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Pubbl. Gio, 18 Feb 2016

La posizione giuridica dell’ospite: la tutela esperibile in caso di estromissione del convivente non proprietario dalla casa di abitazione

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Federica Zambuto


Con la pronuncia in esame, la giurisprudenza di legittimità ha attuato un marcato ampliamento della tutela giurisdizionale in favore del convivente more uxorio. In particolare, la S.C. ha valutato l´eventuale sussistenza della possibilità di esperire azione di reintegrazione ex art. 1168 c.c. per il convivente ospite che sia stato violentemente estromesso dall´unità abitativa ove si sia svolta la comunione di vita, da parte del partner che ne sia proprietario.


Nota a Sent. Cass., II sez. civ., 21 marzo 2013, n. 7214.

Sommario: 1. Il fatto – 2. Profili costituzionali di tutela dei rapporti di convivenza more uxorio – 3. La decisione della Suprema Corte di Cassazione

1.     Il fatto

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte di Cassazione ha riguardato la situazione di disagio patita dal convivente non proprietario della casa di abitazione, clandestinamente estromesso dall’unità abitativa, di esclusiva proprietà della partner. Quest’ultima, nella specie, ha riferito di essere stata vittima di tentato furto da parte del convivente medesimo, per ciò stesso allontanandolo dall’immobile in questione, nel solo interesse di procedere alla vendita dell’appartamento. Il partner, dal suo canto, ha esperito l’azione di reintegrazione nel possesso ex art. 1168 c.c., riuscendo a dimostrare la propria qualifica di compossessore al momento del passaggio di proprietà. Nonostante ciò, la donna ha eccepito dinanzi ai giudici di legittimità non solo che la relazione fosse già terminata al momento della redazione dell’atto di compravendita, ma anche che la posizione del compagno fosse assimilabile a quella di un mero “ospite”. La Suprema Corte, con la pronuncia in esame, statuirà che la posizione di tale soggetto è ben diversa da quella di colui il quale detiene per ragioni di mera ospitalità; sicché, verranno delineati dei precisi profili di tutela nei riguardi di quel soggetto violentemente estromesso dall’unità abitativa in cui si sia realizzata la comunione di vita.

2.     Profili costituzionali di tutela dei rapporti di convivenza more uxorio.

L’art. 29 della Costituzione definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio; al contempo, la Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione europea, al suo art. 33, garantisce ad ampio spettro la protezione della famiglia sul piano economico, giuridico e sociale[1].

Se, da un lato, tale riconoscimento implica il profondo radicamento, all’interno del nostro ordinamento giuridico, della concetto di famiglia come unione essenzialmente fondata sul matrimonio, d’altra parte si denota un positivo tentativo del Legislatore di rapportarsi al fenomeno sociale, in modo tale da poter recepire «nuove ipotesi in cui il costume riconosca via via il senso ed il valore dell’esperienza “famiglia”»[2]. D’altronde, le modifiche apportate con la L. 19 maggio 1975 n. 151, relative alla equiparazione della prole naturale a quella legittima, hanno consentito di ridefinire i contorni del modello familiare more uxorio. Orbene, l’opinione consolidata ha avallato la tradizionale impostazione secondo la quale la famiglia di fatto trarrebbe la propria legittimazione dall’art. 2 Cost.[3], baluardo di tutela di tutte le formazioni sociali ove può esprimersi ad ampio raggio la personalità umana e che trova, altresì, riconoscimento in altre norme di rango costituzionale (artt. 30, 34, 36, 37 Cost.) in cui il riferimento alla famiglia abbraccia qualsivoglia tipologia di nucleo familiare, sia esso fondato sul matrimonio o meno. Ed invero, la dottrina maggioritaria sostiene che la famiglia di fatto sia uno di quei gruppi sociali in cui la personalità dell’individuo può manifestarsi ed esprimersi liberamente, onde per formazione sociale deve intendersi «ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e a favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico»[4].

Pertanto, «se l’art. 2 Cost. rappresenta una sorta di embrione di statuto minimo della famiglia, la disciplina prevista dall’art. 29 della Carta Costituzionale non può escludere dalle ipotesi familiari quelle alternative alla comunità coniugale, seppur privilegi l’idea di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»[5].

A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità ha rinvenuto, quali elementi caratteristici la famiglia di fatto, la stabilità del legame, tale per cui si possa presumere quell’unione come certa e rilevante dal punto di vista giuridico, pur se in assenza di un atto celebrativo ad hoc. In particolare, «è stata riconosciuta valenza giuridica a quella relazione interpersonale che presenti carattere di tendenziale stabilità, natura affettiva e para – familiare, che si esplichi in una comunanza di vita ed interessi nonché nella reciproca assistenza morale e materiale»[6].

Essa deve essere caratterizzata da:

-         adeguata stabilità;

-         legami affettivi;

-         presenza dei figli;

-         interessi patrimoniali comuni.

Dinanzi ad un numero sempre più crescente di unioni di fatto, taluni auspicano che il Legislatore introduca degli strumenti capaci di conferire un riconoscimento legale alle situazioni di fatto; una possibilità, assai diffusa, consiste nel suddetto riconoscimento mediante la iscrizione nel registro delle unioni civili[7], che contribuirebbe altresì alla realizzazione di una vera e propria anagrafe delle famiglie di fatto.

Quanto al problema relativo ad una loro regolamentazione giuridica, essa potrebbe avvenire ex lege, con tutte le dovute prudenze, ovvero mediante il riconoscimento di liceità e forza vincolante ai “patti di convivenza”; ed ancora, attraverso estensioni analogiche della disciplina della famiglia matrimoniale»[8].

3.     La decisione della Suprema Corte di Cassazione

Orbene, occorre valutare quale potrebbe essere il regime di tutela di volta in volta prospettabile e da cui attingere nelle ipotesi in cui i diritti dei partners dovessero risultare compressi, sacrificati, violati. In particolare, a quali espedienti giuridici potrebbe ricorrere il convivente ospitato presso la casa di proprietà dell’altro partner, ma destinata a comune abitazione, qualora dovesse risultarne violentemente estromesso?

Analizzando il profilo attinente lo specifico diritto all’abitazione, la giurisprudenza di merito ha statuito che «nel caso di cessazione di un rapporto di convivenza more uxorio, il convivente proprietario esclusivo dell’immobile precedentemente destinato alla convivenza ha il diritto di ottenerne il rilascio da parte dell’altro convivente, che non ha alcun titolo per continuare ad utilizzare l’abitazione»[9].

Si è per lungo tempo sostenuto che la situazione del convivente more uxorio fosse equiparabile a quella di colui il quale detenesse in virtù di un rapporto di mera ospitalità, giacché la sola convivenza ex facto non sarebbe stata in grado di attribuire ai conviventi un potere sulla cosa qualificabile alla stregua del possesso o compossesso; il soggetto estromesso dall’abitazione, in tali casi, non avrebbe potuto valersi dell’azione di spoglio ex art. 1168 c.c., in quanto identificabile alla stregua di un mero ospite. Dal suo canto, il possessore o detentore qualificato avrebbe potuto esercitare nei suoi confronti l’azione di reintegrazione[10] ex art. 1168 c.c., qualora lo stesso si fosse rifiutato di effettuare il rilascio dell’immobile.

Un recente approdo giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione[11] ha, però, inquadrato i precisi profili di tutela da garantire, al momento della cessazione dell’unione, al convivente ospitato.

Ed invero, con la sentenza del 21 marzo 2013 n. 7214, la S. C. giunge a riconoscere il positivo diritto del convivente more uxorio di esperire l’azione di spoglio ai sensi dell’art. 1168 c.c. nelle ipotesi di violenta estromissione dall’immobile da parte del partner che ne sia proprietario. La sua posizione, a detta degli stessi giudici di legittimità, sarebbe qualificabile in termini di detenzione qualificata, giacché la convivenza costituisce una relazione che «determina sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità; ne consegue che l’estromissione violenta o clandestina del convivente dall’unità abitativa legittimerà quest’ultimo ad esperire l’azione di spoglio ex art.  1168 c.c.[12] nei confronti dell’altro, quand’anche non vanti un diritto di proprietà sull’immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi»[13]. Difatti, «la sua situazione sarà equiparabile alla detenzione autonoma[14], qualificata dalla stabilità della relazione familiare e protetta dal rilievo che l’ordinamento le riconosce».

Più in particolare, «dalla convivenza more uxorio, in ogni caso non assimilabile al matrimonio, in quanto basata su un consenso liberamente e immediatamente revocabile, sorgerebbe un interesse personale del partner al godimento della casa familiare di proprietà dell’altro convivente, meritevole di tutela ai sensi dell’art. 2 Cost. ed assimilabile non già al possesso, bensì alla detenzione autonoma; il che legittimerebbe tale soggetto ad esperire azione possessoria di manutenzione»[15].

L’orientamento in questione verrà, peraltro, supportato da altro indirizzo della giurisprudenza di legittimità, relativamente alla ipotesi in cui la convivente, durante il periodo di lungodegenza del partner in ospedale, non avrebbe più potuto fare ingresso presso l’abitazione comune a causa del cambio della serratura effettuato dal di lui fratello, concedente il comodato gratuito sull’immobile medesimo. Ebbene, sarà proprio la convivenza perdurata nel tempo fra il comodatario e la donna a giustificare la sua qualità di codetentrice, nonché a legittimarla all’esercizio dell’azione di spoglio ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1168 c.c., in virtù di una posizione assimilabile alla detenzione qualificata[16].

La stessa convivenza more uxorio sarebbe, pertanto, titolo giuridico idoneo a qualificare la detenzione del partner, «nell’orizzonte di una progressiva giuridificazione della famiglia di fatto ed in virtù della teorizzata ricostruzione dell’istituto della detenzione quale situazione di diritto»[17].

Parrebbe, dunque, opportuno concludere nel senso di auspicare una marcata tutela nei confronti di quel soggetto che, sebbene protagonista di una relazione non foggiata da alcun vincolo giuridicamente rilevante, intrattenga un contatto con l’immobile destinato ad abitazione comune, ma di proprietà dell’altro convivente. Lungi dal definire tale legame come legittimato da ragioni di “mera ospitalità”, ma fondato su un «negozio a contenuto personale, avente alla base una scelta di vita comune e l’intento di instaurare un consorzio familiare, come tale anche socialmente riconoscibile»[18].

 


[1] Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, 18 dicembre 2000.

[2] P. ZATTI, Trattato di diritto di famiglia, Vol. I, 2011, p.14.

[3] In tal senso «l’indagine sui principi costituzionali in materia di diritto di famiglia non può trascurare il richiamo ad altre norme che pur non si riferiscono direttamente alla famiglia. In particolare si allude al principio enunciato all’art. 2 Cost., che nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, pone le fondamenta di un sistema pluralistico aperto, che consente, ed anzi impone, il rispetto di tutte le formazioni sociali che coinvolgono le persone, e non solo di quelle istituzionalizzate». In tal senso, cfr. M. SESTA, Diritto di famiglia, Milano, 2005, p.25.

[4] Corte Cost., 21 aprile 2010, n.138.

[5] E. FALLETTI, Famiglia di fatto e convivenze, Padova, 2009, p.29.

[6] Cass. pen., 27 settembre 2001, n. 35212.

[7] C. S. PASTORE, La famiglia di fatto, analisi e disciplina di un modello familiare diffuso, Torino, 2007, p.198.

[8] S. ASPREA, La famiglia di fatto, Milano, 2009, p.23.

[9] Trib. Genova, sez. III, 23 febbraio 2004, n. 835 in Guida al diritto, 2004, 22, pp.61 ss.

[10] Cfr. Pret. Vigevano, 10 giugno 1996, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, p. 240.

[11] Cass. civ., sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214. In dottrina si veda M. RINALDI, La nuova filiazione e la convivenza nella famiglia di fatto, Santarcagelo di Romagna, p.64.

[12] Cfr. CABELLA PISU, Il possesso, in Trattato di diritto immobiliare, diretto da Giovanna Visintini, I, 2, Padova, 2013, pp.1317 ss., la quale ritiene che il coniuge, i familiari conviventi, nonché il convivente more uxorio abbiano, quali detentori qualificati, la legittimazione ad esperire l’azione di spoglio ex art. 1168 c.c.

[13] Cass. civ., sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214.

[14] I. FERRETTI, Convivenza more uxorio e tutela possessoria: un ulteriore tassello del diritto vivente sulla famiglia di fatto, in Giur. it., 2013, p.2494.

[15]  M. LUISA PIGNATELLI, La dignità del rapporto di convivenza more uxorio nelle vicende relative al godimento della casa di abitazione, in www. dirittifondamentali. it, p. 2.

[16] Cass., sez.II, 2 gennaio 2014, n.7

[17] G. LUCCIOLI, Famiglia, convivenza, possesso, Atti del Convegno di studi, Roma, 22 novembre 2012, Aula Magna della Corte di Cassazione.

[18] Cass. civ., II sez., 14 giugno 2012, n. 9786, in Giust. civ. 2012, I, pp.2318 ss.