Pubbl. Lun, 29 Set 2025
Quale tertium comparationis per il giudizio di proporzionalità in senso stretto?
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Marco Cecchi

Il contributo riproduce il testo della relazione tenuta dall’Autore in seno al Workshop “Ragionevolezza, proporzionalità e diritti”, organizzato dalla SIFD (Società Italiana di Filosofia del Diritto), nell’ambito del XXXIV Congresso SIFD – Diritto, vulnerabilità, eguaglianza, svoltosi a Modena dall’11 al 13 settembre 2025.

Which tertium comparationis for the assessment of proportionality in the strict sense?
The paper represents the text of report given by the Author within the workshop “Reasonableness, proportionality and rights”, organized by SIFD (Italian Society of Philosophy of Law), as part of the 34th SIFD Congress – Law, vulnerability, equality, held in Modena, September 11-13, 2025.Sommario: 1. Ouverture; 2. Definizione concettuale; 3. Declinazione pratica del principio de quo; 4. Il nodo del tertium comparationis nel giudizio di proporzionalità in senso stretto; 5. Circoscrivere l’individuazione di fattispecie da comparare/bilanciare; 6. Ricadute.
1. Ouverture
Il principio di proporzionalità è un principio che – possiamo dire un po’ provocatoriamente – va assai di moda, da qualche anno a questa parte.
Forse, tuttavia, nella manciata di qualche mese assisteremo a un acquietarsi degli scritti in materia (sono veramente un profluvio quelli pubblicati ultimamente, specie nel settore penale); epperò, trattandosi di un principio cardine del diritto, non ci sarà mai un suo reale superamento – né sarebbe auspicabile ci fosse.
La proporzione è infatti legata a stretto nodo, insieme alla ragionevolezza (e più modernamente ad altri essenziali principi: su tutti, l’uguaglianza e la legalità), all’idea stessa di Giustizia: la giustizia intesa come dare a ciascuno il suo (quel che si merita); il che presuppone, alla base, un’idea di proporzione – non soltanto di correlazione – della risposta data rispetto alla domanda avanzata.
Quando parliamo di proporzionalità, quindi, evochiamo un concetto fondamentale nel mondo giuridico: che vale sia come ideale a cui puntare/da avere di mira sia come principio al quale attenersi tanto a livello teorico quanto a livello pratico; e per attenersi davvero a questo principio, occorre trovare un modo per farlo: più esattamente, c’è bisogno di un metodo a tal scopo.
Ed è così, a mio parere, cioè attraverso il metodo (vale a dire: tramite una maniera ordinata di fare le cose, anche quelle giuridiche) che i discorsi astratti sulla proporzionalità possono trovare una loro concretizzazione quotidiana.
2. Definizione concettuale
Per portare avanti il discorso, devo ora specificarvi cosa intendo per proporzionalità.
Prima dicevamo che proporzionalità e ragionevolezza rappresentano (insieme ad altri principi e valori, certo: come l’uguaglianza e la legalità ecc.) due concetti centrali nella riflessione giuridica e sostenevamo che si tratta di nozioni alle quali pensiamo/ci rifacciamo – quasi istintivamente, visceralmente – quando parliamo di Giustizia.
Queste due nozioni, spesso invocate o evocate congiuntamente, non sono tuttavia equivalenti… seppur complementari; soprattutto, poi, rispondono a esigenze diverse:
la ragionevolezza, invero, attiene precipuamente alla qualità epistemica e dialogica – quantomeno stando agli standard odierni – della decisione nel suo complesso;
la proporzionalità, invece, concerne la relazione mezzo/fine in un’ottica di giustezza dell’azione rispetto allo scopo perseguito.
Dunque, come definizione concettuale, qua intendiamo la proporzionalità come relazione mezzo/fine in un’ottica di giustezza dell’azione rispetto allo scopo perseguito.
A fronte di questa definizione, è possibile peraltro riconoscere che la bontà – recte la giustizia – della risposta giuridica non si trova solo nella proporzione, bensì principalmente nello scopo perseguito. L’esito (giusto, proporzionale, ragionevole) si correla e dipende, a ben vedere, dai fini scelti e perseguiti/imposti come quelli da perseguire da parte del legislatore.
Nondimeno, per giungervi (alla risposta giuridicamente giusta) il passaggio della proporzionalità è comunque un passaggio indispensabile: in astratto (scelta legislativa); in concreto (applicazione giurisprudenziale/procedimentale).
3. Declinazione pratica del principio de quo
Intendo ora concentrarmi sulla declinazione pratica del principio di proporzionalità.
In particolare, mi interessa esporre il metodo che viene impiegato per concretizzare giudizialmente il canone di proporzione[1].
Come noto, è stato elaborato in dottrina un test ad hoc: il c.d. test tripartito (o quadripartito, a seconda che si consideri o meno la ‘previsione per legge’ tra i momenti della metodica) di proporzionalità.
È un test che si applica al giudizio di costituzionalità (v. Corte cost., sentt. nn. 63/2016 e 85/2013), ma a nostro parere è estendibile anche ad altre occorrenze giuridiche[2].
In sostanza, per gestire pra(gma)ticamente il principio di proporzionalità e per valutare la qualità della gestione pratica del principio di proporzionalità, il giurista-decisore adotta quella che noi definiamo “tecnica motivazionale rafforzata” (o motivazione rafforzata sul canone di proporzione): ossia, segue una serie di passaggi logico-argomentativi obbligati.
Quali? Declinati in parte qua, gli step logico-argomentativi da seguire sono i seguenti:
i) verificare che il legislatore abbia agito per uno scopo non in contrasto coi principi costituzionali o con la normativa ordinaria (conformità del fine alla Costituzione o alla lex);
ii) valutare il rapporto mezzi-fini, in modo da assicurare che sussista una connessione razionale tra i mezzi predisposti e i fini che si intendono perseguire (raggiungimento dello scopo);
iii) riscontrare la necessità dello strumento a cui si fa ricorso, che deve essere funzionale in relazione all’obiettivo legalmente prefissato: da raggiungere col minor sacrificio possibile di altri diritti, principi, valori (sacrificio minimo dei diritti, principi, valori);
iv) vagliare la proporzionalità in senso stretto, che ha ad oggetto gli effetti dell’atto normativo e che comporta il ‘calcolo’ non meramente quantitativo costi-benefici: i sacrifici imposti ad altri interessi in gioco (bilanciamento).
4. Il nodo del tertium comparationis nel giudizio di proporzionalità in senso stretto
Di questo test – tripartito o quadripartito, a seconda della considerazione o meno della ‘previsione per legge’ tra i momenti della metodica in questione – attenzioniamo adesso l’ultimo passaggio: ossia, il giudizio di proporzionalità in senso stretto.
Anzitutto, ribadiamo che la proporzionalità va verificata non soltanto intrinsecamente alla singola fattispecie ma anche estrinsecamente rispetto ad altre fattispecie (sennò avremmo un giudizio di proporzione monco e asistematico, perché carente di una vera comparazione… che si dà solo con un referente esterno con il quale ci si rapporta).
Ciò posto, nel ragguaglio tra fattispecie diverse – ossia, a livello di proporzione estrinseca – siffatto meccanismo valutativo-motivativo (rinforzato: ché segue una serie di step logico-argomentativi obbligati), funzionale ad applicare case by case il principio di proporzionalità, si espone nel suo step finale – allorché si bilanciano principi, valori, diritti e interessi in gioco – a una carenza significativa: l’assenza di indicazioni giuridiche per l’individuazione del tertium comparationis.
Quali fattispecie simili/analoghe rapportare tra loro, per apprezzare la proporzione in senso stretto di ciò che si sta giudicando?
C’è bisogno, secondo chi vi parla, di individuare un parametro/criterio-guida attenendosi al quale – a fronte della medesima situazione giuridicamente rilevante – giuristi diversi, che discutono di proporzionalità, ragionino discrezionalmente sì ma nella stessa maniera/con la stessa metodologia quando ricercano e successivamente comparano fattispecie simili/analoghe da bilanciare. Ovviamente, poi, le fattispecie verranno/saranno sempre declinate particolarmente alla luce delle specificità del caso in esame, il quale fornisce le peculiarità storiche utili/indispensabili a riempire di contenuto il giudizio.
5. Circoscrivere l’individuazione di fattispecie da comparare/bilanciare
Tra le coordinate processuali (di più: filosofico-processuali, aventi carattere generale/di teoria generale), volte a costituire una base comune per individuare il tertium comparationis e sviluppare conseguentemente, in tema di proporzionalità in senso stretto, dei ragionamenti valutativo-motivativi condivisi, coerenti e sistematici, a nostro parere, si impone la seguente: non comparare tra loro fattispecie eccessivamente eterogenee.
Non slabbrare troppo le fattispecie e gli istituti coinvolti e messi a confronto, ricorrendo ad accostamenti impropri: assurdi, verrebbe da dire. Come?
Evitando la comparazione tra fattispecie che in astratto non sono idonee a regolare quella situazione giuridica. Penalmente parlando, evitando di accostare previsioni non idonee a “regolare la stessa materia” ex art. 15 c.p. (mutuando tale dizione, però, con un accento più elastico[3]).
Insomma, quando la disposizione presa in considerazione non ha nulla o poco/troppo poco a che vedere con la situazione giuridica da regolamentare, allora non può essere presa come tertium comparationis.
Sarebbe ad esempio irragionevole, oltreché sproporzionato, comparare in punto di proporzionalità – in questo caso, sub species sanzionatoria – le pene previste per il reato di truffa e per quello di omicidio, o anche solo per quello di lesioni.
Per giunta, il bilanciamento di fattispecie eccessivamente distanti tra loro si traduce – a ben rifletterci – in una sensazione di ingiustizia, data dalla iniquità/dalla sproporzionata iniquità che naturalmente sentiamo a fronte di un accostamento che non ha ragion d’essere, e che percepiamo – non v’è altro modo di dirlo – proprio come ingiusto, tanto è incongruo.
6. Ricadute
Una simile lettura, si è consapevoli, non è ‘gratuita’ e si esporrà certamente a qualche critica… sebbene, a studiare le pronunce giurisprudenziali e gran parte delle riflessioni dottrinali, emerga che il modo di ragionare o le proposte sui modi di ragionare in proposito è esattamente in linea con la “coordinata processuale” che abbiamo indicato: non comparare tra loro, nel giudizio di proporzionalità in senso stretto, fattispecie estremamente eterogenee, cioè che in astratto non sono idonee a regolare quella situazione giuridica.
Delle possibili critiche avanzabili ne prospettiamo (e cerchiamo di rispondere preventivamente a) due.
La prima: il parametro/criterio guida individuato e proposto (raffrontabilità, come tertium comparationis, solo tra fattispecie idonee a regolare la stessa materia: cioè, in astratto/in linea teorica applicabili alla vicenda storica sottoposta a giudizio) non è eccessivamente lasco? Nella formula “regolare la stessa materia” si può fare entrare molto o molto poco, a seconda dei punti di vista – no?! Replica: in verità, l’espressione è stata inquadrata dalla giurisprudenza penale (v. Sez. un. 20664/2016, Stalla) e non è più così vaga (poiché impone, per farla breve, un confronto strutturale tra fattispecie: da apprezzare anche alla luce del bis in idem processuale. Ma non abbiamo modo di soffermarci sul punto). E, sicuramente, questa indicazione metodologica consente di ridurre il rischio – ad oggi esasperato; consente di ridurre il rischio, dicevo: fino, di fatto, a eliminarlo – di ricostruzioni arbitrarie, mosse da collegamenti capricciosi tra fattispecie che sono agli antipodi rispetto al caso concreto. Si canalizza, pur mantenendone l’indispensabile discrezionalità, il libero convincimento interpretativo-argomentativo e, a seguire, decisorio del giurista. Nulla di più, niente di meno.
Da qui, la seconda critica prospettabile – così compendiabile: non si legano eccessivamente le mani all’interprete-decisore? No, affatto: poiché non si preconfeziona la soluzione che si raggiungerà solamente al termine dell’opera di bilanciamento. Non si predefinisce il decisum, che sarà il frutto di un’attività valutativo-motivativa da riempire di contenuto alla luce delle specificità di quel che si va giudicando. Semplicemente, si obbligano giuristi diversi che discutono di proporzionalità a ragionare discrezionalmente, eppure nella stessa maniera/con la stessa metodologia/seguendo lo stesso percorso logico-argomentativo quando ricercano e successivamente comparano fattispecie simili/analoghe da bilanciare.
Quindi, in definitiva, è questo l’interrogativo che sottopongo alla vostra attenzione: quando possiamo dire che due fattispecie sono talmente eterogenee tra loro da non poter legittimamente entrare in rapporto di bilanciamento come tertium comparationis, nella valutazione di proporzionalità in senso stretto, per ritenere tale comparazione ragionevole – anzi: di più, per ritenere tale comparazione giusta?
La risposta che vi propongo si regge sulla regolamentabilità giuridica della situazione in esame da parte di entrambe le fattispecie che si vogliono comparare; altrimenti ha poco senso il bilanciamento, perché si ridurrebbe a un mero vaneggiare in considerazioni poi concretamente impraticabili e meramente ipotetiche, sganciate da qualsiasi appiglio reale, effettivo, tangibile – ergo, inutili e tautologicamente fini a se stesse: sicché traditrici della natura essenziale del Diritto, che è quella di disciplinare, performare o perlomeno indirizzare la realtà sociale giuridicamente rilevante.
A voi quest’idea sembra corretta? È, a vostro modo di vedere, convincente/condivisibile?
Mi scuso per la cursorietà dell’intervento e mi/vi riprometto di approfondire la quaestio in un futuro prossimo. Per il momento, ‘rimetto a voi la palla’ e vi ringrazio tanto per l’attenzione.
[1] Sulla valorizzazione del principio di proporzionalità come criterio ermeneutico, v. Corte cost. 113/2025 («Il principio di proporzionalità della pena opera non solo come standard di legittimità costituzionale delle leggi penali, ma anche come criterio che orienta la loro interpretazione e la loro applicazione ad opera del giudice comune»). La sentenza citata si smarca, parzialmente (per l’impiego che fa e che ammette si possa legittimamente fare del principio di proporzionalità), dalla precedente giurisprudenza costituzionale sulla tematica. Esorbita dai fini di questa relazione soffermarsi sull’analisi della vox dello iudex constitutionalis in materia, giacché l’intenzione è solo quella di proporre un’idea sulla circoscrivibilità delle fattispecie utilizzabili come tertium comparationis per effettuare il giudizio di proporzionalità in senso stretto.
[2] Ad esempio, questo «percorso argomentativo composto di plurime stazioni, atte a renderlo più ordinato e preciso» (D. NEGRI, Compressione dei diritti di libertà e princìpio di proporzionalità davanti alle sfide del processo penale contemporaneo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 11), che si dipana in buona sostanza nei giudizi di i) idoneità (in astratto), ii) necessità (minima offensività) e iii) proporzionalità in senso stretto, è applicabile altresì a tutela dei diritti fondamentali della persona (cfr. artt. 2, 13, 14, 15 Cost.) oppure per l’applicazione di misure cautelari personali (ove, peraltro, la legge – art. 275 c.p.p. – fa espresso riferimento alla proporzionalità; v. T. E. EPIDENDIO, Proposte metodologiche in merito al dibattito sulle misure cautelari, in www.penalecontemporaneo.it, 21.11.2013, che parla di «passi argomentativi ineludibili sottesi all’applicazione del principio di proporzione al caso concreto” e propone per l’appunto di “applicare alle misure cautelari il test quadripartito di proporzionalità in senso ampio come modello argomentativo della scelta cautelare»).
[3] Con la dicitura “mutuando tale dizione [i.e. quella dell’art. 15 c.p., laddove afferma «Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia (…)»], però, con un accento più elastico” si vuol dire che la previsione citata deve essere presa a modello ma essere ad ogni modo impiegata mutatis mutandis: cioè, non esclusivamente secondo le cadenze penalistiche, dato che il giudizio di proporzionalità si applica anche in settori e ambiti giuridici diversi da quello criminale; e altresì visto che è immaginabile l’esistenza di ipotesi residuali – o meglio, eccezionali – in cui potrebbe ammettersi il raffronto tra fattispecie che non regolano la stessa materia, così derogando alla coordinata processuale da noi proposta.