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Pubbl. Gio, 12 Gen 2017

La pena giusta in Spagna: intervista al prof. Jordi Nieva Fenoll

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Ludovica Di Masi


La Spagna è, geograficamente, molto vicina all´Italia. Cerchiamo di capire se lo è anche da un punto di vista giuridico.


Introduzione: il sistema spagnolo

La fonte primaria dell'ordinamento giuridico spagnolo è la Costituzione, promulgata ed entrata in vigore nel 1978.

L'emanazione della Costituzione, che sancisce i principi fondamentali, è avvenuta a seguito della morte del dittatore Generale Francisco Franco e il conseguente transito verso la Monarchia parlamentare.

La Costituzione sancisce il principio di legalità (art. 9), il principio di uguaglianza (art. 14), il diritto al giusto processo in materia penale (art. 24) e una vasta gamma di diritti sociali ed economici.

Dal punto di vista del diritto penale sostanziale, anche in Spagna, come in Italia, vi è la distinzione tra pene e misure di sicurezza (sistema del doppio binario), "costruite dal legislatore spagnolo sul presupposto della pericolosità criminale del soggetto attivo, la quale comunque si fonda sulla previa commissione di un fatto previsto come delitto. Innovativa al riguardo appare l'estensione alle misure di sicurezza di tutte le norme garantistiche già proprie del sistema disciplinatorio delle pene. In funzione di garanzia si presenta il co. 2 dell'art. 6 [del código penal] che fa divieto al giudice procedente di irrogare misure di sicurezza più gravose o di maggior durata rispetto alla pena astrattamente applicabile al fatto commesso"1.

Le pene si distinguono in: pene privative della libertà, pene privative di altri diritti e multa. Tra le pene privative di altri diritti troviamo la perdita del diritto di guidare veicoli a motore o ciclomotori (sospensione della patente).

Sicuramente un istituto geniale che sarebbe molto utile anche in Italia.

Da un punto di vista processuale, la Costituzione spagnola prevede il diritto di agire in giudizio e l'imparzialità del giudice. La figura del pubblico ministero (Ministerio Fiscal) non appartiene al Poder Judicial e manifesta una certa dipendenza dal potere esecutivo.

Singolare rispetto al sistema italiano è la presenza del Juez de Violencia sobre la Mujer, creato per fronteggiare il fenomeno della violenza sulla donne.

Enorme differenza rispetto all'ordinamento italiano riguarda l'obbligatorietà dell'azione penale: il Ministerio Fiscal ha l'obbligo di esercitare le azioni penali solo quando le consideri “procedentes”.

Inoltre, l'azione penale può essere esercitata, oltre che dal Pubblico Ministero e dalla persona offesa (acusador particular) anche da qualsiasi cittadino (acusador popular).

In compenso, però, la presenza dell'accusato è necessaria nel dibattimento ma facoltativa nelle indagini preliminari.

Intervista al prof. Jordi Nieva Fenoll

Jordi Nieva Fenoll è professore di Diritto Processuale presso l'Università di Barcellona e docente presso molte università estere (Münster, Würzburg, Lyon, Central de Venezuela, Católica del Táchira, Notarial Argentina, Pontificia de Valparaíso, Antofagasta y Libre de Colombia). È autore di 13 libri e di oltre 80 articoli scientifici. È membro dell'International Association of Procedural Law (2011), dell' Instituto Iberoamericano de Derecho Procesal (2006), e del Wissenschaftliche Vereinigung für Internationales Verfahrensrecht.

LDM:Qual è la funzione della pena in Spagna?

JNF: La funzione della pena in Spagna è stabilita in modo chiaro dall'art.25 Cost. che parla di rieducazione e reinserimento del reo nella società, in una sola parola: la risocializzazione. Quindi, la sua funzione è special-preventiva, non retributiva, né di prevenzione generale.

LDM: Quali caratteristiche, secondo lei, deve avere una pena per definirsi giusta?

JNF: Secondo me, una pena è giusta quando non ha l'essenza di una punizione ma di “trattamento” per la persona. Non penso assolutamente che il delinquente sia un “malato sociale” ma penso che il reo abbia bisogno di un trattamento che gli serva per capire cosa ha fatto, perché non doveva farlo e cosa avrebbe potuto fare in alternativa alla commissione del reato. Se il reo prende consapevolezza di ciò e non è uno psicopatico, cioè ha un interesse verso l'altro e avverte il senso di rimorso, allora il trattamento diventa efficace. Infatti, nei Paesi in cui si adotta questo trattamento la criminalità è bassissima; anche in Spagna si è abbassata tanto, soprattutto nei reati di terrorismo e nei reati sessuali.

La pena, dunque, è soltanto un'opportunità per rendere efficacie questo trattamento.

A mio avviso, si deve continuare in questa direzione.

LDM: Come in Italia, anche in Spagna è previsto (all'art. 24 Cost.) il diritto al giusto processo in materia penale. Che rapporto c'è tra giusto processo e giusta pena nel sistema spagnolo?

JNF: “Giusto processo” è la traduzione poco consona dell'espressione americana due process of law che si riferisce ad un compendio di garanzie e di diritti umani inclusi nel IV, nel V e nel VI emendamento della Costituzione degli USA.

Ad onor del vero, è poco chiaro come venga applicata la clausola del due process of law nei vari sistemi, tanto meno nel sistema spagnolo. In Spagna si parla di giusto processo solo per dare rilievo a tutti i diritti umani ma non c'è una lista chiara di cosa debba includersi in questa locuzione.

In ogni caso, l'esecuzione non ne fa parte; il giusto processo è qualcosa che viene prima della pena, dopo l'esecuzione il processo è già finito e si pretende soltanto che l'esecuzione sia giusta dal punto di vista della funzione della pena. Allora, non c'è un rapporto diretto tra giusto processo e esecuzione nel processo penale; se ci fosse, sarebbe solo una questione dottrinale o giurisprudenziale.

In conclusione, dunque, ritengo che il "giusto processo" sia solo una clausola generale; quello che mi sembra più importante è definire quali diritti umani sono riconosciuti da una Costituzione, da un sistema giuridico, altrimenti si corre il rischio di sconfinare in categorie astratte e di conseguenza prive di significato.

LDM: In Italia ci sono alcune questioni che, vuoi per una ragione, vuoi per un'altra, installano nella società una sensazione generale di ingiustizia della pena. Si pensi agli sconti di pena, all'irragionevole durata del processo, al sovraffollamento carcerario e ai processi mediatici.

Qual è la situazione in Spagna?

JNF: Sono quattro questioni ben diverse. Per quanto riguarda gli sconti di pena, a mio avviso, sono inevitabili perché sono lo strumento e il frutto del trattamento di cui ho parlato prima: se una persona sta scontando la pena mostrando chiari segni di risocializzazione, di ravvedimento per quello che ha fatto, allora è ovvio che deve avere uno sconto di pena, altrimenti sarebbe una cosa ingiusta. E poi, sarebbe irragionevole dal punto di vista penitenziario non poter fare una distinzione tra i prigionieri che hanno una buona condotta e quelli che hanno una condotta antisociale anche dietro le sbarre.

L'irragionevole durata del processo, invece, è un problema dello Stato che da moltissimi secoli non vuole elargire soldi alla giustizia.

Inoltre, generalmente non è una questione di argomento letterale, e resta così abbandonata da tutti i governi. Se guardiamo alla Germania dove s'investono più di 10 miliardi di euro ogni anno per la giustizia, vediamo che lì le cose funzionano: hanno sufficienti giudici e i processi durano quello che devono durare, non come in Spagna e in Italia. Anche negli altri Paesi la situazione è drammatica (non come in Italia dove i ritardi sono spaventosi) ma il problema della mancanza d'investimento è sempre lo stesso.

Il problema del sovraffollamento è anch'esso un problema di governo: si devono costruire più prigioni che permettano di preservare la dignità umana. Tuttavia, si deve pensare che non tutti i rei necessitano della prigione, per molti rei è sufficiente la libertà vigilata, o un'altra misura che non preveda l'ingresso in carcere.

Infine, i processi mediatici sono inevitabili perché in una società democratica i media, i giornalisti ci devono mostrare cosa succede; i tribunali non sono una sorta di sezione scura, coperta, segreta per la società. Dall'altro lato, è anche vero che si deve proteggere la reputazione delle persone sottoposte a processo. Quindi, si deve trovare un equilibrio e l'unica soluzione auspicabile in questo scenario è un'autoresponsabilità dei giornalisti. Lo so che è una cosa difficile ma i giornalisti dovrebbero essere più responsabili per quello che dicono, dovrebbero avere un codice deontologico più esigente e il risultato sarebbe un' informazione di qualità.

LDM: Vorrei davvero ringraziarla per questa occasione di confronto e per la sua disponibilità.

Dalle sue parole ho notato come molti elementi dei nostri rispettivi ordinamenti giuridici siano simili e come altri siano diversi. E poi, non ho potuto fare a meno di cogitare dentro di me una controrisposta alle sue risposte.

Per cominciare, anche la Costituzione italiana sancisce la funzione risocializzante della pena (art. 27, co. 3, Cost.) ma ad oggi la teoria sulla funzione della pena più accreditata è quella eclettica (multifattoriale) che combina la teoria della prevenzione speciale e quella della retribuzione.

Nello specifico, secondo questa teoria è giusto che vi sia la rieducazione ma con il limite della impossibilità di superare la proporzione con il principio di colpevolezza. Ad es. se diciamo che in una scala da 1 a 10 Tizio merita 5, non si potrà mai superare 5 che è il limite.

Come secondo punto, concordo con lei sull'idea di “trattamento” e sulla conseguenza logica dello sconto di pena, tant'è vero che ritengo la pena dell'ergastolo una mera morte civile.

Non concordo con lei, invece, sull'idea di rapporto giusto processo-giusta pena come una inutile e superflua categoria astratta. Le spiego. Secondo il mio modesto parere, per poter giungere ad una decisione "giusta" e di conseguenza ad una pena giusta, è necessario che il procedimento penale sia giusto. Se il processo non si svolge secondo le regole del giusto processo, finisce esso stesso per diventare una pena ingiusta. Facciamo un esempio. L'art. 111 Cost. italiana enuncia tra gli elementi del giusto processo la ragionevole durata: se il processo si svolge per tantissimi anni, dunque non rispettando le regole del giusto processo e la decisione cristallizza una condanna, allora il processo porterà ad una pena ingiusta perchè “ritardataria”; se, al contrario, la sentenza sarà di assoluzione, il processo “ingiusto” sarà esso stesso una pena ingiusta, per la situazione di stress emotivo e psicologico che ne deriva.

Invece, per quanto concerne l'ultima risposta, sono tutto sommato d'accordo con lei. Mi ha colpito molto la mancata attenzione che presta la letteratura al problema del sovraffollamento. Qui in Italia se ne sente invece parlare in modo diffuso; forse, perchè la situazione è più grave rispetto alla Spagna.

Riferimenti bibliografici

1Nicola Bartone, Il Diritto penale vivente. Italia-Europa-Mondo, l'UE e la Giustizia Internazionale, Padova, 2015, p. 426-427.