Pubbl. Gio, 21 Apr 2016
La soluzione delle Sezioni Unite sulla nullità della donazione di cosa altrui
Modifica paginaCon la sentenza n. 5068 del 2016 le Sezioni Unite mettono la parola fine al dibattito sulla nullità della donazione di cosa altrui e affermano la nullità del negozio in riferimento all´art. 1418 secondo comma in combinato disposto con l´art. 1325 c.c.. Tuttavia la nullità può affermarsi solo nel caso in cui il donante non sappia dell´altruità della cosa.
Indice: 1. La donazione: i tratti essenziali e costitutivi - 2. L’applicabilità dell’art. 771 c.c. alla donazione di cosa altrui: le due principali tesi dottrinali - 3. I contrasti della giurisprudenza di legittimità - 4. La soluzione fornita dalle Sezioni Unite (n.5068/2016).
1. La donazione: i tratti essenziali e costitutivi
Nei contratti sinallagmatici ad una prestazione corrisponde una controprestazione. Tuttavia vi sono degli atti in cui la parte che riceve la prestazione non subisce alcun effetto negativo in termini di controprestazione: si tratta degli atti a titolo gratuito. Sono estremamente importanti gli atti di liberalità che si connotano per la spontaneità e gratuità della prestazione. Inoltre gli atti di liberalità aumentano il patrimonio di chi riceve la prestazione facendo diminuire il patrimonio del donante e infine sono caratterizzati dall’ animus donandi. La donazione, disciplinata dagli artt. 769 e ss c.c., è un tipico atto di liberalità. L’art. 769 c.c. stabilisce infatti che “la donazione è il contratto col quale per spirito di liberalità una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto, o assumendo verso la stessa un’obbligazione”. Gli elementi costitutivi della donazione sono pertanto lo spirito di liberalità, il consenso delle parti e l’arricchimento del destinatario della prestazione. Autorevole dottrina [1] sottolinea che “la donazione trova delineata nella legge la sua causa che è elemento essenziale e va rintracciata nel depauperamento del donante accompagnato dall’arricchimento del donatario. La causa non può essere invece individuata nello spirito della liberalità, che configura l’elemento soggettivo del contratto e non può identificare la funzione economica”. Per quanto concerne la capacità di donare, l’art. 774 c.c. prevede che non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni. E’ fatta salva la donazione obnuziale, effettuata dal minore e dall’inabilitato nel contratto di matrimonio. Le norme successive disciplinano peculiari divieti di donazione a carico di alcuni soggetti. La forma richiesta ad substantiam è quella dell’atto pubblico (fatta eccezione per le donazioni di modico valore di cui all’art. 783 c.c.). Quindi il contratto di donazione dev’essere redatto da un notaio o da un pubblico ufficiale che dia pubblica fede al documento. L’art. 782 c.c. inoltre prevede che “l’accettazione può essere fatta nell’atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l’atto di accettazione è notificato. Prima che la donazione sia perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione”.
2. L’applicabilità dell’art. 771 c.c. alla donazione di cosa altrui: le due principali tesi dottrinali
L’art. 771 c.c. prevede la nullità della donazione di beni futuri, salvo che si tratti di frutti non ancora separati. La ratio della norma è quella di far riferimento, ai fini della donazione, ai beni di cui il donante può godere al momento della stipula del contratto di donazione. L’unica eccezione è rappresentata dai frutti naturali e civili non ancora separati (che pur rientrano nella nozione di cosa mobile futura). Si è molto discusso intorno all’applicabilità dell’art. 771 c.c. (in particolar modo della nullità prevista per i beni futuri) alla donazione di cosa altrui. Secondo una parte della dottrina (tesi negativa) i beni altrui sarebbero assimilabili ai beni futuri. Poiché la lettera della norma prevede la disponibilità e la donazione di soli beni presenti, allora è nulla la donazione di beni futuri e di cosa altrui. Si evidenzia che[2] “la struttura giuridica, nonché la ratio sottesa agli istituti in esame, sarebbe la stessa solo che, nel caso di donazione di cosa futura il bene non sarebbe presente perché non ancora esistente in rerum natura e, quindi, in senso oggettivo, mentre nel caso di donazione di cosa altrui il bene non potrebbe ritenersi presente, perché non appartiene alla sfera patrimoniale del donante, ma di un terzo”. Questa parte della dottrina sottolinea anche che l’art. 771 c.c. non permette l’applicazione di termini e condizioni, poiché si correrebbe il rischio di stipulare un contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c.
Altra parte della dottrina sostiene la tesi (positiva) secondo la quale poiché nell’ambito della disciplina della vendita il codice civile tratta disgiuntamente la disciplina della vendita di cosa altrui e la disciplina della vendita di beni futuri, altrettanto deve avvenire per la donazione di beni futuri e di cosa altrui. Quindi per quest’orientamento dottrinale l’art. 771 c.c. non risulterebbe applicabile alle donazioni di cosa altrui. Inoltre i sostenitori di questa tesi ritengono che l’art. 771 c.c. non valga per tutti i beni futuri poiché[3] “il legislatore, allora, sembrerebbe richiedere l’applicabilità dell’art. 771 c.c. ai soli casi di beni necessariamente futuri, perché ancora inesistenti in rerum natura, ma non eventualmente futuri, e cioè beni che possono e non possono appartenere al donante perché non ancora separati, ma non futuri o inesistenti in senso stretto”. In tal senso si sostiene che la cosa altrui esistendo già in rerum natura sarebbe tecnicamente donabile. Un altro argomento portante della tesi positiva è rappresentato dalla prevalenza dell’art. 1322 c.c.: infatti si ritiene che la libertà di autodeterminazione contrattuale prevalga sulla volontà espressa legislativamente dall’art. 771 c.c. di evitare eccessi di prodigalità.
Il dibattito molto animato tra tesi positiva e negativa non si è fermato solo sul piano dottrinale, ma ha coinvolto anche la giurisprudenza, tant’è vero che la questione è stata risolta solo recentemente con l’intervento delle Sezioni Unite[4].
3. I contrasti della giurisprudenza di legittimità
I contrasti concernenti l’applicabilità dell’art. 771 c.c. alla donazione di cosa altrui hanno interessato soprattutto la giurisprudenza di legittimità. Secondo un primo filone giurisprudenziale risalente al 1979 [5] “la convenzione che contenga una promessa di attribuzione dei propri beni a titolo gratuito configura un contratto preliminare di donazione che è nullo, in quanto con esso si viene a costituire a carico del promittente un vincolo giuridico a donare, il quale si pone in contrasto con il principio secondo cui nella donazione l’arricchimento del beneficiario deve avvenire per spirito di liberalità, in virtù cioè di un atto di autodeterminazione del donante, assolutamente libero nella sua formazione”. Successivamente quest’orientamento si è consolidato in altre pronunce[6] che hanno esteso l’art. 771 c.c. alla donazione di cosa altrui. Recentemente la Suprema Corte[7] ha statuito che “la donazione dispositiva di un bene altrui, benchè non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione, e in particolare, dell’art. 771 c.c., poiché il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante […]”. Tuttavia la giurisprudenza di legittimità non è stata univoca in merito all’applicabilità dell’art 771 c.c. alla donazione di cosa altrui e quindi un secondo filone giurisprudenziale sostiene la non applicabilità dell’art. 771 c.c. alla donazione di cosa altrui. Infatti la Suprema Corte nel 2001[8] ha espresso il principio secondo cui “la donazione di beni altrui non può essere ricompresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art. 771 cod. civ., ma è semplicemente inefficace e, tuttavia, idonea ai fini dell’usucapione abbreviata ex art. 1159 cod. civ., in quanto il requisito, richiesto dalla predetta disposizione codicistica, della esistenza di un titolo che sia idoneo a fare acquistare la proprietà o altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, va inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere idoneo in astratto, e non in concreto, a determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l’acquisto del diritto si sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse stato titolare”. Anche la sentenza del 2009 ha stabilito l’idoneità ai fini dell’usucapione decennale. Il vero dibattito però è ruotato intorno alla nullità della donazione di cosa altrui e infatti la Seconda Sezione della Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n.11545 del 2014 ha sottolineato i contrasti esistenti sia in giurisprudenza che in dottrina intorno all’applicabilità dell’art. 771 c.c. alla donazione di cosa altrui. E quindi la Seconda Sezione ha rimesso alle Sezioni Unite questo quesito[9]: “Se la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell’art. 771 cod.civ., poiché il divieto di donazione di beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi ad oggetto i beni altrui, oppure sia valida ancorchè inefficace, e se tale disciplina trovi applicazione, o no, nel caso di donazione di quota di proprietà pro indiviso”.
4. La soluzione fornita dalle Sezioni Unite (n. 5068/2016)
Con la recente sentenza n. 5068/16, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale insorto intorno all’applicabilità della categoria della nullità alla donazione di cosa altrui. La soluzione proposta dalle Sezioni Unite è interessante perché afferma la tesi della nullità ma con alcune doverose precisazioni. In primo luogo ad avviso delle Sezioni Unite la donazione di cosa altrui e di cosa parzialmente altrui è nulla, non ex art. 771 c.c., ma per la mancanza di causa del negozio di donazione. Le Sezioni Unite infatti precisano che il negozio non può considerarsi inefficace e al tempo stesso non si può applicare sic et simpliciter la disciplina di cui all’art. 771 c.c.. Quindi, poiché nel caso di altruità della cosa manca la causa del contratto di donazione, la donazione di cosa altrui è nulla ex art. 1418 secondo comma c.c. in combinato disposto con l’art. 1325 c.c.. Inoltre le Sezioni Unite specificano che se il bene è nel patrimonio del donante non vi sono problemi perché l’atto di liberalità è valido ed efficace. Tuttavia “se, invece, la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto del terzo al donatario. La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di dare, purchè l’altruità sia conosciuta al donante, e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico (art. 782 cod.civ.). Se invece l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui”. Le Sezioni Unite hanno, dunque, previsto un correttivo alla sanzione della nullità nel caso in cui il donante sia a conoscenza dell’altruità della cosa. Qualora il donante non sia a conoscenza dell’altruità della cosa, la donazione è nulla. Quindi la sentenza in esame supera i contrasti dottrinali e giurisprudenziali perché non fa riferimento all’art. 771 c.c. in caso di nullità ma bensì al combinato disposto tra art. 1325 c.c. e art. 1418 secondo comma. Lo stesso ragionamento può farsi anche se l’oggetto della donazione è un bene solo in parte altrui, perché appartiene pro indiviso a più comproprietari per quote differenti e donato per la sua quota da uno dei coeredi. Quindi le Sezioni Unite affermano il principio di diritto secondo il quale “La donazione di un bene altrui, benchè non espressamente vietata, deve ritenersi nulla per difetto di causa, a meno che nell’atto si affermi espressamente che il donante sia consapevole dell’attuale non appartenenza del bene al suo patrimonio. Ne consegue che la donazione, da parte del coerede, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla, non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante.”
Note e riferimenti bibliografici
[1] F. Caringella – S. Mazzamuto – G. Morbidelli, Manuale di diritto civile, Dike, VI edizione, pag.2145
[2] L. Viola, La donazione di cosa altrui, Altalex, 13 Giugno 2008
[3] L. Viola, La donazione di cosa altrui, Altalex, 13 Giugno 2008
[4] SS.UU.Cass,10 Marzo 2015, n.5068
[5] Cass. N. 3315 del 1979
[6] Cass. N. 6544 del 1985; Cass. N. 11311 del 1996
[7] Cass. N. 10356 del 2009
[8] Cass. N. 1956 del 2001
[9] Ordinanza interlocutoria della Seconda sezione di Corte Cass. n.11545 del 2014