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Pubbl. Gio, 29 Gen 2015

Depenalizzazione dei reati: ecco cosa c´è di vero

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Ambra Di Muro


Facciamo luce sulla depenalizzazione dei reati, sul se ed entro quali limiti un fatto di reato resterà escluso dalla punibilità con sanzione penale.


Il 28 aprile 2014 il Governo ha ricevuto dal Parlamento - con L. n. 67 - la delega ad adottare decreti legislativi in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio (ulteriormente alle deleghe a disporre in ordine "alla sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili").
In attuazione della suindicata legge, lo scorso 1 dicembre il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto delegato, in recepimento delle proposte elaborate dalla commissione ministeriale all'uopo nominata (D.M. 27 maggio 2014), "(..) con l’obiettivo di rivedere il sistema sanzionatorio e dare attuazione alla legge delega  67/2014 in materia di pene detentive non carcerarie e depenalizzazione (..)".
A seguito della deliberazione del CdM, lo schema di decreto (che, è bene sottolineare a scanso di erronee conclusioni, non è ancora un decreto legislativo avente forza di legge), è stato trasmesso alle Camere "per l'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia"(1). Queste hanno l'onere, entro trenta giorni dalla data di trasmissione dello schema, di elaborare i pareri, in mancanza dei quali la legge di delegazione consente al Governo di emanare egualmente il decreto de quo.

Preso atto che, de iure condendo, lo schema di decreto potrà subire variazioni più o meno consistenti, occorre dare conto del suo attuale oggetto: la depenalizzazione delle fattispecie delittuose caratterizzate da un'offesa particolarmente tenue al bene giuridico tutelato dalla norma penale.
Trattasi, nella sua comune accezione, di una tecnica legislativa attraverso la quale si realizza la "degradazione" (in riferimento al grado di disvalore della condotta) di fatti di reato in illeciti amministrativi.
Nella elaborazione governativa, lo schema costruisce la depenalizzazione come causa che esclude la punibilità di condotte che, sia pur penalmente rilevanti, si caratterizzino per la "particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento".
Il fine è quello di razionalizzare e deflazionare i carichi della giustizia, evitando, in presenza di "condotte illecite tenui", l'incardinamento di procedimenti penali e consentendo, altresì, una più rapida definizione dei procedimenti già incardinati. Questi ultimi, infatti, in virtù della operatività retroattiva della legge sulla depenalizzazione (ex art. 2, co. 3 c.p.), si concluderebbero con sentenza di assoluzione con formula piena (poichè il fatto non costituirebbe più reato)(2).
La ratio di tale modalità legislativa, in definitiva, è da ravvisarsi nella "ottimizzazione" del ricorso alla sanzione penale.

Lo schema di decreto utilizza due parametri sulla base dei quali la depenalizzazione opererebbe (che, si badi bene, viene costruita dal legislatore delegato come causa di esclusione della punibilità, non prevedendosi la automatica trasformazione di taluni illeciti penali in amministrativi). Essi sono:
- la valutazione, da parte del giudice, della "particolare tenuità dell'offesa e non abitualità del comportamento";
- l'individuazione di un "limite edittale" di pena.

Quanto al primo, con il riferimento alla "particolare tenuità", viene operata l'introduzione di un'ulteriore causa di non punibilità del fatto di reato (il nuovo istituto è previsto venga disciplinato all'art. 131-bis c.p.).
Perché l'offesa arrecata al bene giuridico protetto possa considerarsi "particolarmente tenue", occorrerà avere riguardo alle modalità della condotta ed alla esiguità del danno o pericolo occorso al bene stesso.
Quanto, invece, all'ambito applicativo di tale disciplina, il legislatore delegato rinuncia alla definizione di un catalogo tipizzato di condotte, individuando nei reati puniti con pena pecuniaria, sola o congiunta a pena detentiva, ed in quelli puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, le fattispecie oggetto di depenalizzazione (escludendo i tipi aggravati).

Per citare alcune fattispecie di reato cui potrebbe estendersi la "non punibilità" - in presenza di particolare tenuità dell'offesa -  ricordiamo quelle recate nei seguenti titoli del codice penale:
- Dei "delitti contro la Pubblica Amministrazione": peculato d'uso (art.314, co.2), abuso d'ufficio (art.323), rifiuto di atti d'ufficio (art.328);
- Dei "delitti contro la persona": lesione personale (art. 582), omicidio colposo (art.589), abbandono di persone minori e incapaci (art.591), omissione di soccorso (art. 593), ingiuria (art.594), diffamazione (art.595), detenzione di materiale pornografico (art.600 quater), violenza privata (art. 610), minaccia (art.612), atti persecutori (c.d. stalking) (art.612 bis);
- Dei "delitti contro il patrimonio": furto (art. 624), danneggiamento (art. 635), truffa (art. 640), insolvenza fraudolenta (art.641), appropriazione indebita (art. 646).
Tra i reati contravvenzionali, i quali pure risulterebbero non più sanzionabili penalmente, rammentiamo i seguenti: abbandono di animali (art.727), danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale (art.733).

In conclusione, sembra opportuno ribadire che, perché possa operare la esclusione della punibilità di tali fattispecie di reato, sarà pur sempre necessario che l'autorità giudiziaria valuti il singolo caso ed attesti l'esistenza della "particolare tenuità dell'offesa" (e della non abitualità della condotta del reo), dovendosi escludere "automatismi" nella sottrazione del fatto a sanzione penale, per altro restando "ferma la possibilità, per le persone offese, di ottenere serio ed adeguato ristoro nella competente sede civile".

 

1) Ex art. 2 L. n. 67/2014.

2) Sul punto la Cassazione è intervenuta, affermando in molteplici occasioni che "la disciplina transitoria prevista dall'articolo 40 della legge 24 novembre 1981 n. 689 ( cd. legge sulla depenalizzazione) deve trovare applicazione anche nel caso di altre successive depenalizzazioni", prevedendosi che "le disposizioni dettate in materia di sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore della legge di depenalizzazione quando il relativo procedimento penale non sia stato definito".
Anche la Cassazione civile [sez. I, 7 marzo 2005, n. 4924] ribadisce che "il principio dell'applicazione della norma sopravvenuta più favorevole al reo (art. 2, comma 3, c.p.: recte comma 4, c.p.) si riferisce anche al caso di trasformazione dell'illecito penale in illecito amministrativo" ma resta il nodo - già oggetto di precedenti pronunce della medesima Corte - della dimostrazione dell'assunto del "maggior favore" di una sanzione amministrativa rispetto a quella penale.