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Pubbl. Gio, 23 Giu 2016

Locazione ad uso non abitativo: quando è escluso il rimborso per gli interventi sull'immobile.

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Samuele Miedico


La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 10896 del 26 maggio 2016, ha escluso la ripetizione delle spese sostenute dal locatore per interventi sull´immobile quando le clausole contrattuali lo escludono espressamente.


1. Premessa

La disciplina della locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione è fornita dalla legge n. 392/1978.

Con il contratto di locazione ad uso non abitativo una parte (detta “locatore”) concede ad un altro soggetto (“conduttore”, comunemente detto “inquilino”) il godimento di un immobile destinato ad un uso diverso da quello di abitazione, dietro pagamento di un canone il cui importo è liberamente determinato dalle parti stesse.

Si tratta, all’evidenza, di un contratto avente ad oggetto un immobile che non viene utilizzato dal conduttore quale propria abitazione: pertanto, riguarda edifici destinati allo svolgimento, tra le altre, di attività commerciali, industriali, artigianali e di interesse turistico.

Ebbene, con la sentenza in esame la Suprema Corte ha chiarito che, se le clausole contrattuali escludono ogni diritto al rimborso, allora il conduttore non ha la possibilità di ottenere la rifusione di quanto speso per far fronte agli interventi strutturali sull’immobile.

2. Il caso in esame.

La Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, con la sentenza 26 maggio 2016 n. 10896, ha rigettato il ricorso di una società a r.l., subentrata nel contratto di locazione originario, confermando quanto deciso dalla Corte d’appello di Milano con sentenza n. 1364 del 17 maggio 2012.

La Suprema Corte è stata chiamata ad esprimere il suo giudizio a seguito di una richiesta di rimborso presentata dalla società a r.l. per le spese sostenute per lavori di ristrutturazione dell’immobile condotto in locazione, nonché per il risarcimento del danno da mancata disponibilità di questo nel tempo necessario ad eseguirli.

In un primo momento, la Corte di appello di Milano ha escluso, sulla base del tenore testuale delle clausole contrattuali, ogni diritto al rimborso delle spese patite per effettuare tali modificazioni all'immobile.

La conduttrice, invece, riteneva che, anche in quanto cessionaria del contratto originario, avrebbe dovuto rilevare la sua diversa volontà e, comunque, la circostanza che si trattava di spese indotte da vizi occulti.

Può essere utile, a questo punto della trattazione, per meglio comprendere le richieste della conduttrice, illustrare cosa si intende, rispettivamente, per cessione di un contratto e per vizi occulti della cosa locata.

In generale, possiamo dire che la cessione del contratto è inquadrata dall’art. 1406 c.c., che la individua come la vicenda giuridica con la quale “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive”. Ebbene, tale fattispecie, applicata al contratto di locazione, risulta essere caratterizzata dal seguente schema: il conduttore (denominato “cedente”) cede ad un terzo (“cessionario”) il contratto di locazione di un immobile che aveva originariamente stipulato con il locatore (“ceduto”).

La cessione si concretizza con la stipulazione, tra cedente e cessionario, di un apposito “contratto di cessione”, il quale può prevedere, peraltro, su accordo di tutti i soggetti coinvolti, una modifica delle clausole che erano state originariamente pattuite.

Si può, invece, parlare di vizi occulti della cosa locata quando il locatore non mette a conoscenza del conduttore una determinata situazione inerente al bene oggetto della locazione e quest’ultimo la scopre dopo la stipulazione del contratto definitivo. Si tratta, in genere, di fastidiose anomalie che si possono riscontrare solo dopo la consegna del bene, come, ad esempio, una parete di un edificio permeabile ad infiltrazioni d’acqua ma coperta da mobilio, in modo che tale difetto sia celato alla vista.

La legge prevede una vera e propria garanzia per i vizi occulti della cosa locata, in quanto, a norma dell’art. 1578 c.c., “il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili”.

Nel caso in esame, la conduttrice, in qualità di cessionaria del contratto originario, afferma che il cedente ha omesso di comunicarle la necessità di effettuare tali interventi sull’immobile locato, invocando a suo favore proprio l’applicazione della garanzia per i vizi occulti.

I locatori, dal canto loro, non solo contestano la non rispondenza al vero delle circostanze dedotte dalla ricorrente, ma eccepiscono anche la decadenza della conduttrice da ogni garanzia per vizi e la prescrizione di ogni pretesa risarcitoria.

La decisione adottata dalla Corte di Cassazione si articola in due punti fondamentali.

In primo luogo, per quanto riguarda il rilievo della volontà della conduttrice-cessionaria, la Cassazione afferma che, in base ad un principio generale, essa non ha alcuna rilevanza, a meno che il contratto stesso di cessione non abbia sul punto coinvolto tutti e tre i soggetti (cedente, ceduto e cessionario) con esplicita riconsiderazione e modifica del contratto originario. Ciò che rileva per l’interpretazione del contratto di locazione, dunque, è la volontà dei contraenti che stipularono quest’ultimo.

La Suprema Corte, in secondo luogo, sottolinea che nessuna delle prove testimoniali, in base alle quali si vorrebbe provare l’esistenza di un nuovo accordo, di contenuto contrario a quello desumibile dal contratto, può essere accolta.

Pertanto, il contenuto della locazione, che deve essere ritenuto effettivamente valido, risulta essere quello individuato dalla Corte di appello di Milano: è escluso il rimborso di qualunque intervento sulle strutture del bene locato da parte del conduttore.

Inoltre, la Corte ricorda che l’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito (nel caso in esame, la Corte di appello di Milano) e risponde al tenore letterale delle espressioni usate dalle parti, le quali sono evidentemente (soprattutto quando si riferiscono alle “modificazioni") intese ad addebitare qualsiasi spesa relativa agli interventi sulla struttura dell’immobile al conduttore.

Sostiene, infine, la Corte di Cassazione che: “non può dirsi che gli interventi in concreto eseguiti sfuggissero alle previsioni contrattuali originarie, perché la dizione è così ampia da essere onnicomprensiva”.

3. Risvolti pratici.

L’aspetto più rilevante della pronuncia in commento riguarda il fatto che, come evidenziato più volte dalla Corte, il conduttore non ha la possibilità di ottenere il rimborso delle spese patite per effettuare degli interventi sulla struttura dell’immobile, se ciò è escluso dal contratto di locazione.  

Nel caso specifico, il cessionario, per poter ottenere il diritto alla refusione di tali spese, avrebbe dovuto accordarsi in tal senso al momento della stipulazione del contratto di cessione.

In particolare, a nulla può rilevare la volontà del cessionario, sebbene contraria, se al momento della conclusione del contratto di cessione non ha espressamente richiesto la modificazione delle clausole contrattuali.

Si consiglia, dunque, di prestare sempre estrema attenzione alle condizioni contrattali pattuite tra cedente e ceduto in caso di cessione di un contratto di locazione, onde evitare il rischio di trovarsi a dover “sopportare” situazioni e spese indesiderate.

 

FONTI E BIBLIOGRAFIA

- Cass. n. 10896/2016

- M. Sinisi, F. Troncone Le locazioni ad uso commerciale, III Edizione, 2010, CEDAM