto alla luce della giurisprudenza di legittimità


Il presente lavoro mira ad offrire una compiuta, seppur sintetica, analisi della figura dell'amministratore di fatto. Ai fini di un corretto inquadramento della tematica in esame, occorre, anzitutto, operare una ricostruzione normativa, per poi esporre i più recenti ed autorevoli orientamenti giurisprudenziali in materia.

Il presente lavoro mira ad offrire una compiuta, seppur sintetica, analisi della figura dell'amministratore di fatto. Ai fini di un corretto inquadramento della tematica in esame, occorre, anzitutto, operare una ricostruzione normativa, per poi esporre i più recenti ed autorevoli orientamenti giurisprudenziali in materia.

La nozione di amministratore di fatto è stata introdotta dall’art. 2639 del codice civile e presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione; per significatività e continuità non si intendono, necessariamente, l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, bensì si richiede l’esercizio di una apprezzabile attività di gestione, che sia effettuata in modo occasionale o non episodico.

La prova della posizione di amministratore di fatto, consiste, pertanto, nella necessità di accertare elementi che evidenzino l’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualunque fase della sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell’attività sociale, ad esempio i rapporti con i dipendenti, i clienti o i fornitori, ovvero in ogni settore gestionale dell’attività dell’ente, sia quest’ultimo produttivo, amministrativo, aziendale, contrattuale o disciplinare.

Sul punto, la Suprema Corte ricorda che i descritti connotati non implicano “.”l’esercizio di tutti i poteri propri dell’amministratore di una società, ma richiedono unicamente lo svolgimento di un’apprezzabile attività di gestione in termini non occasionali o episodici". (Cass. sent. 9222/1998).

La risalente giurisprudenza di legittimità riteneva che, ai fini dell’individuazione dell’amministratore di fatto nell’ambito dell’ente, dovesse aversi riguardo alle funzioni concretamente esercitate dal soggetto che si intenda chiamare a rispondere per violazione di obblighi inerenti la gestione e conservazione del patrimonio sociale, essendo, pertanto, irrilevante la formale investitura del soggetto in questione.

In dottrina, l’amministratore di fatto è definito come un soggetto che, in via fattuale, si ingerisce nella direzione dell’impresa sociale, impartendo istruzioni agli amministratori ufficiali e condizionandone le scelte operative, pur essendo formalmente sprovvisto della veste di amministratore, in quanto non viene nominato dall’assemblea.

Già in varie pronunce la Suprema Corte aveva riconosciuto la possibilità di estendere agli amministratori di fatto le responsabilità addebitabili agli amministratori di diritto.

Ai fini dell’approfondimento del concetto di amministratore di fatto è indispensabile far riferimento alla nota sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sezione V penale,  n. 51091 del 2015, la quale offre sul punto un utilissimo inquadramento sistematico della nozione oggetto della presente trattazione.

I fatti oggetto di giudizio sono, in sintesi, i seguenti: la Procura di Milano contestava il delitto di bancarotta documentale ad un imprenditore, formalmente non inquadrato all’interno di una società dichiarata fallita, per il fatto di aver gestito concretamente l’azienda fallita, assieme al Direttore generale dell’Ente ed all’amministratore di diritto.

La difesa dell’imputato sosteneva, al contrario, che l’imputato non avrebbe partecipato alla gestione dell’azienda, contribuendo alla formazione delle decisioni assunte formalmente dai soggetti apicali.

La Suprema Corte respinge la tesi della difesa, sulla base delle argomentazioni che vengono di seguito esposte.

Parte ricorrente sosteneva che la qualificazione di amministratore di fatto presupponga un esercizio continuativo e significativo di funzioni di amministrazione, posto che, i caratteri poc’anzi menzionati, si riferiscano al complesso dei profili gestionali di tenuta della contabilità, di organizzazione interna e di rappresentanza esterna della società fallita.

Sul punto, la Suprema Corte ricorda che, invece, i descritti connotati non implicano “l’esercizio di tutti i poteri propri dell’amministratore di una società, ma richiedono unicamente lo svolgimento di un’apprezzabile attività di gestione in termini non occasionali o episodici.” (Cass. sent. 51091/2015). In conclusione, l'amministratore di fatto è equiparato all'amministratore provvisto di una formale investitura, quanto a possibilità di rispondere per i danni arrecati alla società, dal momento che, a tal proposito, è adottato un criterio funzionale e qualitativo, ossia si tiene conto delle funzioni in concreto svolte dal soggetto che amministra l'ente di fatto. E ciò, sempre nel rispetto di quanto sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, ossia che lo svolgimento dell'attività di gestione non sia occasionale, bensì rivesta il carattere dell'apprezzabilità.