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Pubbl. Ven, 5 Mag 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

L´evoluzione del principio di colpevolezza nella giurisprudenza in materia edilizia

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Giuseppe Mainas


Il principio di colpevolezza è un principio estremamente delicato e complesso da analizzare, soprattutto qualora venga posto in relazione alla confisca urbanistica. I casi Sud Fondi-Punta Perotti e successivamente il caso Varvara ne sono un esempio, soprattutto, in seguito all´ arresto giurisprudenziale del 2015 da parte Corte Costituzionale


Sommario: 1. Premessa; 2. Prima fase: caso Sud Fondi - Punta Perotti; 3. Seconda fase: caso Varvara; 4. Sentenza n. 49/2015 della Corte Costituzionale; 5. Conclusioni.

1. Premessa

Posto il principio di colpevolezza desumibile dall’art 7 CEDU, si tratta di verificare perché mai questo principio, che peraltro nell’ordinamento nazionale è molto più esplicitamente enunciato nell’art. 27 Cost., sia riuscito negli ultimi anni a produrre effetti innovativi nell’ordinamento nazionale, senza che quegli effetti innovati fossero per così dire prima prodotti dal corrispondente principio di cui all’art. 27 della Costituzione.

2. Prima fase: caso Sud Fondi - Punta Perotti

La disciplina nazionale, evolutasi nel tempo, per un particolare tipo di reato di edilizio (quello di lottizzazione), previsto prima dall’art. 17 L. 47/1985 poi dall’art. 44 T.U.E.(testo unico edilizia) D.P.R. 380/2001, prevede che il giudice penale quando accerta la lottizzazione applica la confisca del manufatto se realizzato e del terreno di una certa estensione. Questa previsione, prima art. 17 oggi art. 44, proprio perché prevede che il giudice applica la confisca quando accerta la lottizzazione, è stata sempre intesa per decenni dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione nel senso che il giudice deve applicare la confisca sul solo presupposto dell’accertamento della materialità del fatto di lottizzazione, cioè sul solo presupposto dell’accertamento processuale del fatto di reato, dell’elemento materiale del reato, della materialità del reato di lottizzazione nonostante quel giudice abbia prosciolto per difetto dell’elemento soggettivo l’imputato. Quindi per anni i giudici hanno prosciolto e non hanno condannato, ma hanno applicato la confisca. In realtà sottesa a questa impostazione, seguita per decenni dalla giurisprudenza, c’era:

  • non soltanto l’interpretazione testuale dell’art. 44 (quando il giudice accerta la lottizzazione e non quando accerta la responsabilità o quando il giudice condanna);
  • ma anche un’opzione relativa alla natura giuridica della confisca urbanistica. In realtà si concludeva per l’applicabilità della confisca, nonostante il proscioglimento e quindi nonostante la mancata condanna, sul solo presupposto dell’accertamento dell’elemento materiale del reato, perché si muoveva dall’assunto secondo cui la confisca fosse da considerare non pena ma sanzione amministrativa, applicata dal giudice in luogo della P.A. Proprio muovendo da questa impostazione, quella giurisprudenza per decenni ha consentito ai giudici di applicare la confisca nonostante l’assoluzione; perché se la confisca fosse stata considerata pena la giurisprudenza non avrebbe potuto concludere per l’applicabilità della stessa a soggetto innocente, al soggetto prosciolto.

Intorno agli anni 2000 succede che a Bari, in una vicenda molto nota, il caso Punta Perotti, vengono prosciolti per difetto dell’elemento soggettivo (ma previo accertamento del fatto di lottizzazione) alcuni imputati e il giudice applica la confisca. Quei soggetti ricorrono alla CEDU e deducono il contrasto dell’ordinamento nazionale, nella parte in cui prevede e ammette la confisca in danno del prosciolto, con l’art. 7 CEDU, in particolare con il principio di colpevolezza da esso desumibile.

La Corte EDU, nel 2007 in sede di ammissibilità del giudizio e nel 2009 in sede di definizione del merito, sostiene il contrasto dell’ordinamento italiano con l’art. 7, ma a questo esito perviene però muovendo dall’assunto secondo cui quella confisca urbanistica, considerata sanzione amministrativa dalla giurisprudenza italiana, deve ritenersi invece, sulla base della concezione autonomistica delle pene seguita dalla corte EDU, una sanzione penale e come tale applicabile previo accertamento non soltanto più dell’elemento materiale del reato ma previo accertamento della responsabilità penale in tutti i suoi elementi, non solo materiale ma anche psicologico.

Sulla base di quali parametri la Corte EDU nel caso Sud-Fondi vs Punta Perotti perviene a qualificare come sanzione penale la confisca urbanistica?

  • La confisca è misura legata a filo doppio al processo penale, perché è misura applicata dal giudice, è misura applicata in seguito al processo penale, è misura che presuppone l’accertamento della responsabilità, anche per i giudici italiani di una parte di responsabilità quanto meno dell’elemento materiale;
  • È una misura che è formalmente qualificata penale anche dall’ordinamento italiano, perché la rubrica dell’art. 44 del T.U.E. cita sanzioni penali, sicchè anche nell’ordinamento nazionale, sebbene i giudici la considerino sanzione amministrativa, vi è un appiglio formale dato proprio dalla rubrica dell’art. 44 T.U.E che disciplina questa ipotesi di confisca;
  • I giudici della Corte EDU valorizzano soprattutto il dato della gravità della misura in questione, una gravità desunta in astratto (dalla particolare estensione dell’area sulla quale la confisca urbanistica deve applicarsi) in concreto ( dalla finalità della stessa, avendo quella misura un carattere più afflittivo, di prevenzione che un carattere riparatorio del danno).

Sulla base di questi parametri, la Corte EDU concluse per  la natura di pena della confisca urbanistica e affermarono la necessità che l’applicazione della stessa fosse subordinata all’accertamento della responsabilità.

A partire dalla pronuncia CEDU cambia il nostro ordinamento, infatti i giudici italiani (che per decenni avevano applicato la confisca urbanistica  al prosciolto, per difetto dell’elemento soggettivo,  e quindi avevano ritenuto applicabile la confisca sul solo presupposto dell’accertamento del fatto, dell’elemento materiale) hanno iniziato a sostenere la necessità, quale condizione di applicabilità della confisca, non del mero accertamento del fatto ma dell’accertamento della responsabilità tutta quindi elemento oggettivo e soggettivo.

In realtà i giudici italiani a questo esito, dopo le due sentenze della Corte EDU,  sono pervenuti senza smentire l’assunto teorico di fondo e cioè che la confisca urbanistica fosse sanzione amministrativa. In altre parole, nella giurisprudenza nazionale italiana, successiva alla Corte EDU Sud fondi,  si è ribadito che la confisca sia sanzione amministrativa, come già in passato sostenuto, ma si è affermato che la sua applicazione debba essere condizionata alla verifica processuale non soltanto della materialità del reato di lottizzazione ma anche dell’elemento soggettivo, a tanto pervenendo valorizzando il fatto che anche per le sanzioni amministrative la legge sugli illeciti amministrativi L. 689/81 pretende l’accertamento non solo dell’elemento oggettivo ma anche di quello soggettivo.

Sicché la giurisprudenza italiana da un punto di vista di inquadramento dogmatico ha confermato che la confisca è sanzione amministrativa e non penale ma, onde evitare il conflitto con la CEDU (che contrariamente ha affermato la necessità dell’accertamento della colpa ai fini dell’applicabilità della confisca, che è pena e non sanzione amministrativa), ha sostenuto che pur essendo la confisca sanzione amministrativa essa può applicarsi solo in quanto sia verificata anche la colpa.

3. Seconda fase: caso Varvara

Dopo questa prima fase, è esploso un dibattito sui rapporti con la prescrizione. Ci si è iniziati a chiedere, posto che la Corte EDU ha sostenuto che in base all’art. 7 della CEDU non vi può essere più confisca urbanistica, intesa come pena, senza accertamento non soltanto dell’elemento materiale ma anche della colpa, può la confisca urbanistica essere applicata dal giudice quando il processo penale si definisce una con declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione? Questa domanda incomincia a tormentare la giurisprudenza dal 2009 fino alla sentenza n 49/2015 della Corte Costituzionale. Ci si è chiesti: è compatibile con l’art. 7 CEDU e con i principi affermati dalla Corte EDU nel caso Sudfondi l’applicazione della confisca intervenuta all’esito di un processo penale che si sia chiuso non con una condanna ma con una declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione?

La giurisprudenza nazionale ha risposto limpidamente a questo quesito, perché ha sostenuto tale principio: la Corte EDU nel caso Sud fondi ha pretesto che la confisca, intesa come pena, sia applicabile solo previo accertamento dell’elemento materiale e dell’elemento soggettivo, quindi posto tutto questo, la confisca può applicarsi anche al termine di un processo conclusosi con prescrizione a condizione che in quel processo, tuttavia, ci sia stato un accertamento incidenter tantum di responsabilità dell’imputato, sul doppio fronte dell’elemento materiale e dell’elemento soggettivo, quando cioè nel processo ci sia stato accertamento di responsabilità, accertamento dell’elemento materiale e dell’elemento soggettivo, applicazione della confisca e poi declaratoria di intervenuta prescrizione

Tutto questo è coerente con la CEDU perché ciò che la Corte EDU, nel caso Sud fondi, ha chiesto è che ci sia prima, quale condizione della confisca, l’accertamento della colpa ma non ha chiesto che ci sia necessariamente condanna, e vi può essere nel nostro ordinamento italiano una scissione tra accertamento della responsabilità e condanna, ci può essere un accertamento incidentale di responsabilità non seguito da condanna concludendosi il processo con la declaratoria di estinzione per prescrizione, ma non ci può essere mai teoricamente la seconda senza la prima.

Quanto appena enunciato riguarda esclusivamente la vicenda nazionale. Nel 2013, interviene ancora una volta la Corte EDU nel caso Varvara. La Corte EDU ha affermato che, posto che la confisca urbanistica è una sanzione penale, la sua applicazione nell’ordinamento nazionale non può non presupporre, pena la violazione di alcuni parametri, una sentenza di condanna, sicché ogniqualvolta tale sentenza difetti nel processo, in quanto conclusosi con una declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione, non può esserci mai applicazione di una confisca urbanistica rispettosa dei principi CEDU.

A supporto di questa posizione assunta dalla Corte EDU nel caso Varvara, furono dalla stessa esplicitati alcuni argomenti.

Il principale argomento fu la confisca urbanistica che, per la sua natura e per il suo contenuto ablatorio, sopprime un bene, il diritto di proprietà, che è presidiato in modo assoluto dalla CEDU. Questa tutela assoluta del diritto di proprietà, soppresso in caso di applicazione di confisca urbanistica, si spingerebbe fino al punto di condizionare l’applicazione della confisca urbanistica alla sola sentenza di condanna, giammai al mero accertamento incidenter tantum di responsabilità.

La Corte EDU avrebbe quindi sostenuto che la condanna, il pronunciamento di condanna, sia la condizione ineludibile per l’applicazione della pena tale essendo la confisca urbanistica.

A tale risultato la Corte EDU nel caso Varvara sarebbe pervenuta valorizzando l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, che consacra il diritto di proprietà.

"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni Precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende."
(art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU).

Quindi la tutela assoluta del diritto di proprietà, soppresso, dalla confisca urbanistica, avrebbe indotto la Corte EDU ad assumere questo atteggiamento così rigoroso, pretendendo non il mero accertamento incidenter tantum di responsabilità, ma il formale pronunciamento di condanna quale condizione per l’applicazione della confisca.

Senonché i giudici nazionali italiani hanno sollevato questione di legittimità costituzionale. Dunque, cosa che succede quando una norma CEDU per come interpretata dalla Corte EDU appare configgente con altri principi costituzionali, che pure abbisognano di una protezione e hanno una base costituzionale?

I giudici a quibus hanno sollevato questione di costituzionalità e hanno dedotto il contrasto dell’art. 44 T.U.E., assolutamente interpretato dalla Corte EDU come norma che non consente l’applicazione della confisca senza previo pronunciamento formale di condanna o, detto diversamente, come norma che non consente l’applicazione della confisca nel caso di mero accertamento della responsabilità, seguito tuttavia da una declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione, con alcuni parametri costituzionali che tutelano altri beni pure dalla costituzione presidiati: il patrimonio artistico, culturale, dell’ambiente, eccetera.

I giudici hanno quindi sostenuto che la Corte EDU per tutelare il diritto di proprietà avrebbe preso una posizione confliggente con altri beni che la Costituzione italiana parimenti presidia e tutela.

I giudici a quibus però sollevano la questione di costituzionalità deducendo il contrasto con i parametri costituzionali, di cui si assume la compromissione, dell’art. 44 T.U.E., come interpretato alla luce della giurisprudenza Varvara, secondo cui non ci potrebbe essere confisca urbanistica senza pronunciamento formale di condanna sulla base di mero accertamento incidentale di responsabilità.

4. Sentenza n. 49/2015 della Corte Costituzionale.

Interviene così la sent. n. 49/2015 Corte Cost., la quale dichiara inammissibile la questione, sulla base di una pluralità di argomenti:

Il primo attiene alla tecnica con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale.
Precedentemente, dopo aver ricostruito i rapporti tra CEDU, ordinamento nazionale e poteri del giudice, si era evidenziato che quando il giudice assume un ipotetico confitto tra l’interpretazione che la Corte EDU dà alla CEDU ed altri valori costituzionali interni, deve sollevare questione di legittimità costituzionale deducendo il contrasto con la norma costituzionale della legge italiana di adattamento alla CEDU, nella parte in cui consente l’ingresso nell’ordinamento nazionale di principi CEDU.
I giudici a quibus, nel caso in esame, non avevano dedotto il contrasto con alcuni parametri nazionali costituzionali della legge di adattamento, nella parte in cui consente l’ingresso nell’ordinamento nazionale del principio secondo cui la confisca urbanistica non può essere applicata sulla base di un mero accertamento incidenter tantum ma solo in forza di una sentenza formale di condanna, ma avevano sollevato questione di costituzionalità per contrasto con i parametri costituzionali dello stesso art. 44 T.U.E come interpretato dalla CEDU nel caso Varvara.

Sostiene la Corte Costituzione che la Corte EDU non interpreta le norme nazionali in quanto il suo compito è quello di interpretare l’art. 7 CEDU e, laddove nel dare un contenuto alla norma, enuncia un principio che il giudice nazionale ritiene non compatibile con altri parametri costituzionali, il giudice nazionale deve sollevare il contrasto con i parametri di quel principio CEDU, di quella norma CEDU come interpretata, e quindi della legge di adattamento che consente l’ingresso nell’ordinamento nazionale della norma CEDU così interpretata.

La Corte Costituzionale ha quindi affermato che oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità non è la norma nazionale per come interpretata dalla CEDU, ma la legge di adattamento che ha consentito di fare entrare in Italia norme dell’ordinamento CEDU, che, così come interpretate dalla Corte EDU, hanno un contenuto che il giudice a quo ritiene configgente con altri parametri costituzionali.

La Corte Costituzionale, non si è soffermata sulla dichiarazione di inammissibilità, ma è andata oltre e ha sostenuto per di più che quella questione è inammissibile, non soltanto per la tecnica con cui è stata sollevata, ma anche da punto di vista contenutistico: perché la sentenza Varvara non ha enunciato questo principio, o comunque non lo ha enunciato in maniera così certa, cioè la Corte Costituzionale, con la sentenza del 2015, mette in discussione che dalla sentenza Varvara sia stato enunciato con certezza il principio secondo il quale la confisca urbanistica italiana presuppone senz’altro il pronunciamento formale di condanna e non può essere applicata sulla base del solo accertamento incidentale di responsabilità.

5. Conclusioni

La Corte Costituzionale, dunque, sostiene che non è detto che i giudici della Corte EDU abbiano affermato inderogabilmente che non vi possa essere confisca urbanistica sul solo presupposto dell’accertamento incidentale di responsabilità, seguito da una declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione.

La Consulta mette in discussione la lettura che i giudici nazionali hanno dato di Varvara, mette in discussione a monte il principio, sicché oggi sulla base di questa rilettura di Varvara si mette in discussione che il giudice nazionale non possa applicare la confisca anche in un processo conclusosi con declaratoria di estinzione.

I giudici non si sono fermati alla prima ragione di inammissibilità, perché hanno voluto dare un indirizzo per le decisioni future, sostenendo, a prescindere dall’inammissibilità della questione in ragione della tecnica con cui è stata sollevata, di non condividere la lettura che della sentenza Varvara molti giudici nazionali danno, e cioè che in virtù dei principi CEDU non è possibile applicare a confisca urbanistica soltanto sulla base dell’accertamento incidentale, sostenendo in definitiva che la confisca può essere applicata anche sulla base del solo accertamento incidentale.

Infine, si può concludere affermando che quando nella sentenza Varvara si parla di pronunciamento di condanna, si voleva dire non pronunciamento formale di condanna ma sostanziale accertamento di responsabilità.

Note e riferimenti bibliografici
[1] Corte cost., sent., 26 marzo 2015, n. 49.
[2] Corte e.d.u., 20 gennaio 2009, Sud Fondi e altri c. Italia.
[3] Cass., Sez. III, 13 luglio 2009, n. 39078, in CED Cass., n. 245347; conf. Cass., Sez. III, 4 febbraio 2013, n. 17066, in CED Cass., n. 255112;
[4] Corte e.d.u., 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, in Cass. pen., 2014, 1392;
[5] F. Viganò, La consulta e la tela di Penelope, in www.penalecontemporaneo.it
[6] Cfr. V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, cit., secondo il quale la tutela dei terzi acquirenti dei beni lottizzati impone, ai fini della legittimità della misura ablativa, non il mero accertamento negativo della insussistenza di elementi da cui possa escludersi lo stato di buona fede, bensì la prova positiva della loro responsabilità.
[7] V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it
[8] M. Bignami, Le gemelle crescono in salute: la confisca urbanistica tra Costituzione, Cedu e diritto vivente, in www.penalecontemporaneo.it
[9] Cass., Sez. II, 25 maggio 2010, n. 32273, in CED Cass., n. 248409; conf. Cass., Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756, in CED Cass., n. 251195; Cass., Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 48680, in CED Cass., n. 254077; Cass., Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 31957, in CED Cass., n. 255596.