Pubbl. Lun, 11 Apr 2016
Prelievo di materiale biologico: disciplina e tutela nell´ordinamento giuridico italiano.
Modifica paginaModalità e garanzie degli artt. 349, 359 bis e 224 bis c.p.p. alla luce dell´art. 13 della Costituzione.
“La libertà personale è inviolabile.” Così recita il primo comma dell’art. 13 della Costituzione.
Questa garanzia costituzionale, tuttavia, risulta soggetta a determinate deroghe che devono essere disciplinate tassativamente dalla legge ordinaria.
Può accadere, difatti, che all’interno del procedimento penale, l’accusato si trovi a dover fronteggiare attività lesive della sua sfera di libertà personale. Quando ciò avviene due sono le figure di riferimento che dovranno occuparsi della tutela e del rispetto dei suoi diritti: il magistrato (che deve approvare gli atti compiuti) e il difensore di fiducia; quest’ultimo, però, spesso non è messo nelle condizioni ideali per svolgere appieno il suo mestiere.
L’art. 349 c.p.p. che ricade nel V Libro del codice, titolo IV: “Attività ad iniziativa della Polizia Giudiziaria”, tratta dell’identificazione della persona nei confronti della quale vengono svolte le indagini. Tale articolo prevede attività che contrastano palesemente con il principio di inviolabilità dell’art. 13 Cost.: la possibilità di effettuare, anche coattivamente, rilievi dattiloscopici, antropometrici, prelievi di capelli e/o saliva; ritenzione negli uffici della polizia giudiziaria, ai fini dell’identificazione, per un massimo di 12 ore (prorogabile, dietro comunicazione ed autorizzazione del magistrato del pubblico ministero fino a 24 ore).
Tale identificazione, ha assunto rilievi di importanza fondamentale con l’acuirsi di fenomeni terroristici, in particolare di stampo internazionale. La previsione legislativa del prelievo coattivo, inserita nel Codice di Procedura Penale grazie al c.d. Decreto Antiterrorismo (D.L. 144/2005 convertito con L. 155/2005) (1) è, così, giustificata al fine di prevenire fattispecie riconducibili ai reati afferenti ai suddetti fenomeni.
In questi casi, tuttavia, la persona soggetta a tale procedura manca di una vera e propria tutela nei confronti degli organi procedenti, dato che può essere effettuata in totale assenza di un legale di fiducia.
Differente, non per contenuto ma per forma, è l’art. 359 bis c.p.p: quest’ultimo, infatti, rientra tra le attività del magistrato del pubblico ministero.
Tale articolo è stato introdotto dalla Legge n. 85/2009 (2) sempre per contrastare fenomeni di tipo terroristico; si differenzia dall’art. 349 c.p.p, oltre che per l’autorità procedente, anche per lo scopo della procedura. La prima avviene a fini identificativi, quest’ultima è eseguita quando l’apprensione coattiva viene effettuata ad altri scopi.
Il 359 bis, è un articolo fondamentale dato che assume la veste di cerniera giuridica tra l’art. 349 c.p.p. (“Fermo quanto disposto dall’art. 349”) e l’art. 224 bis c.p.p. (“Quando devono essere eseguite le operazioni di cui all’art. 224 bis”).
Dalla medesima Legge n. 85/2009, infatti, è stato inserito nell’ordinamento l’art. 224 bis c.p.p. il quale stabilisce i provvedimenti del giudice per le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale.
L’attività è disposta dal giudice nella fase del dibattimento con ordinanza motivata, da eseguire solo se assolutamente indispensabile alla prova dei fatti.
In questa fase l’imputato ha la garanzia del controllo del giudice ma anche, e soprattutto, quella dell’assistenza del proprio difensore di fiducia; oltre ciò, l’ordinanza emanata dal giudice, deve contenere a pena di nullità una serie di avvisi ed indicazioni di rilevante importanza per il soggetto che subisce la perizia.
Differente è quindi la tutela rispetto all’indagato fermato per fini identificativi: il nostro ordinamento lascia costui privo di qualsivoglia tutela dato che non interviene né un magistrato imparziale, né un rappresentante legale a vegliare sui suoi diritti.
La nostra Costituzione, ed in primis il suo art. 13, assumono una veste cardinale nella tutela della libertà personale, le deroghe a tale sacro principio devono essere regolate da una disciplina uniforme e garantita.
L’ordinamento giuridico nostrano, però, come si può rilevare, è soggetto a diverse contraddizioni che mettono a dura prova la nomofilachia del diritto italiano, dato che attività sostanzialmente simili nel contenuto subiscono differenti gradi di tutela solamente riguardo alla fase procedimentale in cui vengono effettuate.
(1) http://www.camera.it/parlam/leggi/05155l.htm
(2) http://www.parlamento.it/parlam/leggi/09085l.htm