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Pubbl. Lun, 14 Mar 2016

Sentenza Contrada e concorso esterno in associazione mafiosa: un´occasione mancata o addirittura un pericolo?

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Giuseppe Ferlisi
AvvocatoUniversità degli Studi di Salerno


Sentenza Cedu del 14 aprile 2015: l´Italia condannata per non aver rispettato l´art. 7 della Convenzione dei Diritti dell´Uomo. I risvolti sulla giurisprudenza interna alla luce della recentissima sentenza del G.I.P. Catania.


La Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 14 Aprile 2015 è divenuta definitiva con l'inammissibilità del ricorso promosso dal governo italiano alla Grande Camera.
La pronuncia nasce da un procedimento a carico di Bruno Contrada, condannato in via definitiva nel 2006 dalla Corte d'Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (artt. 110 e 416 bis c.p.) per avere, tra il 1979 e il 1988 - giovandosi della posizione chiave ricoperta nelle forze dell'ordine - "sistematicamente contribuito alle attività e alla realizzazione degli scopi criminali dell'associazione mafiosa "Cosa Nostra" fornendo ad alcuni associati "informazioni confidenziali concernenti le investigazioni e le operazioni di polizia in corso» contro alcuni di loro".
Prima di passare all'analisi della statuizione della Corte di Strasburgo, è doveroso operare un'analisi, seppur sintentica, della fattispecie di reato del concorso esterno in associazione mafiosa e della sua evoluzione giurisprudenziale per poter comprendere le basi storiche, fattuali e teoriche del ricorso adoperato dal Contrada.

Ebbene, bisogna innanzitutto evidenziare come nei reati associativi i singoli associati non orientano la propria attività esclusivamente verso l’attuazione di reati ben individuati, bensì lo scopo è piuttosto quello di ripartirsi compiti e ruoli in modo da realizzare un programma indeterminato di delitti, non essendo necessaria una specifica e complessa organizzazione di mezzi, ma bastando una rudimentale predisposizione degli stessi purché in concreto idonea alla realizzazione del programma di delinquenza e perdurante nel tempo.
Premesso ciò, il fondamento normativo su cui si è ancorata la responsabilità penale dell’extraneus è stato individuato nell’art. 110 c.p. che detta la disciplina del concorso eventuale, stabilendo che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”, punendo - in tal modo - di fatto tutte quelle condotte tese a contribuire al “rafforzamento” dell’associazione pur essendo realizzate da soggetti estranei alla societas sceleris.

La prima grande elaborazione giurisprudenziale è stata la  sentenza Demitri dell’anno 1994 ove  la Corte di Cassazione a SS.UU. ha sottolineato la diversità di ruoli tra partecipazione all’associazione e concorso eventuale materiale.
Con la successiva pronuncia a Sezioni Unite n. 22327/2003 (sentenza Carnevale) gli ermellini in maniera difforme alla precedente statuizione - dove avevano escluso la necessità che l’extraneus agisse con la volontà di realizzare i fini propri dell’associazione - affermavano che oltre alla consapevolezza occorre anche la volontà da parte dell’extraneus di apportare un contributo diretto alla realizzazione del programma criminoso del sodalizio.
Nel 2004, invece, la II Sezione Penale della Cassazione emetteva la c.d. “sentenza Andreotti” secondo la quale non è sufficiente una condivisione meramente psicologica di programmi e finalità della struttura criminosa, occorrendo la concreta assunzione di un ruolo materiale al suo interno.
Con la c.d. “sentenza Mannino” le S.U. del 2005 si sono definiti e precisatìi ulteriormente i contorni della fattispecie in esame, soffermandosi su margini e condizioni di applicabilità dell’istituto al caso del c.d. “patto di scambio politico-mafioso”.
Per ultimo, se nella sentenza dell’Utri del 2012 si è sostanzialmente confermato l’orientamento della giurisprudenza consolidata in ordine alla configurabilità del concorso esterno in associazione anche mafiosa, la successiva pronuncia della Cassazione del 2013 ha affermato come la mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell’evento non basta a configurare il reato, necessitando  che la realizzazione del fatto tipico mediante l’evento di rafforzamento o conservazione sia rappresentata e voluta dal concorrente esterno.

Su tali basi, il Contrada nel 2008 ricorse alla Corte Europea dei diritti dell'uomo, lamentando la violazione dell'art. 7 CEDU sulla scorta del fatto che il reato per cui era stato condannato fosse stato il frutto di una complessa evoluzione giurisprudenziale posteriore all'epoca dei fatti.
Sebbene l'articolo su richiamato statuisce il principio di legalità in materia penale e il divieto di applicazione delle norme in malam partem, ciò che rilevava ai fini del giudizio era capire se il ricorrente fosse in grado al momento della condotta di prevenire ed immaginarsi le conseguenze penalmente rilevanti delle proprie azioni.
Constatato il pacifico riconoscimento della fattispecie in esame quale figura criminosa di origine giurisprudenziale, la Corte ha evidenziato come tale reato sia comparso per la prima volta nella sentenza Cillari (Cass. pen., 14 luglio 1987, n. 8092) e sia poi stato oggetto di interpretazioni divergenti, fino alla pronuncia delle Sezioni Unite Demitri (Cass., sez. un., 5 ottobre 1994 , n. 16). I giudici di Strasburgo hanno quindi concluso che all'epoca dei fatti contestati il reato non sarebbe stato sufficientemente chiaro e quindi prevedibile dall'imputato.

Oltre il fatto storico, ciò che ha posto in rilievo tale sentenza è costituito dal fatto che la Corte, ha affermato come "si può considerare "legge" solo una norma enunciata con una precisione tale da permettere al cittadino di regolare la propria condotta" - affermando di fatto come la determinatezza sia dunque l'altra faccia della prevedibilità e, pertanto, una giurisprudenza complessa e divisa, come quella in materia di concorso esterno tra gli anni '80 e '90, non avrebbe permesso al ricorrente di qualificare con chiarezza i fatti contestati e prevedere la conseguente sanzione.

La sentenza in esame tuttavia risulta se non debole, sicuramente un'occasione mancata: seppure essa viene adeguamente motivata con determinazione dell' an di punibilità al post 1994, nulla dice in merito ad un eventuale allargamento delle condotte punibili (bisogna dire che nemmeno la difesa italiana si è adoperata per sollecitare la Corte in tal senso).
Eppure sarebbe stata una buona occasione sia per fare il punto su numerose statuizioni precedenti che in alcuni casi riconducevano la soglia di punibilità perfino ad una partecipazione interna alla stessa associazione mafiosa, sia per poter "marcare" anche eventuali appoggi o favoreggiamenti alle associazioni di stampo terroristico, in un contesto quale quello attuale.

In definitiva la sentenza Contrada ha deluso un po' le aspettative(o i timori di altri), proprio per la sensazione di aver perso una occasione e per aver conservato, invece, quei dubbi che potevano essere risolti, sui requisiti oggettivi e soggettivi necessari per il concorso esterno.

Anzi, il rischio è che si possa sviluppare addirittura una corrente giurisprudenziale che porti a sostanzialmente non considerare esistente tale fattispecie di reato di origine interpretativa.
E' l'esempio della recentissima sentenza G.I.P. Catania 12/2/2016, allegata al presente articolo,
Nella stessa, il giudice per le indagini preliminari  afferma che per il caso Contrada "ripropone oggi in termini di concreta attualità la tematica della esistenza o meno della figura del reato di concorso esterno in associazione mafiosa all’interno dell’ ordinamento giuridico italiano oppure, come dalla stessa postulato, se tale figura sia una figura di creazione giurisprudenziale, come tale, pacificamente ammessa dalle parti del giudizio europeo. La distinzione è di fondamentale importanza, perché accedendo alla tesi della CEDU deve dichiararsi che non esiste il reato contestato all’imputato per il principio di legalità, essendo il sistema giuridico italiano un sistema di civil law e non già di common law."
Dopo la sentenza CEDU del 2015 – si domanda il Giudice – è dunque possibile ancora oggi parlare di concorso esterno? La risposta che viene fornita, come detto, è negativa.
"La prima volta che tale reato viene citato è nell’ordinanza-sentenza del primo maxi processo contro cosa nostra, istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fattispecie ottenuta sommando gli articoli 110 e 416 bis del codice penale, onde perseguire i cosiddetti “colletti bianchi”, soggetti che apportano dei concreti contributi alla attività mafiosa, tra cui Vito Ciancimino. Il riferimento storico non è di poco momento se si considera che l’articolo 416 bis c.p. viene introdotto nel 1982 e il grandissimo intuito di Falcone aveva portato a coprire una zona meritevole di tutela giurisdizionale".
Nel 2015, però, "ci si trova di fronte ad una situazione diversa che ha avuto una notevole evoluzione nel tempo", non potendosi non osservare che "sono passati oltre trent’ anni senza che il legislatore abbia inteso disciplinare questa delicatissima materia nonostante siano stati proposti diversi progetti di legge".
Per avvalorare il ragionamento, il Giudice cita la recente pronuncia della Corte di Cassazione nel processo “Mafia Capitale” (Cass. 21 aprile 2015, n. 34147), la quale ha evidenziato la “nebulosa applicazione” dei canoni individuati dalla giurisprudenza, giungendo ad affermare che “detti canoni, astrattamente ineccepibili, possono in concreto, risultare di nebulosa applicazione“; e che associazione mafiosa e concorso esterno costituiscono fenomeni completamente alternativi tra loro, concretandosi, nel secondo caso, le condotte in un ausilio occasionale all’associazione.

Bisogna dire che la pronuncia in annotazione ha fatto discutere sin da subito all’interno dello stesso Tribunale che l’ha pronunciata, al punto che il presidente dell’Ufficio GIP del Tribunale di Catania ne ha preso pubblicamente le distanze osservando che "la negazione del reato di concorso esterno è una decisione del tutto personale e isolata, poiché tutti gli altri giudici della sezione" lo ritengono "sicuramente ipotizzabile, come più volte stabilito dalla Corte di Cassazione".

E' evidente quindi come la sentenza Contrada farà ancora discutere, presentandosi come abbiamo detto, come occasione mancata e come possibile pericolo per la fattispecie di reato tanto voluta dal Dott.Falcone.
Certamente è improbabile che il concorso esterno sparisca dal nostro ordinamentio, tuttavia il futuro della nostra analisi penalistica e della nostra dottrina e giurisprudenza sarà probabilmente proprio quello di definire con chiarezza i limiti e le differenze tra le fattispecie di concorso interno ed esterno, e soprattutto tra queste ed il nuovo reato ex art. 416 ter dello scambio politico mafioso (già trattato nel nostro portale).