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Pubbl. Ven, 25 Nov 2016

Profili di responsabilità nella pratica degli sport invernali

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Riccardo Bertini


Con l´avvicinarsi della stagione invernale, gli amanti della montagna rispolverano le loro attrezzature pronti per nuove avventure. Cosa occorre sapere per godersi consapevolmente un nuovo anno in compagnia della neve.


Sommario: 1) Premessa; 2) (Cenni a) la responsabilità del gestore degli impianti sciistici; 3) La responsabilità civile dello sciatore; 4) Segue, l'art. 19 l. n. 363/2003; 5) La responsabilità penale dello sciatore.

1) Premessa

Gli sport invernali coinvolgono operatori ed utenti che quotidianamente si trovano sulle piste da sci. Possono quindi individuarsi soggetti diversi e distinguersi differenti profili di responsabilità civile e/o penale. Infatti, accanto ad una responsabilità civile e/o penale dello sciatore, quale utente degli impianti sciistici, può ben individuarsi anche una responsabilità civile del gestore degli impianti. Ai fini dell’inquadramento normativo, occorre poi premettere che, accanto alle disposizioni vigenti nel nostro ordinamento, la Federazione Internazionali Sci è andata dotandosi in passato di un insieme di regole elaborate nel 1967 a Beirut dalla comunità degli sciatori ed emanate con il nome di Decalogo dello sciatore. Nonostante la fonte sia non legislativa ed il loro carattere sia metagiuridico, tali regole hanno avuto un sempre maggiore riconoscimento da parte della comunità degli sciatori e da parte della stessa giurisprudenza. Tuttavia di recente queste regole sono state in gran parte sostituite dalla legge 24 dicembre 2003 n. 363 denominata “Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo”, la quale da un lato si occupa della gestione delle aree sciabili attrezzate (Capo II) e dall’altro si occupa delle norme di comportamento degli utenti delle aree sciabili (Capo III). Con riferimento a questo ultimo profilo, si può accennare a quelle disposizioni che vengono dettate in merito all’utilizzo del casco protettivo, alla velocità da tenere sulle piste da sci, alla precedenza e al sorpasso, all’incrocio e  allo stazionamento, all’omissione di soccorso, al transito e alla risalita, etc. 

2) (Cenni a) la responsabilità del gestore degli impianti sciistici 

Con riferimento a questa categoria di responsabilità, preme accennare al fatto che la dottrina qualifica la risalita sui mezzi a fune come un’attività compresa nel negozio giuridico che si perfeziona con l’acquisto dello ski- pass (1). Nei confronti del gestore del servizio, la dottrina è solita distinguere diversi profili di responsabilità. Il primo riguarderebbe la responsabilità per mancata esecuzione del servizio, del quale il gestore risponderebbe in base all’art. 1218 c.c.; in tale ipotesi, è stata tuttavia riconosciuta l’operatività di clausole di esonero della responsabilità del gestore idonee a circoscrivere i casi rilevanti di inadempimento. In tal modo il gestore, nel momento della conclusione del contratto, sarà a conoscenza di quelle ipotesi in cui il mancato inadempimento non sussiste. Viene individuata in secondo luogo una responsabilità del gestore per i sinistri verificatesi durante la fase di risalita o di discesa. Nel primo caso, la responsabilità inizia con la presa di contatto del passeggero con il mezzo a fune in movimento e termina con il compimento da parte del trasportato dei pochi passi necessari a neutralizzare la spinta impressa dal mezzo; la giurisprudenza ha riconosciuto che, qualora sia dimostrato il nesso di causalità tra il contratto e l’evento, il gestore dell’impianto è tenuto a risarcire il danno ex art. 1681 c.c. laddove non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il sinistro (2). Nel secondo caso, la responsabilità del gestore inizia nel momento in cui il trasportato procede autonomamente con gli sci e in questa ipotesi troverebbe applicazione il Capo II della legge n. 363/2003. Al gestore sono imposti specifici obblighi volti ad assicurare che la pratica degli sport invernali avvenga con il minimo rischio per gli utenti; tali obblighi sono: la messa in sicurezza delle piste, la cura e la manutenzione delle stesse, le protezioni per gli utenti da gli ostacoli ed il soccorso degli infortunati. La giurisprudenza ha inoltre avuto modo di affermare che il gestore degli impianti risponde, in concorso con il danneggiato, dei danni alla persona subiti da uno sciatore caduto durante un fuori pista qualora la caduta sia stata concausata dalle condizioni in cui si trovava la pista (3). E’ infine ravvisabile una responsabilità del gestore per i fatti dell’ausiliario ai sensi dell’art. 2049 c.c. nel caso in cui il dipendente dell’impianto di risalita non tenga un comportamento conforme alle proprie mansioni.

3) La responsabilità civile dello sciatore

La responsabilità civile dello sciatore è da sempre stata ricondotta alla categoria della responsabilità aquiliana, in particolare nel generale obbligo del neminem laedere previsto dall’art. 2043 c.c. Tale disposizione, come è noto, prevede un onere probatorio assai complesso che impone al danneggiato di dimostrare la condotta colposa del danneggiante; il che, all’interno di una fattispecie complessa come quella dell’attività sciistica dove non è agevole individuare le dinamiche del sinistro, potrebbe condurre ad una probatio diabolica per il danneggiato. Per tale ragione, la dottrina ha cercato di ricondurre la fattispecie in questione nell’alveo della responsabilità aggravata (cd. oggettiva) in ragione della particolare pericolosità dell’attività (art. 2050 c.c.) o di una possibile equiparazione dell’attività sciistica con la circolazione stradale (art. 2054 c.c.). Entrambe le tesi si sono tuttavia dovute scontrare non solamente con il dato letterale ma anche con l’oggettiva difficoltà di ricondurre la fattispecie in questione in ipotesi dove l’evento dannoso è diametralmente diverso. Nel primo caso infatti la probabilità del verificarsi dell’evento dannoso non può essere ritenuto per sé solo criterio idoneo a qualificare la fattispecie all’interno dell’art. 2050 c.c. (4) mentre nel secondo caso risulta difficile estendere alla nozione di sci la nozione giuridica di veicolo, anche in considerazione di quanto previsto dall’art. 47 dell’attuale Codice della strada. Pertanto, qualora il soggetto lamenti un danno in conseguenza di uno scontro con un altro sciatore, lo stesso dovrebbe essere in grado di provare la colpa della controparte, pena il rigetto della domanda risarcitoria. Occorre infine immaginare che, laddove le domande risarcitorie fossero reciproche, nessuno dei due danneggiati sarebbe in grado di ottenere ristoro non avendo ciascuno di essi assolto l’onere probatorio richiesto. 

4) Segue, l’art. 19 l. n. 363/2003

Su tale contesto normativo è intervenuto il legislatore del 2003 con la legge n. 363, la quale all’art. 19 prevede un criterio generale secondo cui “si presume, fino a prova contraria, che ciascuno di essi abbia concorso ugualmente a produrre eventuali danni”. La disposizione riproduce in modo quasi identico il disposto dell’art. 2054 c.c., con lo scopo di coadiuvare il danneggiato nel superare le difficoltà probatorie che si manifestano laddove questi debba dimostrare le dinamiche del danno. Sulla base di tale disposizione, qualora non sia possibile stabilire in quale misura ciascuno degli sciatori abbia contribuito a determinare l’evento, l’art. 19 l. n. 363/2003 tenta di coadiuvare il giudice attraverso la presunzione di pari responsabilità. A tale presunzione deve riconoscersi natura sussidiaria, in quanto la stessa si applica solamente laddove non sia possibile stabilire diversamente le dinamiche del sinistro. In secondo luogo, occorre considerare il fatto che la presunzione in questione non può che essere considerata una presunzione juris tantum; del resto, il dettato normativo precisa che la stessa trova applicazione "fino a prova contraria". In ogni caso poi in dottrina si ritiene che il legislatore, per il solo fatto di aver introdotto siffatta norma sul concorso di colpa, non sembra aver autorizzato un inasprimento del criterio di imputazione che governa la responsabilità civile dello sciatore; con la conseguenza che la sola assonanza tra l’art. 2054 c.c. e l’art. 19 l. n. 363/2003 non comporterebbe il fatto che lo sciatore sia chiamato a rispondere secondo i canoni più severi previsti dall’art. 2054 c.c. anziché di quelli previsti dall’art. 2043 c.c. (5). Del resto tale argomentazione sembrerebbe trovare conferme anche nella giurisprudenza di merito dove è stato affermato, in relazione ad un sinistro avvenuto tra l’allieva a valle e l’allieva a monte durante una lezione di sci, che non è possibile operare una simile trasposizione data la netta distinzione dei contesti normativi di riferimento; con la conseguenza che, nel caso di specie, l’allieva a valle danneggiata era stata sottoposta all’ordinario criterio di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c. (6). Parimenti in un’altra decisione relativa ad uno sciatore esperto che scendendo repentinamente urtava un minore a valle ed il suo maestro intenti a predisporre un tracciato di superG, lo sciatore a monte veniva ritenuto responsabile in via esclusiva in considerazione dell’art. 10 l. n. 363/2003 secondo cui “lo sciatore a monte deve mantenere una direzione che gli consenta di evitare collisioni o interferenze con lo sciatore a valle”; tale disposizione, secondo la corte di merito, rappresenterebbe la norma di comportamento più importante da seguire per gli sciatori, con la conseguenza che la palese violazione della stessa sarebbe idonea a superare la presunzione prevista dall’art. 19 della legge n. 363/2003 (7). 

5) La responsabilità penale dello sciatore

Anche nell’ambito della pratica degli sport invernali possono verificarsi fatti rilevanti sul piano penale. In primo luogo e con riferimento a gli sciatori, occorre distinguere le competizioni agonistiche da quelle non agonistiche. Nel primo caso, la giurisprudenza tende ad escludere la responsabilità penale dell’atleta purché siano state rispettate le regole tecniche, lo sportivo abbia agito esclusivamente per finalità agonistiche e la sua azione non abbia ecceduto i limiti dell’attività sportiva. Nel caso di attività non agonistica, uno dei rischi maggiori per lo sciatore è invece rappresentato dalla condotta tenuta da gli altri utenti ed in tal caso la giurisprudenza ha incontrato molta difficoltà nel concretizzare il concetto di colpa; in via generale possiamo notare una sovrapposizione tra il concetto di colpa rilevante sul piano della responsabilità civile e quello rilevante sul piano della responsabilità penale. Infatti alcuna giurisprudenza, sebbene fosse stata chiamata a pronunciarsi sul reato di lesioni colpose, ha adottato invece un approccio civilistico ritenendo che dovesse applicarsi il concetto di colpa così come emerge dall’art. 2043 c.c. richiedendo pertanto che la condotta dell’utente delle piste da sci fosse improntata ai comuni criteri di prudenza rispetto alle caratteristiche e alle condizioni della pista (8). Parte della dottrina ha inoltre rilevato come, nel caso di responsabilità penale derivante dallo scontro tra sciatori, la querela finisca spesso per essere uno strumento intimidatorio che spinge il responsabile del sinistro a riparare il danno in cambio della remissione e della conclusione del processo senza una condanna (9). In secondo luogo, occorre prendere in considerazione il fatto che, durante la pratica degli sport invernali, molti sciatori amanti del “fuori pista” talvolta causano valanghe integrando in tal modo le fattispecie previste e punite dall’art. 426 c.p. (che punisce con la reclusione da cinque a dodici anni chi causa la caduta di una valanga) e dall’art. 449 c.p. (che punisce con la reclusione da uno a cinque anni chi cagiona un disastro colposo). I reati in questione rientrano tra i reati contro la pubblica incolumità e tali sono quelli che espongono a pericolo la vita e l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone. Si tratta poi in entrambi i casi di reati di pericolo, per i quali non si richiede che la valanga provochi necessariamente morti, feriti o distruzione di cose, ma per i quali è sufficiente che si determini una situazione di pericolo che concretamente possa verificarsi. Qualora però la valanga provochi anche la morte o le lesioni di una o più persone, il reato di disastro concorrerà con quello di omicidio o lesioni personali. Della responsabilità penale ex artt. 426 e 449 c.p. può rispondere infine anche il gestore delle piste da sci e in tale ipotesi si configura come responsabilità omissiva, per non aver impedito il verificarsi dell’evento e sempre che il gestore sia imputabile a titolo di colpa. In questo senso la giurisprudenza ha esteso l’applicazione delle misure cautelari anche a pericoli atipici localizzati al di fuori del tracciato, qualora la conformazione dei luoghi renda probabile un’uscita di pista dell’utente, così ampliando progressivamente la responsabilità dei gestori delle piste da sci (10).

Note e riferimenti bibliografici

  1. S. Ruscica, La responsabilità civile con gli sci, 2010, www.altalex.it;
  2. Tribunale Torino, 08 luglio 1999, in DResp., 2000, 291;
  3. App. Torino, 05 luglio 1997, RGCT, 1999, 500;
  4. L. Geraci, La responsabilità civile da attività sciatoria, Riv. dir. sportivo, 1975, pg. 354 ss;
  5. S. Vernizzi, In tema di responsabilità civile nello scontro tra sciatori, in Resp. civ. prev., 2010, p. 898; 
  6. Tribunale Rovereto, 21 ottobre 2009, in Resp. civ., 2010, pag. 883 ss;
  7. Tribunale Rovereto, 29 ottobre 2009, Red. Giuffrè, 2010;
  8. Cass. pen., Sez. IV, 12 febbraio 1996, n. 1258;
  9. Laura di Paolo, La responsabilità dello sciatore in caso di collisione con un utente della pista, in Giappichelli;
  10. Cass. pen.,15 settembre 2015, n. 37267 e Cass. pen., Sez. IV, 26 ottobre 2007, n. 39619.