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Pubbl. Gio, 23 Mar 2017

La tutela del contraente debole: il consumatore.

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Pierluigi Montella


Cenni sulle figure del consumatore e delle clausole vessatorie. Le principali novità della direttiva 2011 sui diritti dei consumatori.


Com’è noto, le nostre relazioni sociali ed economiche si svolgono in un mondo sempre più globalizzato: pensiamo, solo a titolo esemplificativo, alle milioni di transazioni che avvengono online (il cd. e-commerce), in cui un soggetto residente, ad esempio, in Cina riesce ad entrare in contatto con un venditore statunitense per acquistarne i prodotti; oppure, giusto per rimanere nell’ambito nostrano (circoscrivendo, così, anche le fonti del diritto in discussione): ad un cittadino italiano che acquisti (su di una nota piattaforma che mette in contatto con venditori provenienti da ogni parte del mondo) un oggetto high-tech commercializzato da un imprenditore di Glasgow, nel Regno Unito.

Tanto premesso, è facilmente comprensibile come fosse necessario da parte del legislatore comunitario, onde favorire la parità di trattamento tra tutti i soggetti acquirenti e venditori della Comunità Europea (divenuta nel frattempo Unione), una direttiva che consentisse di uniformare tutte le legislazioni nazionali[1]. Tale direttiva è la n. 13 del 5 aprile 1993: un totale di 11 articoli più un allegato che prevede, a favore del consumatore, la non vincolatività delle clausole che pongono in essere uno squilibrio significativo tra le diverse posizioni giuridiche delle parti[2]. Tale direttiva, difatti, prende atto che nei contratti di adesione vi possano essere le clausole più disparate che danneggiano (e non poco) gli interessi dei soggetti consumatori; ad esempio, tramite obblighi molto onerosi. Com’è altrettanto ovvio, nella maggior parte dei contratti di adesione che ogni giorno chiunque può trovarsi a dover siglare, viene omessa del tutto quella parte relativa alla contrattazione che consentirebbe di mitigare il contenuto di tali clausole per riequilibrare lo svantaggio iniziale in cui inevitabilmente si trova il consumatore. Da non trascurare, poi, è il fatto che la direttiva sottolinea il concetto di buona fede che deve permeare (e ciò lo aveva anticipato già il nostro Codice) ogni prestazione contrattuale, indipendentemente dal soggetto che ve ne è gravato[3]. A tale direttiva si è accompagnato il regolamento n. 2006/2004, più volte modificato, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori.

Il legislatore italiano ha poi trasposto tale atto normativo nella legge 6 febbraio 1996, n. 52, che ha introdotto nel nostro Codice civile gli artt. 1469 e ss. Tali articoli sono stati poi a loro volta trasfusi negli articoli 33 e ss. del Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206). E’ d’uopo rilevare, preliminarmente, l’ambito oggettivo e soggettivo di tale impianto[4].

Per quanto concerne il primo ambito succitato, vediamo come tale normativa vada ad essere applicata a tutte quelle clausole contrattuali presentanti il carattere della vessatorietà, a prescindere dal fatto che esse rientrino nelle condizioni generali di contratto[5] oppure no. Generalmente, come si accennava sopra, la contrattazione delle clausole fa sì che esse possano non rientrare nel genus delle clausole vessatorie (ex art. 34, comma 4 Cod. cons.), a meno che, come espressamente il Codice del consumo stabilisce (al secondo comma dell’art. 36), le clausole oggetto di trattativa non concernino uno o più dei seguenti ambiti: “[…] a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l'adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. […]”. In tali casi, in effetti, pur essendosi verificata la trattativa individuale, il legislatore la ritiene priva di effetti per meglio proteggere il consumatore.

Ma in effetti, a chi si rivolge la normativa di maggior tutela prevista negli artt. 33 e ss. del Codice del consumo? Veniamo, quindi, al profilo soggettivo: ai sensi dell’art. 3, consumatore sarà la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta; professionista sarà, invece, il produttore di beni o servizi che andrà a porre in essere il contratto in base all’attività eventualmente svolta. La dottrina, tuttavia, si è interrogata sulla portata della locuzione di “scopi estranei all’attività svolta”. Secondo alcuni, infatti, soggetto consumatore sarebbe colui che acquista per motivi personali e, quindi, di consumo, un determinato bene. Dovrebbe, quindi, accertarsi di volta in volta l’intenzione del soggetto acquirente, operazione di certo non sempre molto facile. Non solo: il soggetto imprenditore che acquisisca un bene per motivi soltanto connessi alla sua attività, a quale disciplina dovrebbe sottostare? Per risolvere tale spinoso problema, chi scrive ha condiviso quell’opinione dottrinale basata sulla tutela della parte alla mercè del potere contrattuale del predisponente. Come efficacemente è stato esemplificato in dottrina, allora, consumatore sarà “chiunque contragga per acquisire beni o servizi al di fuori della sua specifica attività professionale. Il produttore di elettrodomestici, allora, non è consumatore se acquista materie prime per la sua industria; è invece consumatore se contratta con la banca per ottenere un finanziamento[6]”. In tal caso, in effetti, siamo in un contesto diverso poiché l’imprenditore, anche se non nella veste di consumatore, acquista comunque un servizio che non riguarda la sua attività lavorativa strictu sensu intesa.

In generale, l’innovazione più pregnante della direttiva sui consumatori riguarda le clausole vessatorie. Esse costituiscono quelle clausole che […] determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”, ex art. 33, comma 1, del Codice del consumo. In primis va chiarito che tali squilibri non concernono l’oggetto del contratto od il corrispettivo pattuito: premura del legislatore è soltanto che tali clausole siano chiare e comprensibili, come tali ben conosciute o conoscibili da parte del soggetto consumatore. Il carattere vessatorio di tali clausole va accertato in concreto, di volta in volta, avendo riguardo alla natura della prestazione dedotta, alle circostanze, etc. Tale valutazione di vessatorietà è di molto agevolata dalla presenza di un elenco di clausole, all’interno della normativa (allegata a questo articolo), definito come “lista grigia”: un insieme di clausole definite come vessatorie fino a prova contraria. Sarà compito del professionista dimostrare che la clausola, appartenente al genus di quelle presuntivamente vessatorie, nel concreto non lo sia. A titolo meramente esemplificativo, tra di esse annoveriamo:  a) clausole che limitano la responsabilità del professionista per morte o danno del consumatore a causa di un’omissione o di un’azione del professionista stesso; b) impongono al consumatore, per un ritardo o mancato adempimento, una somma a titolo di risarcimento del danno manifestamente eccessiva; c) prevedono l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto; e così via.

Le clausole vessatorie, ai sensi dell’art. 36, comma primo, Cod. cons., sono nulle, ma tale nullità potrà essere rilevata soltanto dal consumatore o d’ufficio dal giudice; non solo: essa opererà soltanto a favore del consumatore stesso. Ciò implica che laddove il contratto, una volta dichiarata la nullità, ponesse un aggravio della posizione contrattuale del soggetto debole, essa non dovrebbe essere più rilevata. Per la restante parte, invece, il contratto resterebbe perfettamente valido ed efficace tra le parti.

Per concludere questa rassegna en passant sulla tutela del consumatore, si vuol soltanto segnalare il recepimento della direttiva 2011/83/UE da parte del legislatore italiano grazie al d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21. In particolare, tramite la modifica degli artt. 48 e 49[7], il legislatore ha statuito come il professionista debba informare, in modo chiaro e comprensibile il consumatore, prima che sia vincolato dal contratto, relativamente al prezzo totale dei beni o servizi (tasse e/o imposte incluse); oppure, le modalità di calcolo del prezzo e tutte le spese di spedizione; quest’ultime, se preventivamente non determinabili, con l’indicazione specifica che saranno addebitabili al consumatore. Non risulteranno applicabili (con conseguente declaratoria di nullità del contratto) gli artt. 1473 e 1474 del Codice civile. È lapalissiano, però, che siamo di fronte ad un nuovo formalismo giuridico, dati gli evidenti obblighi di esauriente informazione precontrattuale gravanti sull’imprenditore.

Un altro passaggio importante che il d.lgs. 21/2014 evidenzia e che val la pena analizzare più nel dettaglio è il nuovo criterio previsto per il passaggio del rischio dal venditore al compratore circa il perimento della res. Nelle vendite a distanza, infatti, molto spesso si è posto il problema dell’eventuale smarrimento o deterioramento della res durante il tragitto posto tra la sede dei locali commerciali del venditore ed il domicilio dell’acquirente. L’art. 63 primo comma del Codice del consumo stabilisce, infatti, che soltanto nel momento in cui il consumatore (od un soggetto da questi designato) entrerà nel possesso materiale della res, graverà su di lui il rischio del perimento o deterioramento della res medesima. È chiaro, quindi, che ci troviamo di fronte ad un evidente deroga del principio traslativo del consenso, secondo il quale la proprietà del bene “passa” dal venditore al compratore nel momento in cui si perfeziona il contratto di compravendita.

Non riteniamo che sia finita qui: le nuove frontiere poste dalla tecnologia imporanno riflessioni di sempre maggior respiro in seno alle istituzioni competenti. Staremo a vedere se tali nuove istanze si traduranno in una tutela maggiore per i contraenti più deboli.

 

Note e riferimenti bibliografici
[1] Cfr il Capitolo VI del BIANCA C.M., Diritto civile, I contratti, Vol. III, II ed., Ristampa 2015, Giuffrè. Nel corso del testo, in queste note esplicative saranno indicate, di volta in volta, le pagine di riferimento del manuale.
[2] Cfr. BIANCA C.M., Diritto civile, cit., pag. 374.
[3]Per una sintesi efficace di quanto espresso nella direttiva, vd. http://eurlex.europa.eu.
[4] Cfr. BIANCA C.M., Diritto civile, cit., pagg. 375 e ss.
[5] Art. 1341. (Condizioni generali di contratto). Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell' autorità giudiziaria.
[6] Testuali parole di BIANCA C.M., Diritto civile, cit., pag. 377 e cfr. GATT L., Commentario al capo XIV bis del Codice civile: dei contratti del consumatore. Art. 1469 bis - 1469 sexies, a cura di BIANCA C.M e BUSNELLI F. D., Padova, 1999, pag. 100.
[7] Cfr. BIANCA C.M., Il diritto civile, cit., pagg. 756 e ss.