Pubbl. Lun, 16 Mag 2016
Rappresentanza apparente e contratto col falsus procurator
Modifica paginaIl principio di apparenza nel diritto è senz’altro affascinante. Nell’articolo si analizzeranno i suoi rapporti con la rappresentanza apparente e il contratto con il falsus procurator.
Il principio dell'apparenza del diritto.
La figura della rappresentanza apparente, di matrice prettamente giurisprudenziale, nasce dall’applicazione di un principio generale, detto dell’apparenza, che è la più importante regola civilistica creata dal giudice praeter legem.
Infatti, non esiste una norma che ne canonizzi l’applicazione, ma si ritiene che tale regola sia facilmente ricavabile dal sistema e, pertanto, agevolmente applicabile in via interpretativa da alcune norme.
In base a tale principio, l’apparenza prevale sulla realtà. Nel caso di rappresentanza apparente, infatti, si contempla un’ipotesi in cui un soggetto viene regolarmente nominato rappresentante tramite un procura, successivamente modificata o revocata. Ciò non impedisce al soggetto di continuare a operare come fosse ancora rappresentante, ingenerando così nei terzi in buona fede il falso convincimento di concludere un contratto con chi appare ancora rappresentante ed è noto a loro come tale. In questo caso, sono fatti salvi gli effetti del contratto; il contrasto viene infatti risolto in favore dell’apparenza che diventa diritto.
Vanno tuttavia formulate alcune precisazioni. Il principio di apparenza permette alla situazione di fatto di prevalere sulla situazione di diritto, soltanto nel momento in cui si sia in presenza di una situazione di apparenza qualificata. Infatti, nei casi in cui l’apparenza non sia qualificata, resterà valida la situazione reale.
La dottrina ha stabilito i principi in presenza dei quali l’apparenza possa definirsi qualificata. Innanzitutto, fondamentale si rivela il principio di auto-responsabilità: nel caso di rappresentanza apparente, il rappresentato risponde delle obbligazioni stipulate, a suo nome dal rappresentante apparente, a titolo di responsabilità per l’affidamento ingenerato nel terzo e non perché abbia effettivamente conferito un potere rappresentativo.
Ulteriore requisito necessario per la configurabilità dell’apparenza qualificata è il principio del legittimo affidamento. Il terzo che ripone speranze nel contratto stipulato, perdendo anche altre occasioni vantaggiose, va tutelato.
Tali principi devono essere affiancati ad una serie di condizioni, intese quali circostanze tanto oggettive quanto soggettive, che vanno a potenziare la convinzione del terzo di relazionarsi con l’effettivo rappresentante. Infatti, preliminarmente ci deve essere una situazione di fatto che presenta elementi oggettivi e univoci che la danno conforme al diritto. Tale condizione, di tipo oggettivo, deve accompagnarsi a una condizione soggettiva, la colpa del titolare della situazione di diritto che, pur essendo a conoscenza delle trattative in corso nel suo interesse, non eccepisca la mancanza di legittimità del rappresentante. Si precisa che, nel caso sussista l’elemento psicologico del rappresentato, ci sarà apparenza colposa, altrimenti l’apparenza sarà definita pura. A titolo esemplificativo si osserva che, qualora sussista questo secondo tipo, non ci sarà prevalenza della situazione di fatto su quella diritto, dato che, non essendoci l’elemento psicologico, non ci potrà essere colpa del soggetto rappresentato e, conseguentemente, apparenza qualificata.
La tutela del terzo contraente.
Per il terzo contraente è prevista la possibilità di esigere dal rappresentante una giustificazione dei propri poteri, ai sensi dell’art. 1393 c.c, ma si tratterebbe, nel caso, né di un obbligo, né di un onere, ma di una mera facoltà che, in quanto tale, non sembra avere potere decisivo ai fini della valutazione circa la colpevolezza del suo comportamento.
Ciò soprattutto nei casi in cui la forma scritta sia richiesta ad probationem, in quanto in tali ipotesi non sussiste un onore legale di documentazione della procura, mentre discorso diverso varrebbe se per i contratti fosse richiesta forma scritta ab sustantiam. In questo caso, infatti, lo stesso non potrà essere considerato in buona fede, in quanto la normale diligenza avrebbe dovuto indurlo a sospettare riguardo la validità del contratto concluso. Stesso discorso può farsi per i casi in cui il potere rappresentativo andrebbe inserito in pubblici registri. Nell’ipotesi il soggetto contrente dovrà verificare la sussistenza dell’iscrizione e la sua correttezza. Nel caso in cui non adempia, non potrà essere considerato in buona fede.
Altro orientamento giurisprudenziale ritiene che, trattandosi di una mera facoltà, il suo mancato esercizio non può, in nessun caso, nemmeno in quello in cui la forma scritta sia richiesta ad sustantiam, essere considerato sufficiente al fine di integrare un comportamento colposo del terzo tale da escludere la tutela dell’apparenza del diritto, occorrendo a tal fine il concorso di altri elementi.
Va, infine, menzionato un ulteriore precedente giurisprudenziale, rimasto tuttavia isolato, in cui si è avuto un superamento del principio dell’apparenza colposa verso l’applicazione del principio di apparenza pura.
In base a quanto argomentato, dunque, il prodursi dell’effetto è subordinato all’attribuzione al rappresentante della legittimazione ad agire in nome altrui. Senza di essa, infatti, si configura una rappresentanza senza potere.
Si distingue, in proposito, tra difetto di rappresentanza ed eccesso di rappresentanza: il primo si verifica quando il soggetto non abbia, o non abbia mai avuto, la legittimazione rappresentativa; il secondo si configura quando il soggetto abbia avuto in passato, ma non abbia più al momento del compimento dell’atto tale legittimazione, poiché la procura gli è stata revocata o modificata, o, ancora quando il soggetto sia attualmente fornito di legittimazione rappresentativa, ma quest’ultima non copra l’atto posto in essere nel caso specifico.
Difetto ed eccesso di rappresentanza determinano entrambi la non operatività, nel patrimonio del dominus, dell’atto compiuto dal falsus procurator, al quale il terzo contrante, se abbia confidato senza sua colpa nella validità del contratto, può richiedere il risarcimento del danno.
In entrambi i casi si registra un deficit di legittimazione passiva, e questo deve essere stato il motivo che ha spinto il legislatore a unificarne la disciplina ex art. 1398 c.c.
Infatti, tale deficit pone tre ordini di questioni. Per prima cosa, ci si interroga sulla sorte del contratto posto in essere dal falsus procurator; il tipo di responsabilità in cui quest’ultimo incorre e, da ultimo, la funzione della ratifica.
Riguardo alla prima questione, posto il silenzio della legge in merito, due sono le tesi in merito. Secondo un primo orientamento, di stampo minoritario, il contratto sarebbe invalido e, per questo, nullo o annullabile; il secondo orientamento prevalente, invece, opta l’inefficacia dello stesso. Il contratto sarebbe privo di effetti nei confronti del rappresentato dato che il meccanismo rappresentativo non può operare in difetto di procura, ma lo stesso contratto è ugualmente privo di effetti nei confronti del rappresentante che ha compiuto il negozio in nome del dominus. Da ciò si ritiene che il contratto può rimanere quiescente fino a che non intervenga l’eventuale ratifica da parte del dominus.
Per quanto concerne invece gli orientamenti giurisprudenziali in merito, bisogna dire che la Cassazione è costante nel ritenere che il contratto concluso dal rappresentante senza potere non è nullo e neppure annullabile, ma semplicemente inefficace fino alla ratifica dello pseudo rappresentato. A questo proposito è interessante osservare come parte della dottrina qualifichi il contratto in questione come un contratto cd. claudicante, che vincola solo il terzo contraente ma non lo pseudo rappresentato. La ratifica, intervenuta successivamente, varrebbe in questa ipotesi come consenso e dunque come elemento costitutivo del contratto. Tale opinione dottrinale, tuttavia, per quanto condivisibile, non appare convincente. Infatti, entrerebbe in collisione con la definizione stessa di contratto, dato che non può esserci contratto senza consenso.
Contratto senza rappresentaza: invalido o inefficace?
Ciò posto, si discute circa la rilevabilità dell’inefficacia temporanea: se sia rilevabile dal solo rappresentato e dai suoi eredi o anche d’ufficio.
Segnatamente, qualora costituisca materia di eccezione in senso stretto, potrà essere sollevata soltanto dal falsamente rappresentato ed esclusivamente nella fase iniziale del procedimento di primo grado; nel caso in cui invece sia considerata eccezione in senso lato, potrà essere presentata dalle parti per tutta la durata del processo, anche in appello.
In proposito, orientamento giurisprudenziale granitico riteneva che l’inefficacia del contratto concluso dal rappresentante senza poteri non potesse rilevarsi d’ufficio, ma solo su eccezione di parte. Infatti, poiché è volta principalmente a tutelare lo pseudo rappresentato può essere fatta valere solo da quest’ultimo e dai suoi eredi, mentre non è invocabile dal terzo contraente. Egli potrà soltanto, ai sensi dell’art. 1398 c.c., chiedere al falsus procurator per il risarcimento dei danni sofferti per aver confidato senza propria colpa nell’operatività del contratto.
Pertanto, qualora lo pseudo rappresentato che non abbia ratificato non sollevi l’eccezione o la sollevi in ritardo, pur nel caso in cui il difetto di potere emerga dagli atti di causa, il giudice non potrà in ogni caso tener conto dell’ inefficacia del contratto.
Tuttavia, nel corso degli anni, a tale orientamento si è contrapposta un’opinione dottrinale differente.
Alcune recenti voci dottrinali hanno invero evidenziato la non coerenza di tale principio con il criterio generale in tema di distinzione fra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato: in base a tale criterio, tutti i fatti estintivi, modificativi od impeditivi, siano essi fatti semplici oppure fatti-diritti che potrebbero essere oggetto di accertamento in un autonomo giudizio, sono infatti rilevabili d’ufficio, rappresentando eccezioni in senso lato. Di contro, la rilevabilità a istanza di parte è confinata ai casi specificamente previsti dalla legge o a quelli in cui l’effetto estintivo, impeditivo o modificativo si ricollega all’esercizio di un diritto potestativo oppure si coordina con una fattispecie che potrebbe dar luogo all’esercizio di un’autonoma azione costitutiva. Di conseguenza, atteso che sul punto non v’è previsione espressa della legge riguardo ad un’indispensabile iniziativa della parte, tale orientamento ha contestato che l’eccezione di inefficacia corrisponda all’esercizio di un potere costitutivo dello pseudo rappresentato.
A dirimere tale contrasto ha pensato la Cassazione, nella sua massima composizione nomofilattica, con una recente pronuncia.
A tal riguardo, gli Ermellini hanno dapprima chiarito la natura giuridica del negozio concluso da un falsus procurator, aderendo dunque alla tesi classica sul tema: il contratto stipulato in difetto o in eccesso di rappresentanza non vincola il falsamente rappresentato verso il terzo, perché chi ha agito non aveva il potere di farlo. Si tratta dunque di un contratto non nullo e neppure annullabile, ma inefficace in assenza di ratifica.
Ne deriva che la questione se l’inefficacia, nei confronti del dominus, del contratto concluso dal falsus procurator, costituisca una eccezione in senso lato o una eccezione in senso stretto, sorge ove si muova dalla premessa che la mancanza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui rappresenti un fatto impeditivo della pretesa azionata in giudizio dal terzo contraente: invero, il terzo contraente che deduce in giudizio un contratto stipulato con il rappresentante per ottenere il riconoscimento e la tutela, nei confronti del rappresentato, di diritti che da quel contratto derivano, pone a fondamento della propria pretesa, non solo gli elementi che l’art. 1325 c.c. richiede per il perfezionamento del contratto, ma anche che detto contratto è stato concluso da un soggetto, il rappresentante, autorizzato dal rappresentato a stipulare in suo nome, o che lo pseudo rappresentato, attraverso la ratifica, ha attribuito ex post al falso rappresentante quella legittimazione a contrarre per lui, che gli mancava al tempo del contratto.
Alla luce di tale ragionamento, la deduzione della inefficacia del contratto stipulato in suo nome da un rappresentante senza poteri rappresenta, pertanto, non una eccezione, ma mera difesa, con la quale il convenuto non estende l’oggetto del processo al di là del diritto fatto valere dall’attore, né allarga l’insieme dei fatti rilevanti allegati al giudizio. Di conseguenza, qualora la mancanza del potere rappresentativo sia acquisita agli atti, di essa il giudice può tenere conto anche in assenza di una specifica deduzione della parte interessata, giacché la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio.
Se poi sia lo pseudo rappresentato ad agire in giudizio con una domanda che presuppone l’efficacia del contratto concluso in suo nome dal rappresentante senza poteri, la Corte di legittimità ha rilevato che né il terzo potrà difendersi opponendo la carenza del potere di rappresentanza, né vi sarà spazio per un rilievo officioso di quella carenza di legittimazione. Medesimo superamento delle ragioni per una rilevabilità da parte del giudice si avrà, inoltre, se lo stesso pseudo rappresentato, questa volta convenuto in giudizio, si difenda nel merito tenendo un comportamento da cui risulti in maniera chiara e univoca la volontà di fare proprio il contratto concluso in suo nome e conto dal falsus procurator.
In base a quanto fin qui argomentato, si potrà dunque conclude che poiché la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è elemento costitutivo della pretesa che il terzo contraente intenda far valere in giudizio sulla base di detto negozio, non costituisce eccezione, e pertanto non ricade nelle preclusioni previste dagli artt. 167 e 345 cpc., la deduzione della inefficacia per lo pseudo rappresentato del contratto concluso dal falsus procurator; ne consegue che, ove il difetto di rappresentanza risulti dagli atti, di esso il giudice deve tener conto anche in mancanza di specifica richiesta della parte interessata, alla quale, a maggior ragione, non è preclusa la possibilità di far valere la mancanza del potere rappresentativo come mera difesa.
Riferimenti bibliografici
- Francesco Caringella - Luca Buffoni, Manuale di diritto civile, V Edizione, 2015, Dike Giuridica.
- G. Arieta, F. De Santis, L. Montesano - Corso base di diritto processuale civile, V Edizione, 2014, CEDAM