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Pubbl. Ven, 23 Set 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

(Ir)ragionevole durata del processo: la legge Pinto dopo la legge di stabilità 2016

Riccardo Bertini


Lo scorrere del tempo non sempre rende le cose migliori. Ciò non accade per il processo, strumento di tutela per antonomasia della realtà sostanziale. Con la legge di stabilità 2016 sembra che il legislatore semini nuovi ostacoli sulla strada del risarcimento del danno da irragionevole durata del processo.


Sommario: 1) Premessa; 2) I rimedi preventivi; 3) Diritto all'equa riparazione; 4) Misura dell'indennizzo; 5) Modalità di pagamento; 6) Conclusioni.

Sommario: 1) Premessa; 2) I rimedi preventivi; 3) Diritto all'equa riparazione; 4) Misura dell'indennizzo; 5) Modalità di pagamento; 6) Conclusioni.

1) Premessa

Il principio della ragionevole durata del processo viene sancito nel lontano 1950 nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale da un lato garantisce che "la causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole" (art. 6) e dall'altro prevede che "ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali" (art. 13). La ragionevole durata, espressione di un processo che possa definirsi giusto, ha successivamente trovato collocazione anche nell'art. 111 cost. dove si afferma che "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata" (1). La norma costituzionale, di natura programmatica, non consentiva tuttavia un'adeguata tutela e numerosi erano stati i ricorsi presentati alla Corte di Strasburgo e numerose erano state le condanne nei confronti del nostro Paese. In questo contesto nasceva la Legge 24 marzo 2001 n. 89 (cd. Legge Pinto, dal nome del suo estensore), che nel tempo successivo alla sua emanazione aveva già subito una riforma da parte del Governo precedente (2). Di recente il legislatore è nuovamente intervenuto sul dispositivo con la legge di Stabilità 2016 (3), apportando numerose modifiche che sembrano rendere maggiormente gravoso il ricorso all'equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo. 

2) I rimedi preventivi

In primo luogo, il legislatore introduce con la riforma del 2016 una serie di rimedi definiti preventivi perché la parte deve proporli prima di adire il giudice con la domanda di equa riparazione del danno da eccessiva durata del processo. Il problema più rilevante che sembra porsi all'attenzione dell'interprete è che tali rimedi sono previsti a pena di inammissibilità (art. 2 comma 1) e quindi è dichiarata inammissibile la domanda di equa riparazione laddove non siano stati precedentemente esperiti i rimedi. Notevole è quindi la comprensione del diritto di agire in giudizio, costituzionalmente garantito dall'art. 24 cost. e c'è da chiedersi se nel proseguio tale norma non sarà dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale. In ogni caso, tali rimedi, nel processo civile, consistono: a) nel processo sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c., b) nella richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario ex art. 183 bis c.p.c., c) nell'istanza di decisione a seguito di trattazione orale ex art. 281 sexies c.p.c. nelle materie dove è inammissibile il rito sommario. Costituisce, altresì, rimedio preventivo l'istanza di accelerazione presentata nel processo dinanzi al giudice penale, alla Suprema Corte di Cassazione, alla Corte dei conti nonché l'istanza di prelievo dinanzi al giudice amministrativo (art. 1 ter). Dunque, viene posto a carico della parte un vero e proprio onere processuale, dal momento che essa deve aver esperito i suddetti rimedi per poter trovare ristoro dall'eventuale danno subito in sede giudiziale. Ma vi è di più, dal momento che si impone alla parte un giudizio prognostico sull'eccessiva durata del processo (e quindi sulla convenienza di esperire o meno il rimedio) che concretamente non può conoscere (4).

3) Diritto all'equa riparazione

Fermo quanto previsto nel testo originario della legge Pinto, la riforma del 2016 introduce poi una serie di eccezioni alla regola secondo cui "chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all'articolo 1 ter, ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del processo ha diritto ad un'equa riparazione" (art. 1 bis). Nel valutare tale danno da un lato rimane fermo, come in passato, che il giudice prende in considerazione l'oggetto della controversia e il comportamento di tutti i soggetti nel processo e dall'altro che il termine è comunque ritenuto ragionevole se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, due in secondo grado, uno nel giudizio di legittimità, tre nel processo esecutivo, sei nelle procedure concorsuali (art. 2 comma 2 bis). In ogni caso, è previsto che debba considerarsi ragionevole il termine laddove il processo è definito in maniera irrevocabile in un periodo non superiore a sei anni (art. 2 comma 2 ter) (5). A ciò si aggiungono poi le esenzioni previste dalla riforma, le quali possono essere distinte tra quelle che prevedono una prova contraria e quelle che costituiscono presunzioni juris et de jure. Tra le prime, si possono annoverare, a titolo esemplificativo: la prescrizione del reato, la contumacia, l'estinzione del processo per rinuncia od inattività delle parti, la perenzione del ricorso, etc (art. 2 comma 2 sexies). Tra le seconde, invece, figurano: l'aver agito consapevole dell'infondatezza della propria domanda (anche oltre l'ipotesi di cui all'art. 96 c.p.c.), l'ipotesi prevista dall'art. 91 comma 1 primo periodo c.p.c., l'art. 13 comma 1 primo periodo d.lgs. 28/2010 e ogni caso di abuso dei poteri processuali che abbiano comportato una dilazione dei tempi (art. 2 quinquies). Tali ultime ipotesi destano maggiori perplessità perché consentono una maggiore discrezionalità interpretativa, lasciando, oltre alle ipotesi tipizzate dal legislatore, ulteriori ipotesi giudiziali di esclusione del diritto all'equa riparazione.

4) Misura dell'indennizzo

Al termine del procedimento per equa riparazione (delineato nei suoi aspetti essenziali dalla Legge stessa), il giudice può concedere l'indennizzo del danno. Il procedimento mantiene pressoché le stesse caratteristiche previste dal testo originario, ad eccezione della competenza. Il procedimento in questione viene introdotto con ricorso indirizzato al Presidente della Corte di Appello del distretto in cui ha sede il giudice davanti al quale si è svolto il giudizio di primo grado, nel termine decadenziale di sei mesi decorrente dal giorno in cui il provvedimento è divenuto definitivo (6). Il Presidente (o un giudice da lui delegato) decide sulla domanda con decreto; il decreto può essere di accoglimento e in tal caso liquida la somma a titolo di indennizzo oppure di rigetto e in tal caso la parte non può riproporre la domanda ma può solamente fare opposizione. Il legislatore della riforma interviene invece con maggiore incisività nello stabilire i limiti entro cui si colloca il quantum dell'indennizzo liquidabile nel decreto di accoglimento, viste anche le possibili ricadute economiche dello stesso sui bilanci dello Stato. Il giudice liquida una somma non inferiore a quattrocento euro e non superiore ad ottocento per ciascun anno o frazione di anno superiore ai sei mesi che eccede il termine di ragionevole durata (7). La somma può essere aumentata fino al venti per cento per ogni anno superiore al terzo (fino al quaranta per ogni anno superiore al settimo) e del pari è diminuita del venti per cento quando le parti sono più di dieci (fino al quaranta per cento quando sono più di cinquanta). Inoltre, la somma può essere diminuita fino ad un terzo in caso di rigetto delle richieste del ricorrente ed in caso di più processi riuniti fra loro, l'indennizzo è riconosciuto una sola volta. Resta fermo che, come in passato, il giudice deve tenere conto dell'esito del processo, del comportamento delle parti, della natura degli interessi, del valore e della rilevanza della controversia. Infine, il legislatore introduce una specifica applicazione della compensatio lucri cum danno, laddove prevede che "si presume parimenti insussistente il danno quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata del processo, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo altrimenti dovuto" (art. 2 comma 2 septies). 

5) Modalità di pagamento

Il legislatore prevede infine che il creditore, a favore della quale è stato riconosciuto l'indennizzo, debba rilasciare all’amministrazione debitrice una dichiarazione valida per sei mesi (predisposta sui modelli emanati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze) attestante: a) la mancata riscossione di somme, b) l’esercizio di azioni giudiziarie, c) l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, d) la modalità di riscossione prescelta tra l' accreditamento sul conto corrente e il vaglia cambiario. La regolare trasmissione della dichiarazione è condizione necessaria per poter ottenere il pagamento dalla pubblica amministrazione e del pari l’amministrazione esegue, ove possibile, i provvedimenti per intero (art. 5 quinquies). Facile immaginare come la disposizione porti in sé il germe di possibili contenziosi, tra l'amministrazione e la parte debitrice, sui criteri utilizzati per stabilire la completezza e la regolarità dell'attestazione e della documentazione. Inoltre il mancato, incompleto o irregolare adempimento degli obblighi di comunicazione impedirà anche al giudice investito del procedimento di esecuzione forzata, così come al commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo, ove il creditore abbia proposto azione di ottemperanza, di disporre il pagamento di somme o l’assegnazione di crediti in favore dei creditori ex lege Pinto. L'art. 5 sexies lascia quindi intuire che la parte vittoriosa dovrà attendere un discreto lasso di tempo prima di vedere soddisfatte le proprie pretese e anche laddove la stessa riuscirà a sbrogliare l'arduo gomitolo della burocrazia, viene comunque prevista una clausola di salvaguardia, secondo cui "l’erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili sui pertinenti capitoli di bilancio, fatto salvo il ricorso ad anticipazioni di tesoreria mediante pagamento in conto sospeso, la cui regolarizzazione avviene a carico del fondo di riserva per le spese obbligatorie, di cui all’articolo 26 della legge 31 dicembre 2009, n. 196" (art. 5 quinquies comma 6).

6) Conclusioni

A ben vedere la citata legge di Stabilità 2016 non sembra avere la forza, e neppure l’ambizione, di costituire uno strumento in grado di incidere positivamente sulla legge Pinto e quindi di impedire il verificarsi della violazione del diritto, di portata costituzionale ed europea, alla ragionevole durata del processo. Il legislatore cerca di responsabilizzare le parti ma arriva a ledere con i rimedi preventivi il diritto costituzionale di agire in giudizio. Cerca di razionalizzare i capitoli di spesa pubblica e giunge a stringere le maglie del diritto ad un'equa riparazione del danno, prevedendo cause di esclusione ex lege. Cerca di snellire il procedimento, ma si limita a modificare la competenza del giudice. Tenta infine di disciplinare le modalità di pagamento da parte dell'amministrazione e fa soggiacere la parte vittoriosa ad un mare di burocrazia. E' allora facilmente prevedibile il fallimento, il quale tuttavia potrebbe costituire la spinta propulsiva verso nuovi interventi legislativi, i quali questa volta dovrebbero essere necessariamente di ben più ampio respiro, indirizzando razionalmente la spesa pubblica su interventi strutturali  e processuali davvero efficaci. Come infatti sostenuto da alcuna dottrina, qualunque novità legislativa potrà tuttavia portare i suoi frutti solo ove affondi le radici  in una nuova “cultura del processo”,  la quale richiede da parte di tutti i soggetti coinvolti (legislatore, magistratura, avvocatura e cittadini) la consapevolezza dei valori in gioco, l’approfondimento scientifico e critico del concetto di “giusto processo” siccome percepito e disciplinato nel passato e nel presente, nonchè la comune e sinergica volontà di sperimentare la via del processo ragionevole, che tale non sia solo per la durata ma anche per la qualità delle decisioni e per le ricadute socio-economiche (8).

Note bibliografiche

1) Art. 1 Legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2;

2) Decreto legislativo 22 giugno 2012 n. 83;

3) Legge 28 dicembre 2015 n. 208;

4) Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, sentenza 25 febbraio 2016, Olivieri c. Italia;

5) Corte Costituzionale, sentenza 19/02/2016, n° 36;

6) Cassazione, Sez. I, sentenza 24/02/2010, n. 4524;

7) Cassazione, Sez. IV, sentenza 2  novembre 2015, n. 22385;

8) P. D'ovidio, Legge di stabilità 2016 e modifiche alla legge Pinto: durata irragionevole a costi razionali, su www.magistraturaindipendente.it