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Pubbl. Lun, 23 Mag 2016

L´Arm´s Lenght Principle nella Giurisprudenza della Cassazione Italiana.

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Carlo De Dominicis


Il recentissimo intervento della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, n. 7493 del 15 aprile 2016 in materia di repressione al fenomeno del Transfer Pricing.


Il Transfer Pricing rappresenta un sistema di transazioni intercompany tra società non residenti nel territorio dello stato che controllano o sono controllate da altre imprese. 

Obiettivo della normativa sul Transfer Pricing è quello di evitare che le transazioni tra società vengano strumentalizzate al fine di eludere i principi in materia fiscale, anche se in un mercato di libera concorrenza sembra non esserci spazio per istituti di calmieraggio.

L’impianto del transfer pricing gira intorno al concetto di valore normale, a questo proposito l’art. 9 coma 3 del T.U.I.R. specifica che “Per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.

Nel Rapporto OCSE del 2010 si parla di Arm’s Lenght Principle, ossia le condizioni economiche che intercorrerebbero tra due società qualora queste non fossero legate da rapporto di controllo o di interdipendenza, pertanto questo principio va applicato alle relazioni commerciali o finanziarie intercorrenti tra imprese associate residenti in stati diversi.

L’art. 9 comma 1 del Modello OCSE afferma che:

Where

a) an enterprise of a Contracting State participates directly or indirectly in the management, control or capital of an enterprise of the other Contracting State, or

b) the same persons participate directly or indirectly in the management, control or capital of an enterprise of a Contracting State and an enterprise of the other Contracting State,

and in either case conditions are made or imposed between the two enterprises in their commercial or financial relations which differ from those which would be made between independent enterprises, then any profits which would, but for those conditions, have accrued to one of the enterprises, but, by reason of those conditions, have not so accrued, may be included in the profits of that enterprise and taxed accordingly.”

Un primo orientamento della Corte di Cassazione in merito muove dal presupposto che obiettivo della norma è quello di reprimere il fenomeno del Transfer Pricing, sicchè la prova gravante sull’Amministrazione non riguarderà il concreto vantaggio fiscale di cui ha beneficiato il contribuente, ma l’esistenza di transazioni intercompany ad un prezzo inferiore rispetto a quello normalmente praticato, così gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che tali transazioni sia intervenuti a valori normali di mercato (Cass. N. 18392 del 2015).

Tale considerazione, però, appare discordante dal dettato normativo. Se infatti si prosegue con la lettura dell’art. 9 del TUIR al comma 4, questo prevede che si possa parlare di valore normale relativamente ad azioni obbligazioni o titoli, tale assunto appare logico, in quanto, l’ingerenza della controllante nella società controllata è una prassi di carattere routinario, lo stesso non può dirsi delle transazioni infragruppo.

Infatti è la stessa Corte di Cassazione ad affermare che la stipula di un finanziamento caratterizzata dal carattere della gratuità non subisce alcuna limitazione qualora il rapporto venga stipulato a favore di una controllata residente in un altro Stato “realizzando quindi una operazione infragruppo transfrontaliera, non contrastando la gratuità della operazione, che esclude la pattuizione di interessi corrispettivi dovuti dalla mutuataria, con la previsione dell’art. 76, comma 5, cit.: ciò in quanto l’applicazione della norma è subordinata dalla legge alla duplice condizione che dalla operazione negoziale infragruppo derivino per la società contribuente componenti (positivi o negativi) reddituali e che dalla applicazione del criterio del valore normale derivi un aumento del reddito imponibile; e tali condizioni non risultano integrate nella concessione del mutuo non oneroso, essendo estranea a tale schema negoziale la stessa prestazione – avente ad oggetto la corresponsione di interessi corrispettivi – che costituisce il necessario termine di comparazione rispetto ai valore normale (Cass. N. 27087 del 2014; v. anche Cass. N. 15005 del 2015)

Tale affermazione non è condivisa però da altra recentissima pronuncia della Corte di Cassazione che ha affermato, sulla base dell’art. 9 del modello OCSE, la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo qualora siano state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero stata applicate tra Società indipendenti in condizioni di libero mercato. (Cass. N. 7493 del 2016)

Si tratterebbe di analizzare la transazione e di compararla in circostanze di libero mercato tra soggetti indipendenti e di valutarne la conformità, pertanto a nulla varrebbero le considerazioni precedentemente esposte in tema di gratuità del finanziamento, essendo lo stesso carattere di gratuità idoneo ad escludere l’applicazione del criterio di valutazione in base al valore normale essendo il mutuo un contratto pe sua natura oneroso.