Pubbl. Mer, 3 Mag 2017
Quali delibere condominiali hanno efficacia senza il proprio consenso?
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Giuseppe Ferlisi
Uno sguardo alla differenza tra clausole contrattuali e clausole convenzionali per capire cosa può regolare o meno il condominio nella propria sfera privata
Il condominio e l'efficiacia delle delibere condominali rappresentano una questione da sempre dibattuta in giurisprudenza e nella vita dell'uomo comune, essendo forse l'esplicazione più immediata del diritto nel quotidiano.
Sicuramente le Assemblee Condominiali rappresentano per molti un vero e proprio incubo, culturalmente ben espresse anche dalle trasposizioni fantozziane che ne esaltavano l'aspetto tragicomico.
In questo articolo si affronterà una questione estremamente immediata - che potrà aiutare i lettori nelle proprie "battaglie" condominiali - ossia quella dei diritti disciplinabili da una delibera condominiale addottata a maggioranza e non all'unanimità; in concreto, quindi, ciò che l'assemblea condominiale può stabilire o meno senza il vostro (nostro) consenso.
Nel regolamento condominiale possono essere contenute due tipi di clausole: le clausole c.d. regolamentari e quelle contrattuali.
Le prime disciplinano la gestione e l’uso delle cose comuni, la tutela del decoro dell’edificio, la ripartizione delle spese o l’amministrazione in genere (e sono vincolanti per tutti i condòmini, anche per la minoranza dissenziente, nonché per tutti gli eredi ed aventi causa da ciascun condòmino), mentre le clausole contrattuali impongono pesi e limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condòmini sulle parti di loro proprietà esclusiva o sulle parti comuni.
Recentemente la sentenza n. 5657 del 20 marzo 2015 della Cassazione è intervenuta proprio sulla questione della validità e dell’opponibilità delle clausole di questo ultimo tipo, in considerazione del contenuto particolare delle stesse.I giudici di legittimità hanno chiarito che le clausole contrattuali (che, ad es., impediscono l’accesso ad alcuni condòmini ad alcune zone del condominio), in quanto lesive dei diritti di proprietà comune, sono valide nei confronti di tutti i condomini solo se approvate all’unanimità dall’assemblea o facciano parte del regolamento condominiale predisposto dal primo e unico proprietario del fabbricato e successivamente accettato da tutti i condomini.
L’opponibilità delle singole clausole del regolamento può avvenire, sostanzialmente, mediante:
- l’accettazione espressa, ossia attraverso il richiamo delle clausole in questione, nel rogito di acquisto dell’immobile. La Suprema Corte ha precisato che le clausole di natura contrattuale sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora - indipendentemente dalla trascrizione del regolamento - nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento stesso od alla semplice menzione di esso nel contratto;
- la trascrizione del regolamento nei registri immobiliari (n.b.: il regolamento non è un atto di per sé trascrivibile, ma può essere “trascritto” quale allegato all’atto di acquisto di ciascun condòmino): in tale caso non è necessario che tali clausole siano richiamate nel rogito, dal momento che l’opponibilità deriva direttamente dalla trascrizione.
È frequente, specialmente negli ultimi anni, che il regolamento condominiale venga predisposto unilateralmente dal costruttore del fabbricato, senza essere sottoposto all’approvazione da parte dell’assemblea condominiale.
Tale regolamento diventerà efficace per ciascun condòmino solo a seguito dell’impegno assunto da ciascuno ad osservarne il contenuto.
Venendo alla "trascrizione", approfondiamo la questione per capire meglio in quale atto possiate ricercare la presenza o meno di un regolamento che sia vincolante e che quindi vi abbia già "messo in scacco" rispetto alla questione che si intende difendere.
Il regolamento contrattuale che, spesso e volentieri, impone anche limiti alla proprietà privata, viene normalmente allegato all'atto della vendita dei singoli appartamenti ovvero semplicemente richiamato nello stesso.
Tale allegazione è fisica all'atto di compravendita e, come detto, è pari anche il mero richiamo; in entrambi i casi si obbliga contrattualmente l'acquirente e il venditore, di talché le clausole nello stesso contenute risultano comunque vincolanti per i nuovi condomini, e tanto anche indipendentemente dalla trascrizione nell'atto di acquisto, in virtù del fatto che già il mero richiamo presuppone la conoscenza e l'accettazione del regolamento di condominio (Cass. 17886/2009, da ultimo
Cass. sent. n. 19212, del 28.09.2016 : "le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione nell'atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”).
Non dobbiamo poi dimenticare che, anche in presenza di un regolamento contrattuale già predisposto dal costruttore, possono comunque porsi dei problemi legati all'applicazione della normativa del codice del consumo. La giurisprudenza ha infatti ritenuto che il costruttore-venditore possa essere considerato “professionista” e che di converso l’acquirente possa considerarsi quale “consumatore”, pertanto l'adesione dell’acquirente-consumatore ad un documento predisposto dal venditore-professionista, che il primo non ha avuto di fatto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto, farebbe scattare la nullità relativa di protezione di cui all’art. 36 n. 2, lett. c) d.lgs 206/2005.
Ogni condomino può - nei casi di violazione dei principi prima menzionati - impugnare entro 30 giorni - calcolati dal momento della deliberazione - il regolamento della comunione davanti all'autorità giudiziaria. Per coloro non presenti al momento della deliberazione (gli assenti) il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. L'autorità giudiziaria decide con un'unica sentenza sulle opposizioni proposte.
Decorso tale termine senza che il regolamento sia stato impugnato, questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti.
Il ragionamento giuridico che sottende la differenza tra clausole contrattuali o regolamentari poggia le proprie basi sul bilanciamento che deve effettuarsi fra il diritto al condominio ed il diritto dei singoli proprietari di poter godere liberamente del proprio bene. Per cui quest'ultimo diritto - costituzionalmente garantito - viene protetto e dichiarato restringibile solamente dalle clausole contrattuali.
Per utilizzare le parole di Cass. n. 6768 del 15.06.1991: “le norme dei regolamenti condominiali che al fine di assicurare ai condomini un godimento pieno e tranquillo, sia delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, sia delle parti comuni dell’edificio, pongono limitazioni all’uso di esse, riducendo la naturale esplicazione del diritto di proprietà, hanno natura contrattuale e debbono perciò essere approvate – a differenza di quelle concernenti la disciplina dell’’uso delle cose comuni e dei servizi condominiali – all’unanimità”.
"Il regolamento di condominio può disciplinare le situazioni di diritto reale riguardanti le parti di proprietà esclusiva dell’edificio soltanto se abbia natura contrattuale e cioè quando sia stato predisposto dall’unico originario proprietario dell’edificio stesso ed accettato con i singoli atti d’acquisto, ovvero quando venga adottato con il consenso unanime dei condomini manifestato nelle forme prescritte” (Cass. 5065/86).
Inoltre la Cassazione, con sentenza n. 3848/85, ha stabilito che rientra in questa categoria (e quindi approvabili solo all'unanimità) anche il divieto di dare una determinata destinazione alla porzione di sua proprietà esclusiva, poiché consisente in una limitazione delle facoltà inerenti al diritto dominicale, il quale non può derivare da una deliberazione assembleare adottata con le maggioranze previste per la regolamentazione dell’uso e del godimento dei beni comuni (art. 1138 c.c.), ma presuppone un titolo convenzionale con la accettazione del vincolo da parte del condomino stesso.
In difetto di tale accettazione, pertanto, deve escludersi che una certa utilizzazione dell’alloggio di proprietà esclusiva possa di per sé costituire fatto illecito, avverso il quale sia dato al condominio od agli altri condomini facoltà di insorgere, salva restando la tutela di questi per gli eventuali pregiudizi che possano derivare dal concreto svolgimento delle attività inerenti a detta destinazione e dalle relative modalità (ad esempio, in caso di immissioni eccedenti la normale tollerabilità a norma dell’art. 844 c.c.).
Ma quali sono - in sostanza - i diritti che il condominio non può regolare senza il consenso (o la trascrizione)?
Si tratta dei più comuni e sono quelli che poi sono il terreno di maggior scontro all'interno delle assemblee, e che possono spesso portare ad una elargizione economica non dovuta dal condomino cosciente dei propri diritti.
Per esempio sono diritti rientranti nelle clausole contrattuale: l'installazione della parabola satellitare sul proprio balcone, l'installazione di gazebi, il divieto di destinare il proprio immobile ad ufficio, la presenza di piante o vasi sul proprio terrazzino, la frittura del pranzo della mamma e tutti quei diritti che sono esclusivi della proprietà.
Armatevi di diritto e nemmeno un'assemblea condominiale intera potrà obbligarvi a fare qualcosa a cui non siate obbligati.