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Pubbl. Mar, 26 Apr 2016

Infortunio in itinere: va indennizzato l’incidente occorso al lavoratore che si reca a lavoro con la bicicletta.

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Graziano Tortora


Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 7313 del 13 Aprile 2016, in accoglimento del ricorso presentato da un lavoratore.


La Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 7313 del 13 Aprile 2016, in accoglimento del ricorso presentato da un lavoratore che si era visto precludere dai giudici di merito il riconoscimento dell'infortunio in itinere a seguito di incidente subito nel mentre faceva ritorno a casa in bicicletta, ha ampliato la tutela assicurativa operante in caso di infortunio in itinere con mezzo privato.   

Il Caso

Con ricorso depositato innanzi il Tribunale di Livorno, un lavoratore chiedeva il riconoscimento di un  infortunio in itinere subito in bicicletta (nell’occasione per essere stato colpito da un motociclo) nel mentre faceva ritorno a casa, dopo aver terminato il proprio turno di lavoro mattiniero, e – per l’effetto – la condanna dell’INAIL ad erogare l’indennizzo dovuto.

Il Giudice di primo grado accoglieva il ricorso presentato dal lavoratore ritenendo che la distanza casa-lavoro da coprire fosse troppa lontana per andare a piedi, in considerazione delle esigenze legate ad una famiglia con una persona anziana da assistere e non abbastanza lontana per l'uso del mezzo pubblico.

 L’INAIL ricorreva innanzi la Corte d'Appello di Firenze che, in riforma della sentenza del Tribunale di Livorno, accoglieva il ricorso affermando che “il lavoratore non avesse provato la contingente necessità dedotta (somministrare un'iniezione alla suocera) per fare ricorso al mezzo privato, e poiché' il percorso da coprire, benché' non coperto da mezzi pubblici, era di soli cinquecento metri doveva quindi ritenersi che l'uso del mezzo privato non fosse comunque necessitato, potendo lo stesso percorso essere coperto a piedi nel giro di pochi minuti (7,5), mentre l'utilizzo della bicicletta in città, in quanto soggetto ai pericoli del traffico, rappresentasse un aggravamento del rischio rispetto all'andare a piedi, tanto piu' nel mese di gennaio quando si era verificato l'infortunio”.

Avverso detta sentenza, il lavoratore proponeva ricorso chiedendo la cassazione integrale della sentenza e affidando le proprie censure ad un unico motivo : il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 38 del 2000 ("Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), articolo 12 (articolo 360 c.p.c., n. 3) dovendo ritenersi che nell'infortunio in itinere in oggetto l'uso della bicicletta per recarsi al lavoro fosse incluso nella tutela assicurativa in relazione alla necessità protetta dall'ordinamento di favorire spostamenti che riducano costi economici, ambientali e sociali.

Il ragionamento della Suprema Corte.

ln merito al primo ed unico motivo di ricorso, la Suprema Corte di Cassazione, nell’accogliere la tesi del lavoratore, ha osservato quanto segue:

-      La disciplina dettata dall’art. 12 del D.Lgs. 38 del 2000, in tema di Infortunio in itinere, ai fini del riconoscimento, prevede che l’assicurazione opera anche in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché' necessitato.

-      Il giudice d'appello ha erroneamente parametrato la legittimità del ricorso al mezzo privato sostanzialmente soltanto in relazione al criterio della distanza che separa l'abitazione dal luogo di lavoro (peraltro considerata in unico senso di percorrenza); mentre la legittimità del mezzo in questione va individuata in relazione ad un criterio di normalità ‘-razionalità che tenga conto di vari standards comportamentali esistenti nella società civile, rispondendo a valori guida dell'ordinamento all'interno di un determinato contesto socio economico.

-      Il requisito della necessità non deve essere tuttavia inteso in senso assoluto, essendo sufficiente una necessità relativa (ossia emergente attraverso i molteplici fattori non definibili in astratto che condizionano la scelta del mezzo privato rispetto a quello pubblico).

-      La necessità o meno dell’utilizzo della bicicletta da parte del lavoratore deve essere valutata in relazione anche ad ulteriori parametri: costume sociale, normali esigenze familiari del lavoratore (anche senza la presenza di contingenti necessità), alla presenza di mezzi pubblici, alla modalità di organizzazione di servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui è più diffuso l’utilizzo della bicicletta, alla tipologia del percorso effettuato (un conto è l’impiego su un percorso urbano, un conto su una strada non urbana) alla conformazione dei luoghi, alle condizioni climatiche in atto (e non tanto a quelle stagionali), alla tendenza presente nell’ordinamento e rivolta all’incentivazione dell’uso della bicicletta.

-      Oggigiorno, è sempre più pressante l’esigenza di promuovere la “green economy”.  In questo senso, la Suprema Corte di Cassazione – nella valutazione del caso de quo – fa riferimento all’art. 5 della  L. 28 dicembre 2015, n. 221, che prevede specifiche disposizioni volte ad incentivare la mobilità sostenibile anche nei percorsi casa lavoro,  ed in particolare che: "L'uso del velocipede deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato. In sostanza, attraverso la nuova disciplina, ai fini dell'infortunio in itinere, l'uso del velocipede deve ritenersi sempre assicurato, come lo è, per la stessa normativa, l'andare al lavoro a piedi o con utilizzo del mezzo pubblico”.

Alla  luce delle considerazioni qui svolte ed ampiamente argomentate, la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro,  con sentenza n. 7313 del 13 Aprile 2016,  in accoglimento del ricorso proposto dal lavoratore, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.