La sentenza che si annota (Cass. Pen. del 19 Aprile 2016 n. 16145) si pronuncia su un caso di minaccia a mezzo Facebook, qualificando tale ipotesi di reato come minaccia grave.
Nella specie, la Corte condanna l'uomo che, mediante un messaggio inviato sul profilo facebook, minacciava la compagna, pronunciando, tra l'altro nei suoi confronti espressioni quali "se mi tolgono il bambino, vi ammazzo", atteso che la persona offesa era stata legata all'imputato da una relazione dalla quale era nato un figlio e, a seguito di un grave episodio nel quale era stata minacciata con un coltello, si era trasferita dai propri genitori con il bambino.
Gli Ermellini, confermando le sentenze di primo e secondo grado, ribadiscono il principio in forza del quale la gravità della minaccia va accertata nella prospettiva di verificare se, ed in quale grado, essa abbia ingenerato timore o turbamento nella parte offesa, avendo riguardo a tutte le modalità di condotta ed, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali (Cass. Pen 35593/2015).
Dunque, l’analisi della Corte ha ritenuto irrilevante, ai fini della qualificazione del reato, il fatto che l’episodio si sia verificato in rete, prendendo le distanze dal precedente orientamento che ha ritenuto come nel caso di specie si qualifichi il reato di minaccia grave.
Infatti, nel suo precedente orientamento, la Cassazione ha sempre reputato la minaccia come un reato istantaneo che si perfeziona con l’incutere paura alla vittima di poter subire un danno ingiusto dall’aggressore (Cass. Pen., sez. V, 21951/01).
Con la sentenza in commento, i Giudici hanno quindi ampliato il raggio di applicabilità del reato di cui all’art. 612 c.p. e hanno ritenuto che il concetto di distanza della minaccia vada sempre ricollegato tout court all’insieme delle vicende stesse. E' l’idonietà in concreto della minaccia, plausibilmente realistica e riconducibile alla volontà dell’agente, a configurare l’ipotesi di reato.
Le basi del nuovo indirizzo venivano già segnate dalla sentenza Cass. Pen . sez. II, 17/11/2015, n. 6569 con la quale si ritieneva, infatti, che ai fini della configurabilità del reato sono indifferenti la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo.
La Corte riconosce che la frase asseritamente minatoria deve essere collocata all’interno del contesto in cui viene pronunciata: le fattispecie incriminatrici per loro stessa natura implicano una valutazione sociale ed umana, condizionata dai comportamenti presi in considerazione.
La sentenza in commento apre una nuova prospettiva di lettura interpretativa in ordine alla configurazione del reato di minaccia per il tramite dei nuovi sistemi tecnologici di comunicazione oggi sempre più frequentemente utilizzati.
Si apre un nuovo orizzonte.