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Pubbl. Mar, 26 Gen 2016

Responsabilità del comune per fatto dei Servizi Sociali e risarcimento del danno non patrimoniale

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Fabio Zambuto


La questione affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza in commento concerne l’eventuale sussistenza in capo al Comune della responsabilità ex art. 2049 c.c. per fatto dei Servizi Sociali, nell’ipotesi di allontanamento ingiusto di una minore dalla casa familiare, emesso ex art. 403 del c.c., nonché la possibilità per i genitori di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale patito. Nota a Corte di Cassazione, Sez. III Civile, Sentenza 9 giugno – 16 ottobre 2015, n. 20928 Pres. Salmé – Rel. Lanzillo.


1. Il Caso

Una maestra, avendo cominciato a sospettare che una propria alunna potesse essere molestata sessualmente dal padre, aveva sollecitato l’intervento dei Servizi Sociali.

Questi, basandosi unicamente sulle dichiarazioni della maestra, avevano quindi chiesto ed ottenuto dal Sindaco un provvedimento, emesso ai sensi dell’art. 403 c.c., di allontanamento della minore dalla casa familiare e di affidamento al Comune.

Per effetto del citato provvedimento ex art. 403 c.c., la minore era stata separata ed allontanata dai propri genitori (a cui, peraltro, per diverso tempo era stato negato anche solo il diritto di visita della propria figlia), dunque, con conseguente effetto grave e traumatico.

Il provvedimento ex art. 403 c.c. emesso dal Sindaco, era stato poi ‘ratificato’ dal Tribunale per i Minorenni territorialmente competente che aveva, poi, svolto ulteriori accertamenti ed indagini.

Da qui la sorpresa.

Tramite CTU, ed in particolare mediante gli accertamenti condotti nei sei mesi in cui la bambina era stata allontanata dalla famiglia, non erano emersi elementi compatibili con la possibile sussistenza di molestie sessuali ai danni della minore, né contenuti atti a far ipotizzare disturbi della personalità od altri aspetti patologici.

Il Tribunale per i Minorenni, così, aveva ordinato la riammissione della bambina presso la propria famiglia d’origine.

A questo punto, i genitori, avevano citato in giudizio il Comune, in persona del Sindaco, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2049 c.c., in relazione al comportamento illecito degli addetti ai Servizi Sociali.

La domanda risarcitoria, accolta in primo grado dal Tribunale di Monza e confermata anche in secondo grado dalla Corte territoriale, è stata impugnata dal Comune innanzi alla Corte di Cassazione.

2. Cenni sul danno non patrimoniale

Preliminarmente, per meglio comprendere la decisione della Suprema Corte, appare opportuno svolgere brevi considerazioni in ordine al danno non patrimoniale.

Esso Consiste nella lesione di interessi giuridicamente rilevanti cagionata secondo le regole degli articoli 2043 ss c.c.. T

ale danno è diverso da quello economicamente valutabile secondo parametri oggettivi, andando a incidere invece sulla sfera psichica ed emotiva del soggetto attraverso la lesione di un bene della vita che non costituisce di per sé pregiudizio economico ma che, in caso di lesione, ha egualmente diritto al risarcimento, al pari di un danno materiale o corporale.

Punto di snodo fondamentale nella elaborazione concettuale del danno non patrimoniale è costituito dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008, le quali, in primo luogo, hanno affermato l’unitarietà del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., riunendo sotto questa unica definizione tre tipi di danno distinti che si erano andati delineando nel corso del tempo.

Si tratta delle figure di danno biologico, morale ed esistenziale, non più risarcibili come figure autonome di danno, ma da utilizzarsi in via autonoma solo a livello descrittivo.

In particolare, le S.U. hanno definito il danno morale come una sofferenza legata al reato, sofferenza momentanea o permanente. In passato, al contrario, si faceva riferimento ad una sofferenza momentanea, transitoria.

Diversamente, il danno esistenziale viene adesso definito come peggioramento areddituale della qualità della vita.

Invece, il danno biologico, viene definito come la lesione dell’integrità psico-fisica della persona, comprensiva di tutti gli aspetti dinamico-relazionali, e suscettibile di accertamento medico legale. Con riferimento a quest’ultima figura di danno, va precisato che mentre in precedenza, a livello concettuale, si faceva riferimento alle leggi di settore, che avevano una sfera di applicazione limitata, nel 2008, le S.U. hanno generalizzato quelle definizioni: cioè hanno accolto come definizione generica, valevole in ogni contesto normativo, quelle definizioni di settore o il loro significato più sostanziale.

Le pronunce suddette hanno inoltre statuito che l’articolo 2059 è legato all’articolo 2043 da un rapporto di genere a specie; in sostanza, l’art. 2059 rientra all’interno del sistema della responsabilità civile come  espressione del 2043.  Ciò significa che per ritenere risarcibile un danno non patrimoniale ai sensi dell’articolo 2059, è necessario che si configurino tutti gli elementi strutturali del 2043.

Tra questi, vi è l’ingiustizia del danno.

Si tratta di un’ ingiustizia costituzionalmente qualificata, che si configura in due casi: - nell’ipotesi di “caso previsto dalla legge” (art. 185 c.p. e altre leggi che si sono succedute nel tempo in cui è stata sancita l’espressa risarcibilità del danno non patrimoniale); in caso di lesione di un diritto inviolabile costituzionalmente garantito .

La dottrina e la giurisprudenza costituzionale affermano che sono inviolabili i diritti: a carattere personale; a contenuto non economico; che afferiscono ad un aspetto fondante della dignità umana. Per la Giurisprudenza Costituzionale, sono diritti inviolabili: i diritti alla personalità, il Diritto alla vita, all’ onore, alla reputazione, alla riservatezza, le cd. libertà negative, si discute per i diritti sociali.

Affinchè si possa risarcire un danno non patrimoniale, è necessario altresì che vi sia un’offesa grave e non già minima. Le S.U. hanno definito l’offesa grave come la gravità della lesione dell’interesse protetto e la serietà del danno, cioè danno di una certa consistenza, non futile, non minimo.

Il principio di gravità dell’offesa è frutto di bilanciamento di interessi: da un lato, il principio di solidarietà nei confronti della vittima, dall’altro, quello di tolleranza nei confronti dei pregiudizi futili.   Infine, va ricordato che il danno non patrimoniale è risarcibile anche nelle ipotesi di responsabilità per inadempimento.

3. La decisione della Suprema Corte

Gli aspetti interessanti della decisione della Corte sono due:

  • La portata chiarificatrice del contenuto dell’art. 403 c.c.
  • L’affermazione della responsabilità risarcitoria del Comune per fatto dei Servizi Sociali quali propri dipendenti ex art. 2049 CC.

4. La portata chiarificatrice del contenuto dell’art. 403 c.c.

Sotto il primo profilo, la Corte di Cassazione, con un taglio innegabilmente critico rispetto all’operato dei Servizi Sociali in questione, ha chiarito che il potere del Sindaco di intervenire direttamente sull’ambiente familiare ai sensi dell’art. 403 c.c., è previsto per i casi di “abbandono morale e materiale” (trascuratezza, mancanza di cure essenziali, percosse, ambiente insalubre o pericoloso, ecc.) ed in genere per situazioni di disagio minorile che siano palesi, evidenti o comunque di agevole e indiscutibile accertamento, al fine di adottare in via immediata i provvedimenti di tutela contingibili e urgenti, che si appalesino necessari.

L’autorità amministrativa non ha invece, secondo la Corte, poteri di indagine e di istruttoria sul singolo caso dovendosi l’ente amministrativo in tali casi rivolgersi – ovviamente con la tempestività e l’urgenza del caso – alle istituzioni specificamente competenti in materia, quali il Tribunale per i minorenni e, se del caso, il Pubblico Ministero.

Ulteriormente, la Suprema Corte ha affermato che si è a suo tempo discusso se la L. 4 maggio 1983, n. 184, sull’adozione speciale, ed in particolare l’art. 2 della legge stessa, relativo all’affidamento a terzi dei minori privi di un ambiente familiare idoneo, avesse implicitamente abrogato l’art. 403 c.c., e la soluzione è stata negativa proprio in base al rilievo che l’art. 403 si riferisce esclusivamente agli interventi urgenti, da realizzare nella fase anteriore ai provvedimenti relativi all’affidamento e che deve essere per il resto coordinata con le disposizioni della legge sull'adozione speciale, il cui art. 9 impone ai pubblici ufficiali, agli incaricati di pubblico servizio ed in genere al personale che venga a conoscenza di situazioni di pregiudizio per il minore di segnalare tali situazioni al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, a cui spetta il compito si procedere alle relative indagini (cfr. Cass. civ. Sez. 1, 10 agosto 2007 n. 17648).

5. L’affermazione della responsabilità risarcitoria del Comune per fatto dei Servizi Sociali quali propri dipendenti ex art. 2049 CC.

Quanto al secondo profilo, ossia quello della responsabilità risarcitoria del Comune per fatto dei Servizi Sociali, nella sentenza, la Corte di Cassazione, non ha esitato nel condividere il giudizio della Corte di Appello secondo cui il personale del Comune è incorso da un lato in imperizia nel gestire la vicenda, facendo affidamento sui sospetti di persona priva della competenza richiesta per la valutazione del caso, anziché percepire la delicatezza della situazione e la necessità di procedere ad ulteriori ed approfondite indagini da parte degli organi giudiziari competenti; dall’altro lato in negligenza ed incuria, avendo – su tali precarie basi – sollecitato un provvedimento grave e traumatico quale l’allontanamento della minore dalla famiglia per vari mesi.

Difatti ha chiarito che il Comune è stato chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c., sulla base di una fattispecie di responsabilità che gli è addebitabile oggettivamente, per effetto della condotta colposa dei suoi dipendenti, nell’esercizio delle loro specifiche incombenze.

Irrilevante è il fatto che il provvedimento (ex art 403 c.c.) non sia stato impugnato o annullato, perché non esso, bensì i suoi presupposti, cioè il comportamento colposo degli operatori dei Servizi sociali, del cui comportamento il Comune è tenuto a rispondere, costituiscono la ragione della condanna.

Da ultimo, in ordine alla risarcibilità del danno non patrimoniale e alle voci di danno, la Corte ha precisato che la giurisprudenza del 2008 non ha cancellato il danno morale per riassorbirlo nel danno biologico, ma ha solo disposto che si provveda alla liquidazione congiunta delle varie voci di danno, ferma restando la necessità che la somma complessivamente liquidata sia adeguata.

La fattispecie del danno morale come "voce autonoma", integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale, ha trovato del resto conferma e rinnovato riconoscimento negli interventi normativi - quali il D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, e il D.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181 - che distinguono, concettualmente ancor prima che giuridicamente, tra danno c.d. biologico e danno morale.

Da tale distinzione, quindi, il giudice di merito non può prescindere, trovando essa la sua giustificazione in una fonte abilitata a produrre diritto (Cass. civ. Sez. 3, 12 settembre 2011 n. 18641; Cass. civ. Sez. 3, 12 dicembre 2008 n. 20191. Parimenti, nel senso che il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non patrimoniale al pari di quello biologico, non è compreso in quest'ultimo e va liquidato autonomamente, Cass. civ. Sez. 3, 3 ottobre 2013 n. 22585; Cass. civ. Sez. Lav. 16 ottobre 2014 n. 21917).