Pubbl. Lun, 27 Feb 2017
Figli dei coniugi separati: si alla assegnazione al padre
Modifica paginaDalla Cassazione l’ok alla collocazione presso l’ abitazione paterna se ciò corrisponde ai desideri espressi dal figlio innanzi ai giudici
Quando i coniugi decidono di porre fine al rapporto matrimoniale e, dunque, di adire le vie legali per la pronuncia della separazione, uno degli aspetti particolarmente più delicati della vicenda riguarda senza dubbio l’affidamento dei figli, spesso posti al centro delle dispute che ogni giorno interessano le aule dei tribunali italiani.
In primo luogo è necessario che i coniugi presentino un ricorso al Tribunale competente, affinché l’autorità giudiziaria provveda a regolare tutte le condizioni della separazione, disciplinando tutti quei rapporti ancora pendenti tra i coniugi, da quelli patrimoniali a quelli che riguardano, per l’appunto, l’affidamento e il diritto di visita dei figli.
Si parlerà poi di separazione consensuale, qualora sussista tra i coniugi un accordo circa la regolamentazione di tutti gli aspetti dello scioglimento del matrimonio e che comunque dovranno passare al vaglio del Tribunale per la c.d. omologa dell’accordo di separazione, viceversa, questa sarà giudiziale nel caso in cui spetterà all’ autorità giudiziaria intervenire in mancanza di intesa tra le parti.
Come si diceva, uno degli aspetti più delicati riguarda la scelta del coniuge a cui affidare i figli, tenuto conto del principio, sancito dal nostro ordinamento, della c.d. bigenitorialità, di cui è oggi espressione l’ art. 337 ter del Codice Civile, vale a dire “ il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale".
Di regola, dunque, entrambi i genitori conserveranno l’affido condiviso del figlio, sempre che non intervengano situazioni tali da giustificare un eventuale pronuncia di affido esclusivo o di perdita della potestà genitoriale, che inseguito alla riforma operata dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 è stata sostituita dalla responsabilità genitoriale.
Resta però da stabilire il coniuge c.d collocatario del figlio, vale a dire il coniuge presso la cui abitazione questo andrà stabilmente ad abitare, essendo garantito all’altro comunque il diritto di visita, da esercitarsi nei tempi e nei modi concordati dai coniugi o stabiliti dal Tribunale.
Sui criteri che indirizzano tale scelta, già da diverso tempo la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare come debba essere considerato “l’interesse preminente del minore, anche in relazione alle consuetudini di vita già acquisite” ( Cass. Civ. n. 13619/2010).
Tuttavia, non è un mistero che i giudici, quando si tratti di minori ancora in età scolare, nella maggior parte dei casi decideranno la collocazione prevalente del figlio presso la madre, poiché considerata la figura materna quella meglio in grado di prendersi cura della crescita, educazione e istruzione dei figli, soprattutto se di tenera età.
Del resto, la stessa Suprema Corte in un recente arresto ( Cfr. Cass. Civ. n. 18087/2016) confermava la scelta dei giudici di merito di preferire la collocazione dei minori presso la madre, e ciò proprio in ragione dell’età prescolare degli stessi e benché la madre avesse deciso di trasferire la propria residenza in una sede lontanissima rispetto a quella del padre.
Ad innovare il vasto panorama giurisprudenziale, merita tuttavia di esser segnalata una nuova presa di posizione dei Giudici della Cassazione, e che sembrerebbe registrare un’inversione di tendenza, dando credito anche alle ragioni del padre quanto alla scelta sulla collocazione del figlio.
Con la sentenza della Prima Sezione Civile, n. 2770 depositata il 2 febbraio 2017, la Corte ha posto un tassello importante nell’ottica di privilegiare l’interesse del minore ponendo in particolar modo l’accento sulle dichiarazioni rese in sede di audizione giudiziale.
Nel caso di specie accadeva che la scelta di collocare il bambino presso il padre operata dai giudici del Tribunale di Savona, confermata dalla Corte di Appello di Genova, trovava l’avvallo anche della Suprema Corte, e ciò sulla scorta proprio di quanto dichiarato dal minore in sede di audizione, quando emergeva il desiderio di "poter mantenere l'attuale collocazione presso l'abitazione paterna in quanto riceverebbe attenzioni da una pluralita' di figure descritte e vissute come affettive".
La pronuncia stabilisce infatti che l’ascolto del minore, oltre a essere previsto dall'articolo 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, costituisce una “ modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché' elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse”.
Avendo espresso direttamente il giovane il desiderio di continuare a vivere presso l’abitazione del padre, unitamente alla mancanza di ragioni contrarie, come stabilito dal CTU che aveva operato l’esame del minore, non vi erano motivi per non considerare la collocazione paterna quella "maggiormente conforme al suo attuale interesse, al suo equilibrio ed alla sua serenità”.
Il minore, dunque, ben può essere assegnato al padre e non alla madre, se ciò corrisponde alle sue effettive intenzioni.
Dunque, l’ultima pronuncia avuta sul tema della scelta del coniuge cui collocare il figlio, anche se in tale ambito la giurisprudenza è sempre in continua evoluzione, rappresenta un approdo importante per l’aver ribadito il principio per il quale l’interesse primario dei coniugi che decidono di separarsi non può che essere quello orientato all’ascolto delle volontà del minore, che di quella scelta rimane l’unico protagonista.