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Pubbl. Lun, 24 Ott 2016

L´azione di riduzione, strumento a tutela della successione necessaria

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Riccardo Bertini


Breve disamina sull´azione di riduzione in senso stretto, quale rimedio previsto dal legislatore per il legittimario che abbia subito una lesione a causa di un´attribuzione donativa o testamentaria.


Sommario: 1) Premessa; 2) Natura e legittimazione; 3) Presupposti; 4) Aspetti procedimentali.

1) Premessa

Analizziamo in questa sede l'azione di riduzione in senso stretto, quale diritto potestativo (il cui esercizio passa per l'autorità giudiziaria), che spetta al legittimario che abbia subito una lesione dei diritti di riserva a causa di un'attribuzione donativa o testamentaria. L'azione in parola prende forma con l'affermarsi del principio, nel nostro ordinamento, dell'intangibilità della legittima. Infatti, la successione necessaria - che corrisponde al principio dell'inderogabile solidarietà familiare - trova specifico e autonomo titolo nel diritto di legittima dei legittimari, ai quali deve pervenire necessariamente una quota dei beni dell'asse ereditario. Rientrano poi nel concetto più ampio di azione di riduzione (oltre all'azione di riduzione in senso stretto): l'azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte, la quale ha l'obiettivo - una volta esperita vittoriosamente l'azione di riduzione in senso stretto - di far recuperare ai legittimari quanto ancora presente nel patrimonio dei soggetti beneficiati e l'azione di restituzione contro i terzi acquirenti, avente anch'essa finalità recuperatorie ma esperibile nei confronti degli aventi causa dal soggetto beneficiato.

2) Natura e legittimazione 

L'azione di riduzione in senso stretto può essere considerata un'azione personale e non reale, in quanto diretta non a rivendicare lo specifico bene posseduto ma a far valere le ragioni successorie. Inoltre, è un'azione di accertamento costitutivo, in quanto presuppone l'accertamento della lesione della legittima e l'accertamento delle condizioni prescritte. Legittimati attivi sono i soggetti indicati dall'art. 557 c.c., ossia il legittimario ed i suoi eredi o aventi causa. Si tratta di un diritto irrinunciabile, finché vive il de cuius (1), al quale può abdicarsi solo successivamente alla sua morte (2). Il legittimario può agire in riduzione sia nel caso in cui non sia beneficiario di alcuna disposizione testamentaria (si parla in tal caso del cd. legittimario pretermesso) sia nel caso in cui il lascito non soddisfi i suoi diritti di riserva. Occorre precisare che, qualora si tratti di legittimario pretermesso, lo stesso -una volta ottenuta la riduzione- non dovrà esperire un ulteriore atto di accettazione dell'eredità. Infine, in quanto azione individuale, l'azione di riduzione in senso stretto non comporta litisconsorzio necessario (3). Quanto invece alla legittimazione passiva, l'azione va proposta nei confronti del beneficiario testamentario o del donatario, quali destinatari dell'attribuzione.

3) Presupposti 

I presupposti dell'azione in questione vengono fissati dall'art. 564 c.c., il quale fa riferimento: da un lato, all'accettazione con beneficio di inventario e dall'altro all'imputazione ex se. Con riferimento al primo presupposto, lo stesso è configurabile solo in relazione al legittimario che sia anche chiamato all'eredità (per disposizione testamentaria o ab intestato), non valendo per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore (4). Con riferimento al secondo presupposto, il legittimario deve imputare alla sua porzione legittima tutte le liberalità ricevute dal defunto (donazioni, legati, lasciti testamentari). Tuttavia, l'imputazione ex se non è necessaria dove il defunto abbia dispensato espressamente il legittimario dal farla; la dispensa può essere contenuta nello stesso atto di donazione, in un successivo atto inter vivos oppure nel testamento. Quanto all'oggetto dell'imputazione, laddove si tratti di donazione, la norma richiama le disposizioni in tema di collazione. Nonostante il richiamo alla collazione, l'imputazione ex se differisce da quest'ultima poiché: a) l'imputazione è operazione da compiersi solamente ai fini della riduzione ed è una mera operazione di calcolo, b) è un onere e non un obbligo, c) grava su qualunque legittimario e d) la dispensa dall'imputazione deve essere espressa (5).

4) Aspetti procedimentali

Laddove siano presenti i presupposti, il legittimario (ovvero i suoi eredi o gli aventi causa) possono esperire l'azione di riduzione. L'azione si introduce mediante atto di citazione, dove il legittimario delinea la causa petendi e il petitum, formulando da un lato la richiesta di reintegrazione nella quota di legittima, mediante la riduzione degli atti di disposizione o delle donazioni e dall'altro esponendo sinteticamente la situazione dell'asse ereditario. E' competente il giudice individuato ai sensi dell'art. 22 c.p.c. mentre si esclude l'applicabilità del foro per le cause relative ai diritti reali e ad azioni possessorie. Il legittimario che propone azione di riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la legittima, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore” (6). Inoltre, l'assolvimento dell'onere probatorio, che grava sull'attore, è considerato presupposto necessario per l'accertamento della lamentata lesione della quota legittima (7). Il legittimario deve  comunque chiedere la riduzione degli atti disposititvi compiuti dal defunto nell'ordine imposto dalla legge. Le prime attribuzioni a poter essere ridotte sono quelle che derivano dall'apertura della successione legittima, mentre la seconda categoria coincide con le disposizioni testamentarie. Infine, l'azione in parola è rinunziabile dopo l'apertura della successione, anche tacitamente, mentre la rinuncia anteriore all'apertura della successione deve ritenersi nulla in quanto idonea ad integrare un patto successorio. L'azione di riduzione soggiace all'ordinario termine decennale di prescrizione e in merito la giurisprudenza si divide tra due differenti indirizzi con riferimento al dies a quo: secondo un primo orientamento, il termine decorerebbe dalla data di apertura della successione mentre un secondo indirizzo individua il termine nella data di pubblicazione del testamento. 

Bibliografia

  1. Cassazione, sentenza n. 13429/2006;
  2. Cassazione, sentenza n. 1373/2009;
  3. Cassazione, sentenza n. 1373/2009;
  4. Cassazione, sentenza n. 22907/2015;
  5. Alpa Guido, Manuale di diritto privato, Cedam, pag. 359 ss;
  6. Cassazione, sentenza n. 13310/2002;
  7. Cassazione, sentenza n. 14473/2011 e sentenza n. 4848/2012.