Pubbl. Dom, 3 Apr 2016
Provvedimenti anticipatori di condanna e giudizio di rinvio dalla Cassazione: quid iuris?
Modifica paginaE´ possibile un provvedimento anticipatorio di condanna ex art. 186 ter cpc redatto successivamente ad un giudizio di rinvio dalla Cassazione? Analizziamo le tesi in merito.
Il caso.
Un abbonato ha convenuto in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Agropoli la Telecom Italia Spa, onde sentirla condannare al pagamento del risarcimento danni dovuti al mancato inserimento nell'elenco telefonico 2009/2010.
Parte attrice lamentava danni quantificabili in euro 800, dovuti al fatto di non poter essere facilmente reperibile, perdendo conseguentemente a ciò, occasioni di lavoro, oltre ad avere gravi pregiudizi in campo personale.
Il giudice di pace, accogliendo la domanda, condannava l'azienda al pagamento di euro ottocento, quale risarcimento.
Avverso detta sentenza, Telecom Italia S.p.A. proponeva appello al Tribunale di Vallo della Lucania, lamentando, in primis, l'incompetenza territoriale e per materia del Tribunale di Vallo della Lucania. Sosteneva, infatti, in virtù delle norme concernenti la competenza territoriale per le società, la competenza del tribunale della città in cui la stessa ha sede legale, e cioè - nel caso di specie - Milano.
Il giudice di Appello accoglieva la domanda, ritenendo competente il tribunale meneghino e condannando parte appellata al pagamento, in favore della Telecom, di € 600, conseguentemente rovesciando quanto deciso dal giudice di prime cure.
L'abbonato allora proponeva ricorso per Cassazione, unicamente sui motivi riguardanti la competenza territoriale che la Suprema Corte attribuiva correttamente al Tribunale di Vallo della Lucania.
Si pone allora il problema della restituzione delle somme versate in base a quanto deciso dalla sentenza cassata.
Problematiche di diritto.
La questione che ci si accinge ad analizzare ha natura squisitamente processuale e riguarda, in particolar modo, quanto stabilito dall'art. 186 ter c.p.c.
Se è vero, infatti, che in base a tale norma, la parte può chiedere al giudice istruttore, in presenza - si noti - dei presupposti ex artt. 633, primo comma, numero 1) e secondo comma e 634 c.p.c., di redigere un'ordinanza tramite la quale ingiungere un pagamento o la consegna di un bene, dubbi sorgono circa la possibilità di richiedere tale ordinanza nel corso di un giudizio di rinvio.
Si intende per tale il giudizio successivo alla pronuncia della Corte di Cassazione: nel momento in cui, infatti, la Suprema Corte cassa una sentenza d'Appello, ciascuna delle parti potrà, a norma dell'articolo 392 c.p.c., riassumere la causa, non oltre il termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione.
Giova, a questo punto, spiegare la norma in esame. Il giudizio di rinvio è finalizzato al compimento della cd. fase rescissoria: di regola la Cassazione effettua il solo giudizio rescindente, consistente nell'annullare la sentenza viziata, mentre l'adozione di una nuova sentenza al posto di quella cassata è di competenza del giudice di merito. Il giudizio di rinvio si svolge dinanzi al giudice cui la Cassazione ha rimesso la causa. La relativa competenza, in quanto statuita dalla Corte, ha carattere funzionale ed inderogabile, oltre a non essere contestabile nè dalle parti, nè dal giudice di rinvio.
Gli artt. 392-394 disciplinano il cd. rinvio proprio (o prosecutorio), conseguente alla cassazione per violazione di norme o vizi di motivazione (1), nel quale si articola la fase rescissoria e si perviene ad una nuova definizione della controversia secondo i criteri di giudizio determinati dalla Suprema Corte; le norme, invece, non si applicano al cd. rinvio improprio (o restitutorio) determinato dalla Cassazione per nullità della sentenza o del procedimento (2), in cui ricomincia ex novo e - senza alcun principio dettato dalla Corte - la fase di merito risultata priva di un elemento indispensabile.
La riforma sulla razionalizzazione del processo (3) ha ridotto, da un anno a tre mesi, il termine per la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio.
Il giudice di rinvio deve, in ogni caso, essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza cassata (un altro giudice di pari grado o altra sezione).
Ciò posto, al fine di analizzare la problematica in oggetto, appare opportuno preliminarmente richiamare l'art. 389 c.p.c. Accade di frequente, invero, che - come nel caso di specie - le due domande siano presentate simultaneamente e occorre argomentare in proposito.
La disposizione, nello stabilire che "Le domande di restituzione o di riduzione in pristino e ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione si propongono al giudice di rinvio e, in caso di cassazione senza rinvio, al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata", mira a ripristinare la situazione di fatto esistente prima della sentenza successivamente cassata (con o senza rinvio) dalla Corte.
La domanda di restituzione o riduzione in pristino della parte che ha eseguito delle prestazioni in forza della sentenza cassata può essere proposta nello stesso giudizio di rinvio o in separata sede (anche con procedimento monitorio) senza che, in tale ultimo caso, sia subordinata all'esito della lite principale riassunta; la ratio della norma è quella di eliminare prima di tutto gli effetti della sentenza cassata, indipendentemente dalla prosecuzione, nel merito, della vicenda.
Dunque, la domanda di restituzione e di riduzione in pristino ex art. 389 c.p.c., è del tutto diversa quanto a petitum ed a causa petendi rispetto a quella proposta nel giudizio di rinvio ai sensi dell'art. 392 c.p.c.: si tratta di domande autonome, che non comportano la necessaria riunione dei processi, in quanto la prima è indipendente dalla fondatezza della seconda (pur determinando la statuizione del giudizio di rinvio in via definitiva quanto dovrà essere corrisposto da una parte all'altra con il conguaglio conclusivo) ed assolve alla specifica esigenza di garantire all'interessato la possibilità di ottenere, al più presto, la restaurazione della situazione patrimoniale antecedente alla pronuncia della decisione poi annullata (4).
Tra l'altro, costante giurisprudenza ritiene che l'azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a norma dell'art. 389 cod. proc. civ. dalla parte vittoriosa nel giudizio di cassazione in relazione alle prestazioni eseguite in base alla sentenza d'appello poi annullata, non è riconducibile allo schema della ripetizione d'indebito, perchè si collega ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza e prescinde dall'esistenza del rapporto sostanziale (ancora oggetto di contesa); né, in particolare, si presta a valutazioni sulla buona o mala fede dell'"accipiens", non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti. Ne consegue che chi ha eseguito un pagamento non dovuto, per effetto di una sentenza provvisoriamente esecutiva successivamente riformata, ha diritto ad essere indennizzato dell'intera diminuzione patrimoniale subita, ovvero alla restituzione della somma con gli interessi legali a partire dal giorno del pagamento (5).
Va osservato anche che l'azione di restituzione, che venga proposta a norma dell'art. 389 cod. proc. civ. dalla parte vittoriosa nel giudizio di cassazione, non è riconducibile allo schema della "condictio indebiti", ma siccome volta ad assicurare l'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione cassata, che prescinde dalla buona o mala fede dell'"accipiens", implica il riconoscimento degli interessi legali sulle somme versate dal giorno del pagamento. Trattandosi di un debito di valuta, trova applicazione il principio nominalistico, con la conseguenza che oltre alla restituzione della stessa quantità di moneta spettano al creditore gli interessi legali e gli eventuali ulteriori danni di cui all'art. 1224, secondo comma, cod. civ. che egli sia riuscito a dimostrare (6).
In base a tutto quanto fin ora esposto, si potrà concludere che l'azione ex art. 389 cpc, del tutto indipendente, è liberamente proponibile anche con ordinanza ex art. 186ter di cui in seguito si analizzeranno i presupposti.
L'art. 186 ter cpc: una norma particolare.
Le ordinanze previste dagli artt. 186 bis, ter e quater costituiscono i cd. provvedimenti anticipatori di condanna, pronunciati dal giudice istruttore nel corso del processo, prima delle sentenza definitiva, ma sullo stesso oggetto della domanda principale. Il fine di tali provvedimenti è quello di anticipare il soddisfacimento dell'istanza dedotta in giudizio, scoraggiando la prosecuzione di liti meramente pretestuose. Pur trattandosi di normali ordinanze istruttorie, modificabili e revocabili ex art. 177 c.p.c. (tranne quella prevista dall'art. 186 quater), esse possiedono un carattere decisorio, i cui effetti sopravvivono all'esistenzione del processo.
In particolar modo, nell'art. 186 ter, l'oggetto dell'ingiunzione che può essere richiesta dalla parte è il pagamento di una somma di denaro liquida ed esigibile o di una determinata quantità di cose fungibili oppure, ancora, la consegna di una cosa mobile determinata. I presupposti per la pronuncia di tale ordinanza sono quelli tipici del procedimento di ingiunzione (7), segnatamente la prova scritta del diritto che si fa valere.
Vi sono però delle differenze con il procedimento di ingiunzione disciplinato dal quarto libro del codice di procedura civile. Innanzitutto, l'ordinanza in esame non viene pronunciata inaudita altera parte, tranne nel caso in cui il debitore ingiunto sia contumace: se questi si costituisce, vi dovrà essere il contraddittorio tra le parti.
Inoltre, quanto alla concessione della provvisoria esecuzione, se l'ingiunto è contumace, essa può concedersi ai sensi dell'art. 642; se il debitore si è costituito, invece, la provvisoria esecutorietà è concessa anche quando l'opposizione del convenuto è fondata su prova scritta o di pronta soluzione, ai sensi dell'art. 648.
L'istanza di ingiunzione può essere chiesta verbalmente in udienza o fuori udienza, mediante istanza scritta depositata in cancelleria. Quanto ai termini per la presentazione della richiesta, l'articolo in commento si limita a dire che essa va proposta "fino al momento della precisazione delle conclusioni" ma aggiunge "in ogni stato del processo": si deve, pertanto, ritenere che essa possa essere avanzata anche in caso di sospensione (9) e interruzione (10) del processo stesso. Poiché la norma non menziona il "grado" del processo, si esclude che l'istanza possa essere proposta in fase di impugnazione.
Per quanto concerne la possibilità di applicare la disciplina delle ordinanze revocabili si cui agli artt. 177 e 178 cpc, l'ordinanza di ingiunzione si differenzia nettamente dal decreto ingiuntivo, in quanto è regolata dal regime ordinario delle ordinanze istruttorie, revocabili e modificabili dal giudice che le ha pronunciate.
Al pari del decreto ingiuntivo, in caso di mancata opposizione o di mancata costituzione dell'opponente ai sensi dell'art. 647 del c.p.c. o di estinzione del giudizio di opposizione, l'ordinanza di ingiunzione, se il giudizio vada ad estinzione, acquista l'efficacia esecutiva di cui non fosse già stata munita nonché l'incontrovertibilità ed autorità di cosa giudicata.
Conclusioni.
In base a tutto quanto sopra esposto, l'ordinanza ex art. 186 ter potrà ritenersi strumento idoneo a promuovere l'azione di restituzione o riduzione in pristino ex art. 389 cpc, dato che, visti i presupposti d'urgenza che ne giustificano l'applicazione, permette in tempi rapidi di ricostituire la situazione patrimoniale sussistente prima della sentenza cassata, annullandone gli effetti.
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Note e riferimenti bibliografici
- F. Caringella - L. Buffoni, Manuale di diritto civile, V Edizione, 2015, Dike Giuridica;
- Sul tema, si veda anche questo commento;
- G. Arieta, F. De Santis, L. Montesano - Corso base di diritto processuale civile, V Edizione, 2014, CEDAM
(1) art. 360, nn. 3 e 5 cpc;
(2) art. 360 n. 4 cpc;
(3) legge 69/2009;
(4) ex multis, Cass. 19983/2014; Cass. n. 13454/2011;
(5) Cass. 21699/2011;
(6) ex multis,Cass, 5042/2010; Cass. 1779/2007;
(7) artt. 633 e ss.;
(8) art. 641 del c.p.c.;
(9) art. 295 c.p.c.;
(10) artt. 299 ss. cpc