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Pubbl. Dom, 10 Apr 2016

La violenza sessuale tra fattispecie tentata e consumata

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Simona Iachelli
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Catania


Determinazione dell´ambito applicativo del tentativo nel delitto di violenza sessuale, alla luce della recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui il semplice contatto con le parti intime di una persona, ancorché fugace ed estemporaneo, integra sempre il delitto consumato di violenza sessuale.


  Sommario: Premessa. - 2. Il reato di violenza sessuale: elementi del fatto tipico. - 3. Esatta interpretazione della nozione di ''atto sessuale''. - 4. Tentativo. - 5. Considerazioni conclusive.  

1. Premessa  

Il delitto di violenza sessuale, di cui all'art. 609 bis c.p., è stato introdotto nel tessuto codicistico dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66, nell'ambito dei delitti contro la persona anziché tra quelli contro la moralità pubblica e il buon costume. La nuova collocazione all'interno della sezione dedicata ai delitti contro la libertà personale incide sull'individuazione del bene giuridico tutelato, rappresentato dalla libertà sessuale, intesa come diritto di disporre liberamente della propria persona sotto il profilo sessuale. 

Il legislatore della riforma ha ribaltato la prospettiva del Codice Rocco del 1930 che, analogamente al Codice Zanardelli del 1889, aveva inquadrato la tutela della libertà sessuale quale mezzo per conseguire la tutela di un bene giuridico collettivo come la morale pubblica. E' evidente che tale ratio puniendi risente del clima sociale di un'epoca caratterizzata da una visione autoritaria e arcaica di violenza sessuale, che impediva la tutela della persona e, specialmente della donna, sotto il profilo sessuale. L'evoluzione culturale contribuisce a spiegare la diversa sensibilità verso la violenza sessuale e i diversi contenuti giuridici che il reato ha assunto nel tempo. 

Pertanto, la novella, accogliendo i suggerimenti provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, afferma a livello normativo l'approdo ad una diversa concezione a livello culturale e sociale della sessualità, concepita come estrinsecazione della libertà della persona. 

Inoltre, la legge del 1996 ha finito inevitabilmente per riflettersi anche sull'ampiezza del bene giuridico tutelato all'interno di questa sezione del codice penale, poiché la libertà personale, originariamente concepita in termini esclusivamente fisici, viene intesa, nella formulazione attuale in termini funzionali rispetto all'esplicazione della persona. In tal modo, al concetto di libertà personale si tende ad attribuire un significato ben più ampio e composito, poiché risulta connotato non soltanto dalla mancanza di forme di coercizione fisica, ma anche dalla mancanza di tutte quelle coercizioni psichiche e morali che siano idonee a pregiudicare la capacità di autodeterminazione del singolo.

2. Il reato di violenza sessuale: elementi del fatto tipico.

Il delitto di violenza sessuale è un reato comune, in quanto soggetto attivo può essere ''chiunque'', ossia qualsivoglia persona fisica. Soggetti passivi possono essere indistintamente uomini e donne, con la conseguenza che rientrano nella sfera di applicazione della norma in esame anche eventuali condotte omosessuali.

Sotto il profilo dell'elemento oggettivo, il delitto di violenza sessuale è un reato di mera condotta e a forma vincolata, in quanto il legislatore descrive in maniera analitica le modalità della condotta.

Più precisamente, la norma prevede due tipologie di condotta: la violenza per costrizione e la violenza per induzione. (1)

La prima rappresenta l'ipotesi centrale di violenza sessuale, che si realizza quando l'agente, mediante violenza, minaccia o abuso di autorità, costringe la vittima a compiere o subire atti sessuali. La costrizione evidenza che il dissenso della persona offesa è un elemento costitutivo implicito del reato, la cui mancanza, quindi, esclude la tipicità del fatto. Pertanto, il dissenso deve permanere durante tutto il tempo della violenza, ma può anche seguire ad un iniziale consenso, qualora quest'ultimo venga meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto.

Con riferimento ai requisiti della violenza e della minaccia, l'art. 609 bis c.p. ha mantenuto la scelta, propria della normativa precedente, di imperniare la condotta incriminata su tali elementi costitutivi, i quali rappresentano i mezzi tipici di coercizione al rapporto sessuale.

Tali concetti non sono interpretati in senso assoluto dalla giurisprudenza, la quale ha affermato che la violenza richiesta per l'integrazione del reato sussiste anche in mancanza di un pregiudizio fisico, ricomprendendo tale nozione non solo l'energia fisica, ma anche qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente capace di limitare sensibilmente la libertà di autodeterminazione della vittima, costretta, contro la sua volontà, a compiere o subire atti sessuali.

Più nel dettaglio, l'elemento della violenza puo estrinsecarsi tanto nella sopraffazione fisica, quanto nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa, idoneo a superare la contraria volontà del soggetto passivo, il quale è posto nell'impossibilità di difendersi (2). La minaccia, invece, consiste nella prospettazione di qualunque male che, in considerazione delle circostanze oggettive e soggettive del caso concreto, determina la coazione della vittima che si trova a subire l'atto sessuale. Ulteriore modalità di realizzazione della violenza sessuale per costrizione è l'abuso di autorità, inteso come posizione di supremazia derivante da autorità, indifferentemente pubblica o privata, di cui l'agente appofitti per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.

La violenza sessuale per induzione, invece, si configura quando l'agente, abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto ovvero traendo in inganno quest'ultima per essersi sostituito ad altra persona, la induce a compiere o subire atti sessuali. In ordine al concetto di ''induzione'', la giurisprudenza ritiene che essa si identifica nell'attività di persuasione esercitata sulla vittima per convincerla a compiere o subire l'atto sessuale. Tale attività deve essere posta in essere dall'agente abusando della condizione di inferiorità fisica o psichica del soggetto passivo, ossia strumentalizzando detta condizione.

3. Esatta interpretazione della nozione di ''atto sessuale''.

L'aspetto di maggior rilievo della riforma dei reati sessuali del '96 è costituito dal concetto lato ed omnicomprensivo di "atto sessuale". Invero, a differenza della previgente disciplina (artt. 519 e ss. c.p.), fondata sulla distinzione tra congiunzione carnale ed atti di libidine, oggetto di due autonome fattispecie diversificate anche sul piano sanzionatorio, il legislatore del '96 delinea la condotta criminosa facendo riferimento alla nozione di ''atti sessuali'', senza, peraltro, provvedere alla sua specificazione. 

La genericità di tale nozione, oltre a gettare un serio sospetto di illegittimità costituzionale sulla norma sotto il profilo della violazione del principio di tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale, di cui all'art. 25, comma 2, Cost., ha aperto un dibattito circa l'esatta interpretazione della stessa. 

Sul punto, si possono distinguere tre differenti orientamenti. Secondo il primo, l'espressione ''atti sessuali'' non è altro che un concetto ricomprendente le nozioni tradizionali di ''congiunzione carnale'' ed ''atti di libidine''; per un indirizzo minoritario, il concetto in esame ha una portata più ampia rispetto a quello di ''atti di libidine'', a cui consegue una più ampia area di illiceità penale del delitto di violenza sessuale, realizzabile anche in assenza di un coinvolgimento corporeo e sessuale della vittima, attraverso atti di esibizionismo, di voyeurismo ed autoerotismo. Infine, secondo una terza impostazione, la nozione di ''atti sessuali'' deve essere interpretata in maniera più restrittiva, sino a ricomprendere solo le ipotesi di contatto sessuale. (3)

Per quanto concerne, invece, la posizione della giurisprudenza, quest'ultima ha affermato che la nozione in esame è la risultante della somma dei concetti di congiunzione carnale e atti di libidine, per cui essa comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia idoneo ad invadere la sfera sessuale della vittima e a compromettere la sua libertà sessuale. (4) Ne discende un'accezione più ristretta di ''atto sessuale'': infatti, in primo luogo, esso risulta depurato dai riferimenti moraleggianti che caratterizzavano il reato previsto dall'abrogato art. 521 c.p.; inoltre, è qualificato dall'aggettivo ''sessuale'', inteso come rapporto corpore corporis; infine, da una selezione qualitativa degli atti penalmente rilevanti, coincidenti con quelli idonei a compromettere la libera determinazione della libertà sessuale del soggetto passivo.

In particolare, per "atti sessuali" si intendono non solo gli atti che involgono le zone genitali, bensì tutte quelle ritenute "erogene" dalla scienza medica, psicologica ed antropologica-sociologica, ossia quelle zone del corpo in grado di stimolare l'istinto sessuale (ad esempio: bocca, labbra, glutei, cosce, ecc...). Pertanto, il mero contatto con le parti intime della vittima, realizzabile mediante toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti, ancorché siano non completi o di breve durata, integra il delitto di violenza sessuale, essendo irrilevante, ai fini della consumazione, la finalità dell'agente e l'eventuale soddisfacimento del piacere sessuale. 

Tale deduzione trova conferma nella giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 609 bis c.p., è sufficiente il compimento di atti che implicano il coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa, dovendo, infatti, questa essere costretta o indotta a compiere o subire gli stessi. Ne discende che anche il mero sfioramento con le labbra del viso altrui per dare un bacio rientrerebbe nella nozione di atto sessuale rilevante ai sensi dell'art. 609 bis c.p., trattandosi di un'azione insidiosa e rapida avente ad oggetto una zona erogena su persona non consenziente. (5)

4. Tentativo.

La configurabilità di un così ampio spazio applicativo per la violenza sessuale consumata pone il problema dell'ammissibilità della fattispecie tentata, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 56 e 609 bis c.p.

Sul punto, la Corte di Cassazione, con la sent. n. 4674 del 2015, ha statuito che il tentativo di violenza sessuale si configura solo quando l'agente, per cause indipendenti dalla sua volontà, non riesca ad attingere, nemmeno per pochi attimi, le zone erogene della vittima, atteso che anche un semplice palpeggiamento o toccamento di pochi secondi, purché diretto ad una zona erogena, è in grado di determinare la consumazione del delitto in esame.

Ciò significa che il semplice contatto con le parti intime del soggetto passivo integra gli estremi del delitto consumato di violenza sessuale,essendo indifferente che il contatto corporeo avvenga per pochi secondi o attimi o che l'agente consegua la soddisfazione erotica. Inoltre, non assume alcun rilievo il fatto che la vittima indossasse abbigliamento pesante, tale per cui il reo non era venuto effettivamente a contatto con le sua parti intime.

Pertanto, il tentativo di violenza sessuale sussiste non solo quando gli atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere l'atto sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale e fugace e non abbia potuto raggiungere una zona erogena o comunque considerata tale e presa di mira dal reo per la pronta reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente. 

Parimenti, con la sent. n. 5515 del 2016, la Suprema Corte è tornata sul punto per ribadire che il semplice contatto con le zone erogene (nel caso di specie, il palpeggiamento dei glutei), anche se fugace o repentino, integra già il reato e non il semplice tentativo, realizzandosi l'intrusione violenta nella sfera sessuale del soggetto passivo.

Le pronunce in esame si inseriscono in un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini dell'integrazione del tentativo di violenza sessuale è necessario, sul piano soggettivo, l'intenzione dell'agente di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e, sul piano oggettivo, l'idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, anche, eventualmente, ma non necessariamente, attraverso contatti fisici, sia pure di tipo superficiale e/o fugace, non indirizzati verso zone erogene. (6)

5. Considerazioni conclusive.

La riforma dei reati sessuali del 1996 rappresenta lo sbocco di un processo innovativo, di un cambiamento sociale e culturale, già da tempo avviato e avvertito da più fronti, che consacra definitivamente la sfera della sessualità come diritto della persona umana, la cui disponibilità spetta esclusivamente al soggetto che ne è titolare, comportando, quindi, il venir meno dell'appartenenza di tale bene al generico patrimonio collettivo della moralità e del buon costume. In altri termini, la sfera della sessualità non viene più intesa come un valore pubblico, ma come un valore individuale e, più precisamente, come diritto del singolo individuo di gestire liberamente la propria sessualità, la cui violazione costituisce offesa alla dignità della persona.

Proprio l'esigenza di proteggere la persona da qualsiasi aggressione alla propria sfera intima giustifica l'inclusione, nella nozione omnicomprensiva di ''atti sessuali'', anche di condotte di non elevata offensività che, anticipando la soglia di rilevanza penale, potrebbero, alla luce dei principi generali, semmai integrare la fattispecie tentata.

In realtà, dall'analisi del recente panorama giurisprudenziale, si ricava uno spazio del tutto residuale per l'ammissibilità del tentativo di violenza sessuale, circoscritto al compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla perpetrazione dell'atto sessuale che non si siano sfociati in un contatto corporeo ovvero all'ipotesi in cui quest'ultimo non abbia potuto raggiungere una zona erogena.

 

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Note e riferimenti bibliografici

1) G. Alpa - R. Garofoli, Manuale di Diritto Penale Parte Speciale, Nel diritto Editore, 2013.

2) Cass. Pen., Sez. III, 22 maggio 2013, n. 26440; Cass. Pen. Sez. III, 18 settembre 2013, n. 38326. 

3) A. Cadoppi - P. Veneziani, Elementi di Diritto Penale Parte Speciale, Cedam, 2012.

4) Cass. Pen., Sez. III, 9 novembre 2012, n. 43495.

5) Cass. Pen., Sez. III, 26/09/2012 n. 44480.

6)Cass. Pen., Sez. III, 17 febbraio 2011, n. 21840, in Cass. Pen., 2012, n. 1392.