ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mar, 9 Feb 2016

Forme di lavoro flessibili: il Job on call

Francesca Angotti


Disciplina e aspetti applicativi del Job on call (o contratto di lavoro intermittente o a chiamata), alla luce del D.lgs. 15 Giugno 2015 n. 81 sul riordino dei contratti di lavoro.


Con l’intento di assecondare i mutamenti socio-economici, incrementare i livelli di produttività e contrastare la disoccupazione, soprattutto tra le fasce deboli del mercato (donne, giovani e anziani), il legislatore italiano ha introdotto, nei primi anni del decennio passato, alcune forme contrattuali flessibili.

Con l’intento di assecondare i mutamenti socio-economici, incrementare i livelli di produttività e contrastare la disoccupazione, soprattutto tra le fasce deboli del mercato (donne, giovani e anziani), il legislatore italiano ha introdotto, nei primi anni del decennio passato, alcune forme contrattuali flessibili.

Il job on call (o contratto di lavoro intermittente o a chiamata) nasce con la Legge Biagi (d.lgs. n. 276/2003), sulla falsariga dell’esperienza anglosassone e con l’obiettivo precipuo di contrastare le crescenti preoccupazioni occupazionali.

Servendosi di questo particolare strumento contrattuale, infatti, il datore di lavoro può rivolgersi al lavoratore ed esigerne la prestazione “all’occorrenza”, modulando la richiesta in base alle proprie esigenze.

Che il contratto in esame abbia natura subordinata, si evince dal fatto che l’organizzazione e la direzione della prestazione lavorativa rientrano nella piena disponibilità del datore.

Non solo. La Giurisprudenza di legittimità ha ricordato, in svariate occasioni, che i caratteri di discontinuità, saltuarietà ed occasionalità della prestazione non escludono la natura subordinata della stessa quando connessi allo svolgimento di mansioni per le quali rileva il coordinamento con gli altri dipendenti e l’assoggettamento del lavoratore alle direttive specifiche del datore di lavoro (Cassazione Civile sent. n. 58/2009), come avviene, difatti, nel lavoro a chiamata.

La legge prevede due distinte forme di lavoro intermittente.

Può, infatti, aversi un contratto tra le parti con obbligo di disponibilità, in base al quale, mediante l’apposizione di una clausola accessoria, il lavoratore è obbligato a restare a disposizione del datore di lavoro se e quando quest’ultimo lo richiede; in tali casi è riconosciuta al lavoratore una indennità mensile di disponibilità.

Qualora, invece, si opti per un contratto a chiamata senza obbligo di disponibilità, il lavoratore non ha il dovere di rispondere alla chiamata del datore di lavoro, essendo libero di rifiutare la prestazione offerta.

L’attuale disciplina del job on call si rinviene negli artt. 13 – 18 del Decreto Legislativo n. 81/2015 attuativo del Jobs Act, il quale ha confermato integralmente quanto disposto in materia dalla Legge Biagi.

Invero, il decreto legislativo suddetto reca la disciplina organica di riordino dei contratti di lavoro e, mantiene inalterato, nel caso che ci occupa, l’impianto originario del lavoro intermittente, introducendo ben poche modifiche significative.

L’art. 13 definisce il contratto di lavoro intermittente comeil contratto, anche  a tempo  determinato,  mediante  il  quale  un  lavoratore  si  pone  a disposizione di un  datore  di  lavoro  che  ne  può  utilizzare  la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con  riferimento alla   possibilità   di   svolgere   le   prestazioni   in   periodi predeterminati nell´arco della settimana, del mese  o  dell´anno.  In mancanza di contratto collettivo,  i  casi  di  utilizzo  del  lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro  e delle politiche sociali.”

Il contratto in esame può essere stipulato per l’utilizzo con giovani di età inferiore a  24  anni,  purché  le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno,  ovvero con lavoratori con  più di 55 anni.

Ad eccezione  dei  settori  del  turismo,  dei pubblici  esercizi, dello  spettacolo e della moda (settori in cui, peraltro, è più frequente il ricorso a questa tipologia contrattuale)  il  contratto  di   lavoro intermittente e´ ammesso, per ciascun lavoratore  con  lo stesso datore di lavoro, per un periodo  complessivamente non  superiore  a 400 giornate di  effettivo  lavoro  nell´arco  di  tre  anni solari. In caso di  superamento  del  predetto  periodo  il  relativo rapporto si trasforma in un rapporto  di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

Nei periodi in cui non ne viene utilizzata la  prestazione, il lavoratore intermittente non matura alcun trattamento economico e normativo, salvo che abbia garantito al datore di lavoro la propria disponibilità a rispondere alle chiamate. Solo in quest’ultimo caso, al lavoratore spetta l´indennità di disponibilità di cui all´articolo 16 dello stesso decreto.

Il job on call non è utilizzabile per i lavoratori alle dipendenze della P.A. ed è, altresì, vietato il ricorso allo stesso, in alcune ipotesi espressamente previste dall’art. 14 del decreto, ossia:

  1. per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  2. presso unità produttive nelle quali si e´ proceduto, entro  i sei  mesi  precedenti,  a  licenziamenti  collettivi  a  norma  degli articoli 4 e 24 della  legge  23  luglio  1991,  n.  223,  che  hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui  si  riferisce il contratto di lavoro intermittente, ovvero presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una  riduzione dell´orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si  riferisce  il  contratto  di lavoro intermittente;
  3. ai datori di lavoro che non hanno  effettuato  la  valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della  salute  e della sicurezza dei lavoratori.

Per quanto attiene ai requisiti formali, il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in  forma scritta solo ai fini della prova di alcuni elementi quali:

  •  durata ed ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto a norma dell´articolo 13;
  •  luogo  e  modalità   della   disponibilità,  eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso  di  chiamata  del lavoratore, che non può essere inferiore ad un giorno lavorativo;
  • trattamento economico e normativo spettante al lavoratore  per la prestazione eseguita e relativa indennità di disponibilità,  ove prevista;
  • forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere  l´esecuzione  della  prestazione  di  lavoro,  nonché modalità di rilevazione della prestazione;
  • tempi e modalità di  pagamento  della  retribuzione  e  della indennità di disponibilità;
  • misure  di  sicurezza  necessarie  in  relazione  al  tipo  di attività dedotta in contratto.

Fatte  salve  le  previsioni  più favorevoli  dei   contratti collettivi, il datore di lavoro e´ tenuto  a  informare  con  cadenza annuale le RSA e le RSU sull´andamento del ricorso al contratto di  lavoro intermittente.

Quanto invece all’indennità mensile di disponibilità - che trova un riferimento normativo nell’art. 16 del D.lgs de quo -, la misura della stessa, divisibile in quote orarie, e´ determinata dai contratti  collettivi  e  non  e´ comunque inferiore all´importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Resta chiaro che in caso di malattia o di altro evento che gli renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata il lavoratore e´ tenuto a  informarne tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell´impedimento, durante il quale non  matura il  diritto  all´indennità di  disponibilità.

Qualora  non  provveda alla comunicazione immediata, il lavoratore perde il diritto all´indennità per un  periodo  di  quindici  giorni,  salvo diversa previsione del contratto individuale.

Il rifiuto  ingiustificato  di  rispondere  alla  chiamata  può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto.

L’indennità di disponibilità non rileva ai fini del calcolo per il TFR, né per la determinazione della tredicesima o degli altri emolumenti assimilati.

La Suprema Corte di Cassazione, circa la disponibilità del lavoratore, ha chiarito, con un recente arresto, che “a fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, pur non potendosi equiparare a lavoro effettivo, deve, comunque, trovare adeguato compenso, tenendo conto di un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l´incidenza sulla possibilità di attendere ad altre attività, il tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro "a comando", l´eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione. (Cassazione civile, sez. lav., 05/11/2014,  n. 23600)

Come avviene per le altre forme di lavoro flessibile, anche in questa ipotesi il legislatore ribadisce il principio di non discriminazione, nella variante di "riproporzionamento" in relazione al trattamento economico e normativo.

Il lavoratore intermittente, infatti, non deve ricevere,  per  i  periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un trattamento  economico  e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore  di pari livello. Il  trattamento  economico,  normativo  e   previdenziale   del lavoratore  intermittente,  è  riproporzionato  in   ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in  particolare  per quanto riguarda l´importo della retribuzione globale e delle  singole componenti di  essa,  nonché  delle  ferie  e  dei  trattamenti  per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale.

Infine, per concludere l’analisi sugli aspetti tecnici del job on call, il datore di lavoro deve effettuare, oltre alla comunicazione obbligatoria pre-assuntiva, anche una comunicazione amministrativa prima di ogni chiamata del lavoratore. Sulla scorta di quanto disposto dal Decreto ministeriale D.M.27/03/2013 entrato in vigore in data 3.7.2013), infatti, prima dell´inizio della  prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata mediante il nuovo modello “UNI-Intermittente” da compilarsi esclusivamente tramite strumenti informatici.

In concreto, il modello in questione può essere trasmesso:

  • via e-mail all´indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) appositamente creato;
  • tramite il servizio informatico reso disponibile sul portale www.cliclavoro.gov.it;
  •  con un SMS contenente almeno il codice fiscale del lavoratore: tale modalità, tuttavia, è utilizzabile solamente in caso di prestazione da rendersi entro le 12 ore dalla comunicazione;
  • tramite FAX indirizzato alla DTL competente ma solamente in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici; in tal caso il datore o il suo consulente devono conservare, ai fini della prova, la comunicazione di malfunzionamento del sistema. La comunicazione a mezzo fax è valida alle condizioni sopra descritte, anche qualora la ricezione non sia stata possibile per cause imputabili alla DTL (previa esibizione della relativa ricevuta di trasmissione).