Lavoro accessorio: evoluzione della disciplina dal D. Lgs. 276/2003 al Jobs Act.
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Giuseppe Naglieri
Le ragioni giuridiche e sociali dell´ingresso del lavoro accessorio nel nostro ordinamento e dell´espansione dell´utilizzo dello strumento del voucher lavoro.
1. La ratio dell' istituto nella legge delega; 2. Il recepimento della delega parlamentare nel d.lgs.276/2003; 3. La progressiva distorsione funzionale dell' istituto ad opera del Legislatore; 4. La disciplina attuale a seguito del d.lgs. 81/2015; 5 La recente proliferazione del voucher lavoro; 6. L' esigua disciplina del lavoro accessorio; 7. Tra a-contrattualità e realtà fattuale: il lavoro subordinato cambia volto?
1. La ratio dell’istituto nella legge delega.
La legge 14 Febbraio 2003 n.30, recante la Delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro, all’ articolo 4 comma 1 lett.d, prevedeva, oltre alle modifiche delegate all’esecutivo sulla disciplina delle tipologie di lavoro già esistenti, “ l’ ammissibilita' di prestazioni di lavoro occasionale e accessorio, in generale e con particolare riferimento a opportunita' di assistenza sociale, rese a favore di famiglie e di enti senza fini di lucro, da disoccupati di lungo periodo, altri soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, regolarizzabili attraverso la tecnica di buoni corrispondenti a un certo ammontare di attivita' lavorativa, ricorrendo, ai sensi dell'articolo 5, ad adeguati meccanismi di certificazione”.
Due le finalità che emergono con l'introduzione di disposizioni ad hoc per la regolarizzazione del lavoro occasionale ed accessorio:
- finalità antielusive, in relazione ad attività lavorative occasionali spesso svolte al di fuori della legalità;
- finalità di primo inserimento nel mercato del lavoro di soggetti ancora esclusi, di reinserimento di disoccupati di lungo periodo e di risocializzazione di soggetti a rischio di esclusione sociale.
Tali prestazioni, nell’ottica del Legislatore delegante dovevano essere preminentemente rese in favore di famiglie ed enti senza fini di lucro; l’ intento dichiarato era quindi quello di approntare una seppur minima tutela previdenziale e assicurativa a tutti quei soggetti che prestassero il proprio lavoro, seppur occasionalmente, rendendo peraltro più semplice e tracciabile l’ erogazione dei corrispettivi da parte del committente, con l’ introduzione di buoni dal valore prestabilito, ovvero corrispondenti alla quantità dell’ attività lavorativa resa. La finalità antielusiva dell’ istituto emerge, peraltro, nella previsione di un meccanismo di certificazione del buono lavoro rilasciato e di riferibilità dello stesso al prestatore.
2. Il recepimento della delega parlamentare nel d.lgs. 276/2003.
A compimento della delega conferita con la suindicata legge delega, l’ esecutivo ha emanato il d.lgs.10 settembre 2003, n. 276 e, nello specifico, ha disciplinato il lavoro occasionale e accessorio nel titolo VII, capo II, rubricato prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti; la stessa rubrica anticipa l’intento del legislatore delegato di definire restrittivamente il campo applicativo di questa forma di lavoro sui generis; addentrandosi infatti nella lettura dell’art. 70 emerge chiaramente che i destinatari di questa disciplina siano soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne (comma 1); la norma tuttavia non si limita ad una restrizione soggettiva dell’ area applicativa ma prevede tre ulteriori tipi di preclusioni definibili oggettive; tali preclusioni sono legate rispettivamente:
- Alla attività in concreto prestata, che deve rientrare nell’ambito dell’ elenco tassativo indicato alle lettere a-e del primo comma dell’ art. 70 (elencazione che peraltro pare rispettare i committenti potenziali previsti all’art. 4 della legge delega ut sopra.)
- Alla quantità di lavoro prestata, che non può eccedere i trenta giorni nel corso dell’ anno solare.
- All’ ammontare complessivo dei compensi nello stesso arco temporale di cui sopra che non può superare euro tremila.
Nella versione originaria del d.lgs. 276/2003 fin qui esposta, le prestazioni rese (esclusivamente) dai soggetti di cui al comma 1 dell’ art.70 rientranti nelle attività prescritte dallo stesso comma, che non superassero i limiti temporali ed economici previsti dal comma 2, erano qualificabili come occasionali e accessorie e pertanto soggette alla disciplina speciale dell’ art. 72 che, come anticipato, prevede il pagamento mediante un buono lavoro dal valore prefissato, esente da ulteriori imposizioni fiscali.
Occorre peraltro chiarire che le attività tassativamente previste dal comma 1 (piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa la assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap; insegnamento privato supplementare; piccoli lavori di giardinaggio, nonche' di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamita' o eventi naturali improvvisi, o di solidarieta') per loro natura e per gli stringenti criteri da cui dipendeva il carattere occasionale, finivano per identificarsi con l’ ambito del lavoro parasubordinato ed autonomo; mancavano tuttavia già nel testo originario del decreto, richiami alle modalità di esecuzione della prestazione, che meglio avrebbero chiarito l’ ambito applicativo dell’ istituto.
3. La progressiva distorsione funzionale dell’ istituto ad opera del legislatore
A partire dall’ anno successivo all’ emanazione del d.lgs. 276/2003, il legislatore è intervenuto in numerose occasioni a modificare la disciplina delle prestazioni occasionali ed accessorie, con l’ intento seppur non dichiarato di estenderne l’ applicazione ad ipotesi assai diverse dal nucleo originario della norma. Già attraverso il decreto correttivo della riforma del mercato del lavoro (d.lgs. 251/2004) fu innalzata la soglia massima dei compensi annuali percepibili sino ad euro cinquemila. Il primo intervento significativo verso la distorsione della natura occasionale della prestazione si ebbe invece con il DL 203/2005 che abrogò il limite temporale di trenta giorni già previsto al comma 2 dell’ art. 70: iniziava così una progressiva estensione indiscriminata dell’ ambito applicativo del cosiddetto voucher lavoro. Tra le altre modifiche significative occorre in questa sede citare il DL 112/2008 che eliminò ogni riferimento ai particolari destinatari dell’ istituto (soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne ibid.): pertanto a seguito di queste modifiche qualsiasi soggetto che avesse prestato una delle attività tassative e che non avesse ecceduto i soli limiti economici prescritti, sarebbe stato destinatario della disciplina del lavoro occasionale ed accessorio.
Altre disposizioni normative hanno perlopiù ampliato l’ elencazione delle attività tipiche e hanno espressamente incluso alcune categorie di soggetti (nel 2009 si introducono anche le prestazioni rese da pensionati, da percettori di misure integrative del reddito, da lavoratori che abbiano un contratto a tempo parziale con datore di lavoro diverso dal committente).
Tuttavia gli interventi che più di tutti hanno liberalizzato l’ utilizzo del voucher lavoro sono da rinvenirsi:
- Nella legge 92/2012 (cd. Fornero), che elimina completamente l’ elencazione tassativa delle attività a cui era applicabile la disciplina del voucher lavoro, riformulando completamente l’ articolo 70 del dlgs. 276/2003 che a seguito della novella legislativa risultava essere: “Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attivita' lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalita' dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare” permane il riferimento alla natura meramente occasionale dell’ attività, pur restando impossibile sulla scorta di parametri normativi definire quale attività sia occasionale e quale non. La norma così riformulata aggiunge un ulteriore criterio avuto riguardo al rapporto del prestatore con ciascun committente: nei confronti di datori di lavoro imprenditori commerciali o professionisti fermo restando il limite complessivo di cui sopra, non possono maturarsi compensi annuali per più di euro duemila.
- Nel DL 76/2013, che incidendo sulla recente riformulazione della norma in questione, elimina l’ ultimo riferimento alla natura occasionale dell’ attività prestata, concludendo il processo di mutazione ontologica dell’ istituto in analisi.
Pertanto a seguito di queste modifiche, qualsiasi prestazione lavorativa, da chiunque resa, che non ecceda il limite annuo di euro cinquemila di compensi (e il limite ulteriore di duemila euro nei confronti dei soli imprenditori commerciali o professionisti)potrà essere retribuita mediante voucher lavoro.
Appare necessario soffermarci in questo momento della nostra riflessione su un aspetto precipuo: essendo abrogato l’ elenco di attività ed essendo tuttora inesistente una disciplina delle modalità di esecuzione della prestazione, nonché ulteriori obblighi a carico delle parti, pare evidente la possibilità che ricadano all’ interno di questa disciplina prestazioni lavorative eseguite con le modalità tipiche dell’ eterorganizzazione, con il rispetto di un orario di lavoro e di direttive penetranti da parte del committente/datore di lavoro. Su tale aspetto si tornerà in seguito.
4. La disciplina attuale a seguito del d.lgs. 81/2015
Il d.lgs. 81/2015, nel riformulare in un'unica fonte tutte le tipologie contrattuali esistenti, ha abrogato parte consistente del d.lgs. 276/2003; per quel che riguarda l’ argomento della nostra trattazione sono abrogati gli artt. 70-73, essendo attualmente riportata la disciplina del lavoro accessorio (così è rubricata attualmente al capo VI) negli artt. 48-50 del succitato decreto legislativo.
Il legislatore delegato, nel mantenere quasi immutata la disciplina risultante dalla modifica del 2013 (ciò che appare modificata è la modalità di acquisto e di controllo sull’ utilizzo dei voucher lavoro di cui si parlerà più avanti), ha tuttavia ulteriormente innalzato (sic!) il limite dei compensi complessivi percepibili entro l’ anno solare, portandoli ad euro settemila.
5. La recente proliferazione del voucher lavoro
La dottrina e le organizzazioni sindacali si sono espresse assai negativamente circa l’ elefantiasi nel ricorso al lavoro accessorio registratasi negli ultimi anni. In modo particolare al momento in cui si scrive i voucher lavoro hanno fatto registrare nei primi tre mesi del 2016 un aumento del 45,6 per cento, superando quota 10 milioni al mese (1).
Alcune precisazioni in merito. È innegabile la proliferazione di questo strumento e il picco registrato negli ultimi mesi; tuttavia è evidente che la causa non vada cercata isolatamente all’ interno della disciplina del lavoro accessorio e in particolare nelle nuove disposizioni che l’ hanno ampliata e assai liberalizzata a partire dal 2012.
Tutte le forme contrattuali introdotte e modificate nel nostro ordinamento a partire dalla riforma del mercato del lavoro del 2003 hanno avuto come fine quello di fornire all’ impresa strumenti di gestione del fattore lavoro più flessibili, ora introducendo fattispecie contrattuali per loro natura flessibili quali il lavoro intermittente, ovvero la somministrazione di lavoro, ora liberalizzando ulteriormente fattispecie già esistenti (si pensi ai recenti interventi sul contratto a termine). Questa escalation che ha portato alla progressiva riduzione dell’ ambito di applicazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato appannaggio di tali forme contrattuali atipiche, doveva, nelle intenzioni del legislatore delegato del 2014 terminare. Così nell’ ottemperare alla delega legislativa, l’ esecutivo ha superato alcune fattispecie contrattuali, modificato in senso peggiorativo altre, con l’ intento dichiarato di voler valorizzare un fantomatico rinnovato contratto a tempo indeterminato denominato contratto a tutele crescenti. Tali interventi di depotenziamento delle altre tipologie di lavoro potrebbero aver a contrario favorito una proliferazione senza controllo del lavoro accessorio, che diventa sempre più un istituto acontrattuale in grado di sostituire in molti ambiti imprenditoriali il contratto di lavoro, surrogando il lavoro subordinato e le relative tutele. Il lavoro accessorio infatti, come risultante dalle recenti modifiche risulta per il datore di lavoro l'istituto più vantaggioso non solo a livello economico ma anche considerando i ridotti adempimenti formali di cui si tratterà nel paragrafo seguente.
6. L'esigua disciplina del lavoro accessorio
Dalle disposizioni di cui all'art. 49 del d.lgs. 81/2015 si ricava esclusivamente la disciplina delle modalità di acquisto dei voucher lavoro e la procedura di pagamento degli stessi ai prestatori di lavoro, così schematizzabile:
- Il primo comma prevede un onere a carico del committente, che dovrà acquistare i buoni lavoro presso i concessionari indicati al comma 7 (Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua con decreto il concessionario del servizio e regolamenta i criteri e le modalità per il versamento dei contributi);
- Il terzo comma obbliga il committente che intenda utilizzare un voucher già acquistato a comunicare alla DTL prima dell'inizio della prestazione i dati anagrafici ed il luogo in cui il lavoratore presterà la propria attività;
- I commi 4 e 5 prescrivono invece le modalità attraverso cui il prestatore percepisce le spettanze: sarà il concessionario di cui al comma 7, a seguito dell'accreditamento del buono da parte del committente, ad erogare le somme dovute al prestatore, detraendo dal valore nominale del buono una somma pari al tredici percento che verserà quali contributi previdenziali alla gestione separata INPS e una ulteriore somma pari al sette percento che verserà all'INAIL per fini assicurativi contro gli infortuni;
Questa la scarna disciplina approntata dal legislatore, che lascia intravedere il vantaggio quasi tutto spostato a favore del datore di lavoro/committente, che ben potrà utilizzare questo strumento nella totalità dei suoi rapporti; il committente non instaurerà con i prestatori di lavoro accessorio alcun rapporto giuridico tutelato dal diritto del lavoro, in capo al committente graveranno i soli obblighi già descritti, oltre ad un implicito obbligo di verifica della compatibilità del lavoratore con i limiti economici (peraltro assai elevati) prescritti all'art.48.
Alla luce di quanto sopra enunciato i vantaggi per il prestatore di lavoro accessorio risultano essere:
- Il versamento dei contributi INPS, computati ai fini previdenziali e l'assicurazione contro gli infortuni INAIL (che peraltro, come chiarito con circolare dalla stessa INAIL comprende gli eventuali infortuni nel tragitto da e per il luogo di lavoro).
- La possibilità di integrare i propri redditi (finanche i redditi da lavoro dipendente, purché il lavoro accessorio non venga prestato in favore del datore di lavoro con cui intercorre già il rapporto, come ha precisato la circolare Inps n. 49/2013 )
Inoltre un vantaggio per il prestatore che il legislatore intendeva perseguire era quello di garantire un corrispettivo minimo per ogni ora di lavoro prestata, stante la possibilità di emettere voucher lavoro del solo valore prestabilito dal decreto del ministro del lavoro e delle politiche sociali come prescritto dal comma 1 dell'art.48; tuttavia, nonostante la circolare 4/2013 del ministero del lavoro abbia chiarito che il compenso minimo orario lordo di euro 10 (7,50 al netto dei contributi INPS e INAIL) sia inderogabile, nella prassi emerge un uso improprio del voucher lavoro, acquistato dal committente non avendo riguardo delle ore che il lavoratore presterà nel concreto ma acquistando un numero di voucher necessari per raggiungere la somma pattuita con il lavoratore e perloppiù slegata da ogni parametro orario.
7. Tra a-contrattualità e realtà fattuale: il lavoro subordinato cambia volto?
Da tutte le considerazioni fin qui elaborate, è semplice comprendere come la disciplina attuale del lavoro accessorio, per la tendenziale indiscriminata applicabilità a tutti i lavoratori, per qualsiasi attività resa, in favore di qualunque datore di lavoro, susciti non poche critiche da parte della dottrina.
Se, come si è chiarito nel secondo paragrafo, la disciplina originaria finiva con l’ identificare le prestazioni rientrati nel lavoro accessorio con l’ ambito del lavoro autonomo e tuttalpiù della parasubordinazione, avendo previsto il legislatore una serie tassativa di attività per le quali era possibile il pagamento mediante buono lavoro, con il progressivo smantellamento della disciplina originaria, sempre più si è assistito ad uno sconfinamento di questa fattispecie atipica nel campo del lavoro subordinato.
Il lavoro accessorio quindi non pare agevolmente armonizzabile con il vigente sistema di diritto del lavoro (2) essendo sottoposti alla medesima scarna disciplina rapporti di lavoro che sono assai distanti tra di loro; il problema fondamentale sorge in relazione a prestazioni che per la loro natura e le loro modalità di svolgimento posseggano tutti i caratteri della subordinazione e che nonostante ciò, per espressa previsione di legge, siano sottratte alle disposizioni protettive tipiche del lavoro subordinato.
Cosa si giungerebbe ad affermare tuttavia se si riconoscesse la totale a-contrattualità dell’ istituto in questione? In tutti questi casi nei quali, di fatto, un vincolo di subordinazione sussista, il lavoratore non avrebbe alcuna tutela al di fuori di quelle minime forme assistenziali-previdenziali previste attualmente dall’ art. 49; non avrebbe alcuna tutela nei confronti di un eventuale illegittimo demansionamento, né alcuna tutela nei confronti di atti discriminatori (3), ovvero nessuna tutela nei confronti di un licenziamento illegittimo; semplicemente perché per espressa previsione di legge tra il prestatore di lavoro e il committente non sussiste alcun rapporto di lavoro. Appare questa tesi condivisibile?
Avallare questa tesi significherebbe consentire che l’ intero impianto del diritto del lavoro così come conosciuto sia minato dalle fondamenta; consentire all’ imprenditore di scegliere arbitrariamente se stipulare un regolare contratto di lavoro subordinato (pur precario, ma comunque disciplinato più compiutamente) ovvero sottoporre il lavoratore alla disciplina del lavoro accessorio significherebbe riconoscergli un potere che va ben oltre l’ eterorganizzazione (che si estrinseca nella dinamica del rapporto di lavoro) poiché tale potere si esplicherebbe addirittura prima dell’ inizio della prestazione, sterilizzando qualsiasi potere contrattuale del lavoratore: anzi, questo diventerebbe un potere a-contrattuale. Il datore di lavoro manterrebbe intatti il suo potere di gestione della prestazione pur non ponendo in essere nessun rapporto di lavoro qualificato. Questo significherebbe consentire al datore di utilizzare il lavoratore con tutte le modalità tipiche del lavoro subordinato, senza approntargli alcuna garanzia durante lo svolgimento del rapporto per un tempo che può raggiungere perfino le 200 ore (4); a ciò si aggiunga che l’ inesistenza di qualsivoglia forma di tutela non termina con la cessazione del rapporto ma si estende oltre poiché le prestazioni di lavoro accessorio non possono in ogni caso essere computate ai fini della percezione di misure di sostegno al reddito.
Occorre allora chiarire la natura dell’ istituto per poter risolvere le questioni sospese di cui sopra.
La tesi condivisa in dottrina è che il lavoro accessorio non sia una fattispecie contrattuale: depongono in tal senso il tenore letterale della norma, che si riferisce ad una “prestazione accessoria” e non definisce mai il rapporto tra committente e prestatore come un contratto. Pala (5) ritiene, come la dottrina maggioritaria, che nel lavoro accessorio manchino altresì gli elementi essenziali del contratto di cui all’ art. 2321 cod. civ., essendo in particolare assente un accordo per costituire un particolare rapporto giuridico avente contenuto patrimoniale; il legislatore infatti subordina la qualificazione del rapporto ad una serie di obblighi posti a capo del committente che appaiono tuttalpiù come atti unilaterali dai quali non può dedursi l’ accordo delle parti, né può ritenersi un fatto concludente la materiale ricezione del buono lavoro da parte del prestatore, essendo quello un fatto successivo alla prestazione che non condiziona in nessun modo l’ esistenza del rapporto.
Avendo chiarito pertanto che il lavoro accessorio non possa qualificarsi come un contratto, occorre tuttavia precisare che da tempo la dottrina e la giurisprudenza hanno accolto la tesi della natura contrattuale del rapporto di lavoro: in tale ottica anche una prestazione di fatto (come si presenta attualmente il lavoro accessorio) presuppone l’ esistenza di un contratto.
Nulla osta pertanto alla possibilità per il lavoratore di convenire in giudizio il committente per la eventuale qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato e il riconoscimento di tutti i diritti propri di tale rapporto, prescindendo dalla modalità attraverso la quale è avvenuto il pagamento della prestazione, che in questo caso sarà quella del voucher lavoro.
Per concludere: nonostante la dottrina sia giunta alla conclusione per cui occorrerà accertare in concreto la sussistenza di un vincolo di subordinazione nel rapporto di lavoro e la disciplina del lavoro accessorio non sia da ostacolo a tale attività ermeneutica, occorre riconoscere la pericolosità dell’ espansione incontrollata di questo fenomeno di lavoro sui generis e la necessità di riportare nell’ alveo originario questa fattispecie di lavoro, restringendone nuovamente l’ ambito di applicazione a particolari forme di lavoro discontinue, pena la possibilità che lo stesso contratto di lavoro subordinato cambi pelle e si trasformi in una libera opzione del datore di lavoro. Il lavoratore sarebbe così costantemente fuori dal mercato del lavoro, quale strumento a tempo determinato per l’ impresa, pronta a sostituirlo al raggiungimento del tetto di compensi annuale, senza avere alcun obbligo nei suoi confronti.
Note e riferimenti bibliografici
(1): Lavoro, crollano gli indeterminati ed è boom di voucher. Poletti: "Non li cancelleremo" di Luca Sappino, L’ espresso, 18 maggio 2016
(2): Così, Antonio Ivan Natali in diritto e pratica del Lavoro 1/2016
(3): Si noti che nella situazione in cui il medesimo datore di lavoro impieghi lavoratori con contratto di lavoro subordinato e lavoratori occasionali e li adibisca alle medesime mansioni, con le stesse modalità esecutive (rispetto di un orario di lavoro, turni ecc.) la disparità di trattamento sarebbe abituale e priva di fondamento nella diversa essenza dei rapporti.
(4): Il riferimento al limite di 200 ore si ottiene dividendo il compenso massimo annuale percepibile dal prestatore di euro duemila da ciascun imprenditore commerciale o professionista (introdotto dalla legge 92/2012 nell’ art. 70 comma 1 d.lgs. 276/2003 e confermato nell’ attuale formulazione dell’ art. 48 d.lgs. 81/2015) per il valore orario minimo di ciascun voucher lavoro, corrispondente, al momento in cui si scrive, a circa 10 euro –al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali- .
(5): si veda Pala M., Criticità del lavoro accessorio (voucher) dopo la legge n.99/2013, in Lex24 Il Merito 16 luglio 2014