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Pubbl. Sab, 3 Dic 2016

La natura sussidiaria della confisca per equivalente

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Maria Florino


E´ inammissibile la misura cautelare straordinaria se non è preceduta dall´accertamento negativo dell´esistenza del profitto del reato. La necessarietà dell´accertamento di tipo economico-finanziario dell´ente che si assuma responsabile della commissione del reato tributario.


La Corte di Cassazione, ripercorrendo il solco tracciato dalla sentenza Gubert, in una recentissima pronuncia, ha precisato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ha carattere sussidiario rispetto al sequestro diretto e può essere disposto solo quando sia stata accertata l'esistenza del profitto, anche sotto forma di indizi, nel patrimonio del soggetto fisico destinatario della misura cautelare.

Il Collegio ha precisato, inoltre, che non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti del gestore di una società se manca qualsiasi accertamento di ordine economico-finanziario relativo ai conti dell'ente, stante il presupposto dell'impossibilità di reperimento del profitto illecito.

Ha affermato, altresì, che non appare possibile rimettere alla fase esecutiva il momento della individuazione del profitto di reato, in considerazione della natura del provvedimento cautelare richiesto.

In tal senso si è pronunciata la III sezione della Corte di Cassazione con sentenza n. 37256 deposita l'8 settembre 2016.

L'excursus del Supremo Consesso ci permette di fare chiarezza su alcune nozioni di base afferenti svariate tematiche tra di loro interconnesse nell'ambito dello studio dei reati fiscali e dei connessi e conseguenziali provvedimenti ablatori di natura cautelare.

Invero, un'attenta analisi della pronuncia del supremo consesso non può prescindere da alcune precisazioni riguardanti il rapporto tra la confisca diretta e la confisca per equivalente, nonché, la più dibattuta nozione del profitto del reato.

Preliminarmente giova ripercorrere la vicenda fattuale. La pronuncia in esame origina dal rigetto del GIP della richiesta di sequestro preventivo per equivalente nei confronti di un indagato, e della sua società s.n.c., per l'illecito di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).

Avverso l'ordinanza del GIP, il PM proponeva appello presso il Tribunale del Riesame, il quale rigettava l'istanza di gravame. Il Procuratore della Repubblica ricorreva per Cassazione, lamentando violazione di legge, con particolare riferimento all'applicazione degli artt. 321, comma 2, c.p.p. e 322 c.p.. Secondo l'impugnante, il Tribunale aveva erroneamente escluso la possibilità di avanzare la richiesta di un sequestro per equivalente in via concorrente ad una domanda di sequestro diretto.

Ciò fermo, la Cassazione si pronuncia sui quattro motivi di impugnazione oggetto del ricorso del Procuratore della Repubblica.

I primi due motivi di impugnazione, tra di loro interconnessi, hanno riguardo l'ammissibilità della misura ablativa, nella forma del sequestro diretto, in mancanza dell'accertamento finalizzato all'individuazione del profitto di reato e della titolarità della società che si assumeva fittizia di conti correnti bancari non individuati; nonché la contestuale proponibilità del sequestro per equivalente, dal pacifico carattere sussidiario, in via concorrente.

L'assunta contraddittorietà in cui è incorso l'organo inquirente nel proporre le misure cautelari ha imposto al Tribunale del riesame, nell'esaminare la questione sottoposta al suo vaglio, di ripercorrere il dettato della nota sentenza Gubert del 30 gennaio 2014 emanata dalla Suprema Corte nella sua massima composizione, che il Collegio ha ritenuto condivisibile.

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza indicata, hanno ricordato che l'esperibilità del sequestro diretto deriva dall'individuazione del profitto o, almeno, di elementi indicanti la sua esistenza nel patrimonio del destinatario della misura e che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ha carattere sussidiario rispetto al sequestro diretto e può essere disposto anche nell'ipotesi in cui sia soltanto momentaneamente impossibile reperire il profitto dell'illecito. L'impossibilità deve, però, sussistere «al momento della richiesta e dell'adozione della misura». (S.U. 30.1.2014 n. 10561, Gubert)

Snodo centrale dell'apparato argomentativo della sentenza è, dunque, la distinzione tra confisca diretta del profitto del reato e la confisca per equivalente, non senza tener conto del suo precipuo carattere sussidiario.

Va rammentato che la confisca, disciplinata dall'art 240 c.p., viene notoriamente inserita nell'ambito delle misure di sicurezza patrimoniali che, per poter essere applicate, necessitano di un duplice requisito: oggettivo, consistente nella sussistenza del reato e soggettivo, integrato dalla pericolosità del reo che sarà oggetto di valutazione da parte del giudice. E' d'obbligo aggiungere che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 240 e 322 ter c.p., la confisca diretta (resa obbligatoria in relazione ad alcune fattispecie) colpisce il profitto del reato.

Diversamente, la confisca per equivalente ha per oggetto denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia disponibilità, sino al raggiungimento del valore del profitto del reato, come accertato nel caso concreto.

L'applicazione della confisca per equivalente, però, si pone in via residuale rispetto alla confisca diretta, nel senso che la prima può essere disposta solo allorchè non sia possibile, per i più svariati motivi, procedere alla confisca del profitto del reato.

Più precisamente, il rapporto di sussidiarietà tra la confisca qualificata e la confisca di “valore”, farebbe sì che quest'ultima sia esperibile solo dopo che si sia rinvenuto nella sfera giuridica patrimoniale del responsabile il prezzo o il profitto del reato e purchè ne sia certa l'esistenza per qualsiasi ragione ma risulti impossibile l'apprensione in quanto distratto, distrutto, occultato, consumato oppure materialmente inapprensibile perché consistente in un'utilità immateriale o in un risparmio di spesa.

Orbene, i Giudici di legittimità, nella sentenza in esame, evidenziano che il Tribunale del riesame, rilevata l'assenza di una verifica finalizzata all'individuazione del profitto dell'illecito, affermava l'impossibilità di procedere ad un sequestro per equivalente.

Il Tribunale del riesame, riteneva, infatti, che può avanzarsi istanza di sequestro per equivalente, evidenziandone il carattere sussidiario rispetto a una domanda di sequestro diretto, laddove, accertata l'esistenza del profitto e l'impossibilità di reperirne il contenuto, se ne voglia apprendere il valore corrispondente con la misura cautelare di carattere straordinario all'uopo prevista dal legislatore.

Diversamente, il pm formulava una domanda di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in via concorrente e sul presupposto della natura del rimborso di spesa del profitto di reato realizzato, ma comunque in assenza di un accertamento dell'esistenza del profitto.

In altri termini, il pm nel formulare la richiesta di sequestro diretto, dava per presupposta l'esistenza del profitto, invero, non accertato nelle more del giudizio, e proponeva, altresì, istanza di sequestro per equivalente implicitamente affermando l'impossibilità di rinvenire il profitto del reato nel patrimonio del reo.

Il Giudice del riesame evidenziava la evidente contraddittorietà intrinseca alle argomentazioni avanzate dal pm e poste a fondamento delle sue istanze.

L'accertamento del profitto del reato nella forma del risparmio di spesa, a dire dell'organo giudicante in sede cautelare, avrebbe dovuto essere allo stesso modo oggetto di accertamento attraverso un'indagine sulla situazione economico-finanziario della società destinataria dell'ablazione e solo il mancato rinvenimento dello stesso avrebbe reso legittimo, di conseguenza, l'esperimento della misura cautelare straordinaria, ma pur sempre in via sussidiaria.

Pervero, la confisca per equivalente presuppone che l'oggetto della misura di sicurezza patrimoniale abbia una sua consistenza naturalistica e/o giuridica tale da permetterne l'ablazione, nel senso che una volta entrato nel patrimonio dell'autore del reo, continui a mantenere una sua identificabilità, ma non sia più rinvenibile nella sua materialità.

La ratio della confisca per equivalente sta, infatti, nell'impossibilità di procedere alla confisca diretta della cosa che presenti un nesso di derivazione qualificata con il reato.

Circa l'applicazione coordinata delle due species di misure ablative-sanzionatorie in argomento, assume fondamentale importanza l'esatta comprensione della nozione di profitto del reato.

Tale nozione evidenzia aspetti di problematicità, qualora questo sia costituito da denaro o altri beni fungibili, in relazione ai quali, quindi, la materiale apprensione diventa pressochè impossibile, stante, appunto il carattere di fungibilità degli stessi.

Recentissima giurisprudenza (sentenza “Gubert” e “Lucci”) ha statuito che, la fungibilità della res è sufficiente a determinare il carattere “diretto” e non “per equivalente”, dell'ablazione; per poter parlare di confisca diretta sembra indispensabile che un quid novi sia confluito, per effetto del reato, nel patrimonio del reo, e si sia poi dissolto tra beni dello stesso genere.

La Corte di Cassazione a Sezioni unite (n. 31617 - 26 giugno 2015 “Lucci”) ha affermato di aderire all'orientamento secondo cui la confisca di una somma di denaro da conto corrente, qualora costituisca il prezzo o il profitto di un reato, debba essere qualificata come “confisca diretta”.

La somma di denaro, invero, entrata a far parte del patrimonio dell'autore del fatto, perde qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Ma ciò che rileva ai fini dell'applicabilità della confisca diretta, è che le disponibilità monetarie si siano accresciute di quella massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell'illecito,

Le SS.UU. (30 giugno 2014, “Gubert”) sul profitto di reato, precisano che rientra nella nozione di profitto che consente al confisca diretta, ogni utilità comunque ottenuta dal reo, anche in via indiretta e mediata, come ad esempio i beni acquistati con il denaro derivante dall'attività illecito, o ancora l'utile derivante dall'investimento del denaro di provenienza criminosa.

In tutti questi casi, quindi, dovendosi discutere pur sempre di profitto del reato, si rimane ancora entro l'alveo applicativo della confisca diretta.

Con specifico riferimento alla determinazione del profitto nei reati tributari, le Sezioni Unite succitate argomentano che questo è costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato, “come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovute a seguito di accertamento del debito tributario”.

In materia di reati tributari, quindi, la confisca assume nella generalità dei casi carattere per equivalente, poiché il profitto confiscabile si identifica, nella maggioranza dei casi, con il risparmio di spesa derivante dal mancato pagamento del tributo.

Tuttavia, il Collegio adito ha ritenuto che, nella pur corretta identificazione del profitto del reato come risparmio di spesa, poichè derivante da reato fiscale, il Pubblico Ministero non poteva esimersi, nel proporre la misura ablatoria, dal preliminare accertamento dell'esistenza del profitto del reato attraverso un'analisi della contabilità della società, il cui accertamento negativo avrebbe, di contro, reso ammissibile, se proposta in via sussidiaria, la misura cautelare straordinaria.

Il PM ricorrente, da ultimo, a fondamento della richiesta di applicazione della misura ablatoria di natura straordinaria, evidenziava la natura fittizia della società imputata.

Giova, a tal punto, precisare che la confisca per equivalente è ammessa nei confronti dei beni dell'ente solo quando, quest'ultimo, rappresenti uno schermo fittizio, così come ha sancito la Cassazione riunita nella sua più autorevole composizione (SS.UU. 2014 “Gubert”)

Tale ultimo motivo di doglianza consente l'approfondimento della tematica relativa alla confisca diretta del profitto di reato e della confisca per equivalente, nei confronti dell'ente o del legale rappresentante dello stesso.

La questione inerente la possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, dei beni appartenenti alla persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante è stata al centro di un contrasto giurisprudenziale.

Secondo un primo orientamento, nel caso di violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante nell'interesse della società, il sequestro preventivo e la successiva confisca per equivalente possono avere ad oggetto i beni della persona giuridica, (Cass. Pen., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 28731).

Un diverso orientamento, maggioritario, sostiene che non è ammissibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni appartenenti alla persona giuridica, quando si procede per violazioni finanziarie, commesse da legale rappresentante della società, salvo nel caso in cui la struttra societaria costituisca un apprato fittizio, utilizzato dal reo all'esclusivo scopo di farvi confluire i profitti illeciti derivanti dai reati tributari (Cass. Pen., Sez. III, 19 settembre 2012, n.1256)

A sostegno di tale impostazione milita il dato normativo, laddove, gli illeciti penali tributari non figurano nel novero dei reati presupposto che danno luogo alla responsabilità dell'ente e, dunque, con riferimento agli stessi non potrebbe trovare applicazione la speciale confisca di valore prevista dall'art. 19 D.lgs. n. 231/2001.

Sul punto si è espressa la Suprema Corte con la sentenza Gubert, che nel superare il contrasto giurisprudenziale esistente, aderendo al secondo orientamento, affermava, tra gli altri, il principio di diritto risolutivo della questione sottoposta al vaglio del supremo consesso nella sentenza esaminanda. I Giudici di Piazza Cavour giungono alla conclusione secondo cui si deve escludere la possibilità di procedere alla confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentate, salva l'ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo fittizio attraverso cui l'amministratore agisce come effettivo titolare.

Il Supremo consesso, infine, nel ritenere infondata anche la censura inerente la omessa motivazione sulla fittizietà della persona giuridica, tra l'altro non scrutinabile in un giudizio di legittimità, ribadiva che ostava in ogni caso ad una valutazione favorevole l'omesso accertamento economico-finanziario della società.