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Pubbl. Gio, 8 Set 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

Le Sezioni Unite fanno il punto sulle clausole claims made: via al vaglio di meritevolezza.

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Rosa Mugavero


Le clausole claims made (a richiesta fatta) inserite sovente nei contratti di assicurazione dell´attività professionale appassionano la Corte di Cassazione da ormai circa un decennio, e di recente hanno ricevuto il definitivo avallo delle Sezioni Unite con la sentenza del 6 maggio 2016 n. 9140, che aiuta a fare chiarezza sul tema.


Sommario: 1) Perchè le clasuole claims made interessano così tanto gli operatori del diritto?; 2) Le clausole claims made sono valide ed efficaci?; 3) Natura giuridica: clausole delimitative dell’oggetto o della responsabilità?; 4) Gli strumenti di tutela; 5) Conclusioni

1) Perchè le clasuole claims made interessano così tanto gli operatori del diritto?

La sempre crescente attenzione che negli anni hanno ricevuto le clausole claims made si spiega facilmente se si riflette sulla pluralità di temi del diritto civile che esse intercettano. Tanto per iniziare, le clausole "a richiesta fatta" rappresentano un vero e proprio banco di prova per la tenuta dell'oggetto del contratto di assicurazione della responsabilità civile, che si identifica nel trasferimento del rischio dall'assicurato alla compagnia assicuratrice a fronte del pagamento di un premio (cfr. artt. 1882, 1917 c.c.). Del pari le clausole in parola rappresentano la sede elettiva della distinzione tra clausole delimitative dell’oggetto del contratto e clausole delimitative della responsabilità, foriera di rilevanti conseguenze applicative in punto di validità (art. 1229 c.c.) nonchè di giudizio di vessatorietà (art. 1341 c.c.). Non può sottacersi, infine, come esse diano luogo ad una vera e propria "palestra" per la ricerca di rimedi più incisivi rispetto a quello (meramente formale) del giudizio di vessatorietà della clausola, senza contare che negli ultimi anni hanno avuto un'eco ancora maggiore a seguito dei recenti interventi normativi che hanno imposto l’obbligo per il professionista di stipulare il contratto di assicurazione contro i danni.

La pronuncia delle Sezioni Unite in commento ricompone sapientemente il contrasto interpretativo e fornisce delle risposte a molte domande che nel corso degli anni sono rimaste insolute, o comunque soggette ad esiti interpretativi tra loro discordanti.

2) Le clausole claims made sono valide ed efficaci?

Giova preliminarmente precisare che il contratto di assicurazione per responsabilità civile con clausola claims made si caratterizza per il fatto che la copertura assicurativa è subordinata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza, laddove invece secondo l’ordinario modello “loss occurrence” delineato dall’art. 1917 c.c. l’obbligo di manleva della compagnia assicuratrice scatta in ordine a tutti i sinistri verificatesi nel periodo di durata del contratto (irrilevante essendo il momento della richiesta risarcitoria da parte del soggetto danneggiato).

Proprio questa significativa disfunzione dalle coordinate classiche del contratto di assicurazione ha sin da subito innescato il dubbio circa l’astratta validità delle clausole claims made[1], definitivamente dissipato dalle Sezioni Unite del 6 maggio 2016 che hanno confutato tutti gli argomenti della tesi avversa declamando la validità delle suddette clausole.

In primo luogo la Suprema Corte evidenzia come l’art. 1917 c.c., pur facendo riferimento al “fatto illecito”, non è norma inderogabile. Quanto poi alla tradizionale critica in base alla quale il rischio pregresso (id est rischio putativo) non sarebbe coperto dal contratto assicurativo in base al disposto dell’art. 1895 c.c., la Corte afferma che il rischio pregresso può entrare nel contratto di assicurazione a condizione che l’assicurato non sia a conoscenza dell’avvenuta verificazione dell’illecito (operando in caso contrario la disciplina delle dichiarazioni false o reticenti ex 1892 e 1893 c.c.).

Le Sezioni Unite hanno tuttavia cura di precisare che l’apposizione di clausole claims made al contratto di assicurazione, pur non inficiandone la validità e la liceità, rende il contratto de quo atipico: per effetto di tali clausole il rischio non è più la verificazione del sinistro (rischio tipico della responsabilità civile) ma l’eventualità che il terzo attivi la richiesta risarcitoria, di guisa che il rischio non si identifica più nella responsabilità, ma nella “responsabilità reclamata”.

3) Natura giuridica: clausole delimitative dell’oggetto o della responsabilità?

Affermata l’astratta validità, il vero punctum dolens delle clausole claims made è sempre stato quello dell’individuazione della natura giuridica, da anni oggetto di contrasti nella giurisprudenza di merito e di legittimità soprattutto per le implicazioni in punto di disciplina a seconda dell’opzione prescelta.

Mentre è possibile rintracciare un orientamento più o meno compatto nella pregressa giurisprudenza di merito incline a considerare le clausole in parola come delimitative della responsabilità, alle medesime conclusioni non giunge invece la Corte di Cassazione, che a partire dal 2005 ha iniziato ad occuparsi ex professo della questione.

La discordanza di opinioni sul punto è tanto più significativa se solo si considera che nel 2015 la III sezione della Corte di Cassazione ha reso a distanza di pochi mesi due pronunce tra loro alquanto dissonanti, le quali hanno palesato l’opportunità di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

E infatti se con la sentenza del 13 febbraio 2015 n. 2872 la Cassazione sembrava mettere fine all’annosa querelle affermando che la clausola claims made definisce l’oggetto della copertura assicurativa, qualche mese più tardi con la sent. n. 22891 del 10 novembre 2015 la stessa Corte ritiene che la clausola claims made possa essere indifferentemente delimitativa dell’oggetto del contratto ovvero della responsabilità, a seconda della parte del contratto nella quale è inserita[2].

Il supremo consesso della Corte di Cassazione ha così messo la parola fine sul punto con la pronuncia del 6 maggio 2016 n. 9140, optando una volta per tutte per la natura di clausola delimitativa dell’oggetto del contratto delle clausole claims made cd. impure[3]: esse rientrano a pieno titolo nell’alveo del modello delineato dall’art. 1917 c.c. in quanto tali clausole mirano a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo rispetto a quello dell’epoca di realizzazione della condotta lesiva (il solo richiesto dal 1917, e che le claims made impure contemplano). Perciò esse si inscrivono perfettamente nei “modi e nei tempi stabiliti dal contratto” entro i quali, a norma del 1905, l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno all’assicurato.

4) Gli strumenti di tutela

A fronte di una clausola claims made predisposta dalla compagnia assicurativa il cliente ha ben poche speranze di “farla franca” nel caso in cui produca un danno a terzi: in altre parole egli deve "sperare" che il terzo avanzi la richiesta di risarcimento proprio nel periodo di vigenza del contratto assicurativo, il quale una volta giunto al termine avrà esaurito la propria funzione di copertura.

Così stando le cose, fino ad un recente passato, l’unico strumento di tutela nella disponibilità del cliente era il giudizio di vessatorietà della clausola ai sensi dell’art. 1341 co.2 c.c., che però intanto può essere azionato in quanto si parte dal presupposto che la clausola claims made sia delimitativa della responsabilità (e non dell’oggetto) del contratto.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione in commento hanno statuito anche su questo punto, affermando che la clausola claims made impura, in quanto delimitativa dell’oggetto del contratto, non è in astratto vessatoria. A ben guardare essa non lo è neanche in concreto, sub specie degli altri profili tipizzati dal co.2 del 1341 c.c., per una molteplicità di ragioni tra cui viene in rilievo soprattutto l’argomentazione relativa all’incisione della libertà contrattuale del non predisponente: secondo la Cassazione essa costituisce al più un inconveniente pratico, che in quanto effetto riflesso delle condizioni di stipula, è semmai passibile di valutazione in sede di scrutinio sulla meritevolezza della tutela.

Tuttavia la clausola claims made può essere vessatoria ai sensi degli artt. 33 ss cod consumo laddove venga in rilievo la relativa disciplina[4].

Ma le Sezioni Unite fanno un passo ulteriore: se da un lato escludono il giudizio di vessatorietà della clausola, contestualmente ammettono l’eventualità che essa possa essere sottoposta al diverso e più penetrante giudizio di meritevolezza.

Ebbene tale giudizio di meritevolezza si articola diversamente a seconda che venga in rilievo una clausola claims made pura o impura[5]: nel primo caso le clausole sono tendenzialmente sempre meritevoli, perché non prevedono limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutando l’importanza dell’epoca di commissione del fatto.

Allorchè venga in considerazione una clausola claims made impura il giudizio di meritevolezza si fa più complesso. Quelle che prevedono che durante il tempo dell’assicurazione deve intervenire sia la richiesta che l’illecito sono particolarmente penalizzanti e le Sezioni Unite sembrano optare per la soluzione della immeritevolezza. Le clausole che invece estendono (seppur entro un determinato arco temporale) la copertura assicurativa al rischio pregresso, possono essere positivamente apprezzate in quanto il rapporto di corrispettività tra pagamento del premio e diritto all’indennizzo (se sfuma quasi totalmente rispetto alle condotte illecite poste in essere nell’ultimo periodo di vigenza del contratto) opera con riferimento agli illeciti posti in essere dall’assicurato nel periodo antecedente alla stipula. Quindi da questo punto di vista possono essere considerate meritevoli.

5) Conclusioni

Rispetto al quadro giurisprudenziale previgente è possibile, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite del 2016, vantare qualche certezza in più in tema di claims made.

Posto che viene ribadito che tali clausole sono valide ed efficaci, la Cassazione esclude che il cliente possa far valere la loro vessatorietà ma ciononostante sottopone le stesse al vaglio di meritevolezza in concreto. Giudizio di meritevolezza che, se ancora appare a tratti nebuloso, conduce il cliente su una strada meno ripida e faticosa, in quanto volto a far dichiarare in nuce la nullità della clausola, rimedio senz’altro più dirompente della mera declaratoria di inefficacia cui vanno incontro le clausole vessatorie ai sensi dell’art. 1341 co.2 c.c.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Ex multis, Trib. Casale Monferrato, 25 febbraio 1997; Trib. Bologna, 2 ottobre 2002, n. 3318; Trib. Genova, 8 aprile 2008.

[2].Per una puntuale analisi della pronuncia cfr http://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=976

[3] Le clausole claims made impure garantiscono soltanto i sinistri accaduti e denunciati nel periodo di vigenza del contratto assicurativo.

[4] Si rammenta che la disciplina contenuta nel d.lgs. 6 settembre 2005 n° 206 (codice del consumo) intanto viene in rilievo in quanto una delle due parti (in questo caso il cliente della compagnia di assicurazione) possa essere qualificato come “consumatore”.

[5] Per la definizione di clausola claims made impura cfr nt. 3.