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Pubbl. Gio, 5 Dic 2024
Sottoposto a PEER REVIEW

L´istituto del dibattito pubblico in seno alle procedure ad evidenza pubblica

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autori Mario Tocci ,



Il dibattito pubblico è un importante istituto di programmazione nonché un rilevante strumento di democrazia partecipativa, anzi deliberativa. Già delineato sia nel diritto internazionale che in quello euro-unitario, esso è stato regolamentato nell’ordinamento giuridico italiano a decorrere dal pre-vigente codice dei contratti pubblici. Il presente articolo, dopo un ampio excursus sulla disciplina domestica e sovranazionale, ne illustra l’attuale regolamentazione, con uno sguardo attento alle effettive criticità e non senza rinunciare alla formulazione di alcune proposte migliorative.


ENG

The legal arrangement of the public debate in order to the public tendering procedures

The public debate is an important legal arrangement of planning, as well as an instrument of participatory – actually deliberative – democracy. Already outlined both in the international law and in the European law, it has been regulated in the Italian law from the older Public Procurement Code. This paper, after an historical overview about the domestic and the supra-natonal regulatory frameworks, aims to explain the current legal regulation, with an attentive look towards some real critical issues and the implementation of a few reformative improvements.

Sommario: 1. Il dibattito pubblico quale strumento di democrazia partecipativa, anzi deliberativa; 2. Il dibattito pubblico nel diritto internazionale e nel diritto euro-unitario; 3. Il dibattito pubblico nel pre-vigente codice dei contratti pubblici; 4. Il dibattito pubblico nella legislazione emergenziale da pandemia da Covid-19; 5. Il dibattito pubblico nel vigente codice dei contratti pubblici; 6. Criticità attuali, tra problematiche apparenti e fondate perplessità; 7. Osservazioni conclusive (e idee de jure condendo).

1. Il dibattito pubblico quale strumento di democrazia partecipativa, anzi deliberativa

Nessuno avrebbe, negli anni scorsi, prestato credito a un’eventuale premonizione di chicchessia circa l’inserimento del dibattito pubblico – o, più semplicemente di un confronto con i consociati dell’ordinamento giuridico – nel novero degli strumenti decisionali dell’amministrazione pubblica.

Evidentemente, infatti, il paradigma procedimentale amministrativo – come disciplinato dalla Legge 241/1990, siccome espressiva dei principi fondamentali di buon andamento e imparzialità ex art. 97 Cost. (1) – è stato ab origine impostato sulla contemplabilità, sia pure tendenziale e non generalizzata, della facoltà di intervento di qualsivoglia portatore d’interessi tanto privati quanto pubblici e diffusi, purché suscettibile di subire un pregiudizio conseguente all’esercizio dell’azione amministrativa (2), per vero non già collaborativa, ossia tale da arricchire il quadro dei dati preordinati e delle valutazioni prodromiche all’assunzione della decisione, ma meramente conflittuale, in quanto volta a preservare l’interesse agitato dall’interventore da potenziali menomazioni provvedimentali (3).

L’idea di prevedere un’istruttoria pubblica generalizzata, dunque peculiare all’iter di qualsivoglia atto amministrativo, era stata avanzata, al momento dello svolgimento dei lavori preparatori della normativa di riferimento del procedimento amministrativo (4), dalla Commissione di Studio formata all’uopo e presieduta dal prof. Mario Nigro, nondimeno venendo avvalorata dal Consiglio di Stato (5).

La modalità interlocutoria poi prescelta dal legislatore è stata ritenuta bastevole a costruire un modello effettivo di democrazia partecipativa (6), che, tuttavia, proprio in ragione dei prefati limiti di coinvolgimento decisionale dei cittadini, ha mostrato la propria insufficienza al raggiungimento dell’ideale dimensione della democrazia rappresentativa (7).

E, allora, fin dall’emanazione del pre-vigente codice dei contratti pubblici, di cui al D. Lgs. 50/2016, il legislatore si è mosso in un’altra direzione, quanto meno nei procedimenti amministrativi finalizzati al compimento di grandi opere pubbliche, onde escludere che la relativa progettazione conseguisse a scelte "dall’alto” e sancire, piuttosto, un diverso modello idoneo a coinvolgere, facoltativamente ovvero doverosamente a seconda dei casi, le comunità territoriali destinatarie degli effetti delle opere medesime (8).

Si è pertanto passati, almeno in seno a talune procedure ad evidenza pubblica, da un modello di democrazia partecipativa ad un modello di democrazia deliberativa, laddove la seconda è sincretisticamente un diverso e più approfondito modo di realizzazione della democrazia rappresentativa (9); pertanto non rivestendo pregio, a parere di chi scrive, le tesi dottrinarie di chi abbia voluto vedere un rapporto di genere a specie (10) o di specie a genere (11).

La prefata transizione, tuttavia, non si è verificata in ordine a tutti i procedimenti amministrativi, che invece e piuttosto dovrebbero esserne riguardati.

Difatti, obiettivo precipuo della democrazia rappresentativa in senso ampio è l’esplorazione delle opinioni sussistenti nella società civile quanto alle pubbliche decisioni da adottare, attraverso l’uso di un metodo caratterizzato dall’inclusione e, come tale, in grado di salvaguardare sia interessi legittimi sia diritti soggettivi. Col risultato, pressoché immediato, dell’interazione fra popolo e istituzioni (12), generativo di coinvolgimento diretto del primo nei processi decisionali delle seconde (13), indi attributivo di più ampio potere al popolo nell’attuazione delle scelte pubbliche, in vista dell’ottenimento di maggior consenso della collettività (14) e più capillare senso di giustezza delle decisioni a queste afferenti (15), marcatamente assorbenti delle istanze del demos (16). Senza che ciò comporti una rinuncia dell’autorità pubblica al proprio potere, invece differentemente esercitato secondo un approccio bottom-up anziché solipsistico (17).

La democrazia deliberativa richiede comunque una puntuale e attenta regolamentazione, dovendosi evitare una mera integrale sostituzione del decisore pubblico, quantunque deputato a vagliare – vieppiù tecnicamente e giuridicamente – le opzioni suggerite dal basso, con l’insieme dei cittadini (18).

Già prima del 2016 nell’ordinamento giuridico italiano esisteva un istituto assimilabile al dibattito pubblico di cui si sta discettando, ossia l’inchiesta pubblica disciplinata dalle disposizioni degli artt. 24 e 24 bis del codice dell’ambiente, di cui al D. Lgs. 152/2006 (19), in materia di valutazione d’impatto ambientale; epperò, dapprima, esso era stato plasmato per accendere un contraddittorio pressoché cartolare con i soli interessati, dipoi venendo coordinato con quello e segnatamente diventandovi succedaneo in caso di mancata indizione.

A tutt’oggi, comunque, le modalità di svolgimento dell’inchiesta pubblica non risultano normate.

2. Il dibattito pubblico nel diritto internazionale e nel diritto euro-unitario

Nel contesto del diritto internazionale, il concetto del dibattito pubblico inerisce alla partecipazione dei cittadini all’elaborazione delle politiche in materia ambientale.

La Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo del 1992 abbraccia, al Principio 10, un postulato di vasta portata in ordine al coinvolgimento del pubblico nelle decisioni ambientali, contemplando tanto l’opportunità di partecipare attivamente ai vari processi decisionali quanto la necessità di garantire un effettivo accesso alle informazioni e la possibilità di esperire azioni giudiziali e amministrative (20); nondimeno, al Principio 22, propone un orientamento alquanto inclusivo riguardo al coinvolgimento attivo di comunità locali e popolazioni indigene, presupponendo il ruolo cruciale di queste nella promozione e nella gestione dell’ambiente (21).

Insomma, si può concordare con chi ha sostenuto che la Dichiarazione di Rio abbia per prima enunciato l’assioma della doverosità della partecipazione pubblica nelle decisioni impattanti sull’ambiente (22) e dell’indefettibilità del riconoscimento del diritto sostanziale all’ambiente attraverso di esso (23).

La Convenzione di Aarhus sull’accesso all’informazione e sulla partecipazione dei cittadini alla giustizia in materia ambientale del 1998 si basa su una concezione di vera e propria democrazia ambientale, enfatizzando la strumentalità del coinvolgimento diretto della cittadinanza al perseguimento di obiettivi di tutela dell’ambiente quale bene pubblico (24) e contestualmente rafforzando i diritti partecipativi di carattere procedurale (25).

La Convenzione non regolamenta in modo esplicito il dibattito pubblico; tuttavia, lo contempla implicitamente allorché, al disposto del par. 7 dell’art. 6, sancisce che le procedure partecipative debbano consentire al pubblico la presentazione, tanto per iscritto quanto in occasione di audizioni oppure indagini pubbliche, di eventuali osservazioni, informazioni, analisi o pareri.

D’altronde, il dibattito e le udienze pubbliche sono considerati dalle Raccomandazioni di Maastricht mezzi idonei ad assicurare l’appropriatezza della partecipazione pubblica alle decisioni concernenti piani e programmi ambientali (26).

Il Regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale contempla, al disposto del par. 4 dell’art. 9, la possibilità di organizzare riunioni o audizioni riguardo a piani e programmi in materia ambientale (27).

Non trascurabile è la rendicontazione affidata all’Agenzia Europea dell’Ambiente – iuxta disposto del punto 3 del par. 1 dell’art. 2 del Regolamento (CEE) del Consiglio, del 7 maggio 1990, sull’istituzione della medesima e della rete europea d’informazione e di osservazione in materia ambientale – delle pressioni esercitate.

L’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione di Aarhus ha prodotto due effetti: da un lato, ha fatto divenire le relative norme parte integrante del diritto comunitario (28), nel quadro del fenomeno di “europeizzazione” del diritto pattizio internazionale (29); dall’altro, ha compulsato normazione secondaria, come la Direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, atta a prevedere la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale, ove il combinato disposto delle lettere b e c del par. 2 dell’art. 2 abilita il pubblico ad esprimere osservazioni e pareri – di obbligatoria valutazione – ad opzioni ancora aperte prima dell’adozione di decisioni.

3. Il dibattito pubblico nel pre-vigente codice dei contratti pubblici

Il D. Lgs. 50/2016 contemplava, al disposto dell’art. 22, rubricato “Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico”, l’istituto ora in via di analisi, vieppiù demandando a un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, poi effettivamente emanato col n. 76/2018 (30), la statuizione di criteri di individuazione delle procedure che dovessero esserne riguardate.

Per vero, la preordinata legge delega, recante il n. 11/2016, aveva statuito, al disposto dell’art. 1, comma 1, lett. qqq, “l’introduzione di forme di dibattito pubblico delle comunità locali dei territori interessati dalla realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull’ambiente, la città o sull’assetto del territorio, prevedendo la pubblicazione on line dei progetti e degli esiti della consultazione pubblica”, soggiungendo l’ingresso delle “osservazioni elaborate” in sede consultiva pubblica all’interno della valutazione prodromica alla “predisposizione del progetto definitivo”.

Col parere n. 855/2016 il Consiglio di Stato aveva definito il dibattito in questione alla stregua di “uno strumento essenziale di coinvolgimento delle collettività locali nelle scelte di localizzazione e realizzazione di grandi opere”.

Nondimeno, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 235/2018, lo aveva ritenuto un prezioso strumento della democrazia partecipativa e una fondamentale tappa nel cammino della cultura della partecipazione”.

Ad ogni modo, l’art. 22 del D. Lgs. 50/2016 obbligava i committenti a pubblicare nel proprio profilo “i progetti di fattibilità relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale” – di cui, appunto, al disposto dell’art. 1, comma 1, lett. qqq della preordinata (e citata) legge delega – “nonché gli esiti della consultazione pubblica, comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse”.

La norma rispondeva all’esigenza di coniare una regolamentazione di livello nazionale sulla realizzazione delle grandi opere (31), anche per uniformarne la disciplina dopo le singole iniziative legislative di talune Regioni (32) e pragmatiche di qualche stazione appaltante (33).

Ed era chiaramente ispirata al modello francese del débat public di cui alla loi Barnier del 1995 (34), nato allo scopo di prevenire opposizioni funzionali a ritardare o bloccare la realizzazione di opere indefettibili per lo sviluppo, o, comunque, la ripresa economica dei territori, quali quelle proprie degli atteggiamenti da “sindrome Nimby (Not In My Back Yard)” posti in essere da coloro che osteggiano l’installazione delle prefate opere nei territori di propria residenza sebbene riconoscendone la desiderabilità sociale (35), e antitetica – anzi, a parere di chi scrive, antidotica addirittura – al comportamento DAD (Decide, Announce, Defende), in cui l’Amministrazione decide unilateralmente, senza alcuna interfaccia, così trovandosi poi costretta a difendere la decisione senza poter apportare alcun miglioramento (36).

Non v’è poi chi non veda che proprio in Francia, durante l’ancien régime, era prevista l’enquête de commodo et incommodo, circa la percepita utilità o meno di una pianificata opera pubblica, i cui risultati potevano influenzare il decisore politico (37).

Al netto della disposizione attuativa, l’art. 22 del pre-vigente codice dei contratti pubblici presentava tre profili problematici: la circoscrizione del momento dello svolgimento del dibattito, la delimitazione degli oneri finanziari di sua attivazione e la perimetrazione delle attività gestorie di esso.

In virtù della lettura del combinato disposto degli artt. 22 e 23 del D. Lgs. 50/2016 era plausibile ritenere che l’instaurazione del dibattito pubblico “al momento della presentazione dello studio di fattibilità” lo collocasse nella fase preliminare del cosiddetto “documento delle alternative” ove tutte le scelte risultassero ancora possibili, compresa l’ipotesi “zero”, ossia di rinuncia alla realizzazione dell’opera; altresì, dunque, sovveniva conseguentemente la considerazione secondo cui gli oneri rientrassero nei costi di gestione, pertanto incombenti sulla stazione appaltante.

Circa la governance, invece, l’art. 22 del vecchio codice si fermava, nel rimando al D.P.C.M. attuativo, alla mera previsione dell’istituzione di una commissione nazionale, presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con i compiti di redigere apposite linee guida e tenere un sito internet atto a compendiare tutta la documentazione sui dibattiti svolti nonché relazionare alle Camere – pure mercè formulazione di proposte di correttivi ed integrazioni – sullo stato di attuazione della normativa.

Il regolamento attuativo sanciva l’obbligatorietà dell’indizione del dibattito pubblico esclusivamente in ordine alla realizzazione di opere a grande impatto sul territorio che travalicassero certe soglie dimensionali (38), facultando piuttosto taluni soggetti qualificati (39), purché direttamente interessati, a ottenerla ove le opere in questione fossero comprese tra le soglie della predetta obbligatorietà e i due terzi di essa, indi lasciando alla stazione appaltante mera e piena libertà di addivenirvi in tutti gli altri casi.

La gestione del dibattito era affidata a un coordinatore, deputato a stabilire -per poi indicare in un documento di progetto – i temi, il calendario degli incontri e le modalità di partecipazione.

Amplissima era la discrezionalità del coordinatore, per vero vincolato a curare la comunicazione e l’informazione al pubblico “in modo oggettivo e trasparente”, favorendo il confronto tra tutti i partecipanti e facendo emergere – senza preclusioni di sorta – tutte le posizioni in campo, anche attraverso il contributo di esperti.

La stazione appaltante pubblicava sul proprio sito internet un dossier illustrativo delle opportunità dell’intervento, delle soluzioni progettuali proposte e della valutazione dell’impatto – tanto sociale, quanto ambientale ed economico – dell’opera, redatto in un linguaggio chiaro e comprensibile (40).

Il termine di conclusione era fissato in quattro mesi, salvo proroga di ulteriori due in caso di necessità.

Il dibattito consisteva in incontri informativi, di approfondimento, discussione e gestione degli afferenti conflitti, nei territori coinvolti, oltre che nel raccoglimento di proposte e posizioni provenienti da cittadini, associazioni e istituzioni.

Spirato il termine conclusivo, entro trenta giorni, il coordinatore inviava una relazione conclusiva all’amministrazione aggiudicatrice, che, non oltre i successivi due mesi, elaborava e pubblicava un altro dossier finale, con l’obbligo di tener conto, prima di adottare la decisione, delle considerazioni emerse, da discutersi in conferenza dei servizi.

4. Il dibattito pubblico nella legislazione emergenziale da pandemia da Covid-19

Il D. L. 77/2021, ai più noto come “decreto Semplificazioni” (41), ha apportato, con l’art. 46, delle modifiche al regime normativo in materia di dibattito pubblico.

Anzitutto, è stato ampliato il novero delle opere il cui processo realizzativo sia assoggettabile al dibattito medesimo, in quanto si è prevista l’individuabilità, mercé decreto del Ministro delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili (illo tempore, oggidì Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), poi effettivamente adottato col n. 442/2021, di nuove soglie dimensionali.

Dipoi, per le opere di cui all’Allegato IV (42), si è intervenuti sull’iter procedurale (43): tutti i termini hanno visto una riduzione della metà, la durata massima è stata limitata a trenta giorni – con attribuzione alla Commissione Nazionale di poteri sostitutivi onde rimediare all’eventuale inerzia dell’Amministrazione aggiudicatrice – e, quanto al dibattito obbligatorio, si è deciso di fissare il momento di avvio contestualmente all’inoltro del progetto di fattibilità al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per l’acquisizione del parere obbligatorio di cui al disposto dell’art. 44 dello stesso D.L. 77/2021.

Infine, si è provveduto a “professionalizzare” la figura del coordinatore, mediante la creazione – a cura della Commissione Nazionale – di un elenco di soggetti idonei a rivestire tale ruolo.

Oggidì, per effetto del disposto del comma 7 dell’art. 40 del D. Lgs. 36/2023, le opere finanziate dal PNRR e dal PNC continuano ad essere disciplinate dal regime speciale de quo.

Non è mancato chi ha sostenuto che i tempi molto stretti delle speciali procedure di dibattito pubblico di cui al D.L. 77/2021 rappresentino un rischio di vanificazione della loro utilità (44).

5. Il dibattito pubblico nel vigente codice dei contratti pubblici

Il vigente codice dei contratti pubblici, di cui al D. Lgs. 36/2023, non abbandona l’istituto di cui stiamo discettando, per vero disciplinandolo nell’art. 40 e nell’Allegato I.6; quest’ultimo, tuttavia, destinato ad essere abrogato – iuxta disposto del comma 2 di quello – dal momento dell’entrata in vigore di un apposito regolamento mercé decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministri dell’ambiente e della cultura.

Tendenzialmente, al netto dei casi di obbligatorietà di cui all’Allegato I.6, per effetto del disposto del comma primo dell’art. 40, si prevede la facoltatività dell’indizione ad opera della stazione appaltante o dell’ente concedente, qualora ritenuta opportuna in considerazione della particolare rilevanza sociale dell’intervento e del suo impatto sull’ambiente e sul territorio, salva necessità di garanzia di celerità di svolgimento.

L’art. 1 dell’Allegato I.6 individua le opere soggette a dibattito obbligatorio, riprendendo in toto i contenuti del D.P.C.M. 76/2018; mentre il successivo art. 2 ne esclude l’attuabilità con riferimento alle opere di difesa e sicurezza della nazione, agli interventi manutentivi ovvero restaurativi oppure di adeguamento tecnologico o anche di mero completamento, ai progetti già sottoposti a procedure preliminari di consultazione pubblica sulla base di norme europee.

La Tabella 1 dell’Allegato I.6 contempla vieppiù alcune tipologie specifiche di opere, rispetto a cui, sussistendo determinate soglie dimensionali, il dibattito è comunque obbligatorio: autostrade, ferrovie, aeroporti, interporti, strutture di trasferimento e trattenimento delle acque; tali soglie, però, sono ridotte – dal disposto del comma primo dell’art. 40 – della metà ove gli interventi ricadano sul patrimonio culturale o naturale dell’UNESCO o, ancora, nei parchi nazionali e regionali e nelle aree marine protette.

Il dibattito inizia, ex artt. 40 comma terzo nonché 3 comma secondo dell’art. 5 dell’Allegato I.6, con la pubblicazione, nel sito istituzionale dell’organismo aggiudicatore, di una relazione sul progetto dell’opera e l’analisi di fattibilità delle eventuali alternative progettuali.

Siffatta relazione, al lume del disposto della lettera a del comma primo dell’art. 5 dell’Allegato I.6, deve essere scritta con linguaggio chiaro e comprensibile e contenere la motivazione dell’opportunità dell’intervento nonché la descrizione delle varie soluzioni progettuali proposte, comprensiva delle valutazioni degli impatti sociali, ambientali ed economici coerenti con le linee guida di cui all’art. 8 del D. Lgs. 228/2001.

A seguito dell’indizione, e nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della relazione, possono presentare, purché interessati alla realizzazione dell’intervento, osservazioni e proposte – a norma del disposto del comma quarto dell’art. 40 – le Regioni, gli altri enti territoriali e i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati statutariamente involti.

Per effetto del combinato disposto della lettera a del comma terzo dell’art. 4 e del comma terzo dell’art. 6 dell’Allegato I.6, le modalità di presentazione delle osservazioni e delle proposte sono stabilite dal responsabile del dibattito pubblico, cui spetta scegliere i temi di discussione e le modalità di partecipazione attraverso l’esclusivo utilizzo di strumenti informatici e telematici, derogabile soltanto nella ricorrenza di motivate esigenze di carattere oggettivo.

La conclusione è fissata, iuxta disposto del comma quinto dell’art. 40, nel termine di centoventi giorni dalla pubblicazione della relazione, con la redazione, da parte del responsabile, di un’altra relazione – di sintesi, per così dire – compendiativa di una sintetica descrizione delle pervenute osservazioni e proposte ed eventualmente indicativa di quelle ritenute meritevoli di accoglimento, da pubblicare sul sito istituzionale della stazione appaltante o dell’ente concedente.

I termini possono essere prorogati una sola volta e per la durata massima di due mesi, ove sussista comprovata e motivata necessità; la competenza appartiene al titolare del potere di indire il dibattito (ex art. 6, comma 2, dell’Allegato I.6).

Tanto l’indizione quanto la conclusione del dibattito devono essere, per effetto del disposto della lett. c del comma primo dell’art. 5 dell’Allegato I.6, comunicate dalla stazione appaltante o dall’ente concedente al Dipartimento per le opere pubbliche, le politiche abitative e urbane, le infrastrutture idriche e le risorse umane e strumentali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Altresì, il comma 1 dell’art. 5 dell’Allegato I.6 conferisce all’organismo aggiudicatore ulteriori funzioni di tipo informativo (lett. d), supportivo (lett. e) e finanziario (lett. f), oltre ad attribuirgli l’obbligo di redigere un documento conclusivo – quasi pre-provvedimentale, a parere di chi scrive – di enunciazione, al lume di quanto emerso, della volontà di realizzare o meno l’intervento, ovvero, in caso di proposito realizzativo, di eventuali modifiche da apportare nonché ragioni di confutazione di talune proposte (lett. f, in combinato disposto col comma 6 dell’art. 40).

A norma del disposto dell’art. 7 dell’Allegato I.6, spirato il termine di conclusione, il responsabile redige una relazione conclusiva – da pubblicarsi sui siti istituzionali dell’organismo aggiudicatore e degli enti locali interessati dall’intervento – che contiene la descrizione di tutte le prodromiche attività svolte.

Apprezzabile è la puntuale definizione, contenuta nell’art. 4 dell’Allegato I.6, della figura del responsabile del dibattito pubblico.

La nomina deve preferibilmente ricadere su un dipendente della stazione appaltante o dell’ente concedente, che possa vantare dimostrabile esperienza e competenza nella gestione di processi partecipativi oppure in gestione ed esecuzione di attività di programmazione e pianificazione in materia infrastrutturale, urbanistica, territoriale e socio-economica, nel termine di dieci giorni dall’indizione, a cura del responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa del medesimo organismo aggiudicatore, vieppiù facultato a chiedere che vi provveda il dicastero competente per materia tra i propri dirigenti; eccezion fatta per i Ministeri o la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in seno ai cui dibattiti pubblici non può fungervi che un dirigente esterno.

Qualora sia comprovata l’assenza di dirigenti pubblici nominabili, a siffatta funzione è idoneo ad assolvere un soggetto appositamente selezionato mercé procedura di appalto di servizi.

È da reputarsi che all’ipotesi di assenza vada altresì equiparata, nel silenzio del legislatore, la giustificabile indisponibilità, ancorché temporanea.

La valutazione delle competenze deve essere rigorosa e attenta, stante l’imprescindibiità di una figura altamente qualificata e, come tale, idonea a evitare il ripetersi dell’esecrabile (ma, purtroppo, in passato alquanto ricorrente) iattura della debolezza dei “corpi tecnici” dello Stato (45)

La residenza e il domicilio nel territorio della provincia o della città metropolitana di localizzazione dell’opera cui inerisce il dibattito pubblico sono preclusivi della nominabilità.

Le incombenze del responsabile del dibattito pubblico sono dettagliatamente tratteggiate, come via via illustrato in precedenza.

Da notare che il Legislatore ha inteso informare tutta la sua attività alla massima agevolazione del confronto fra tutti i partecipanti al dibattito.

6. Criticità attuali, tra problematiche apparenti e fondate perplessità

Sono state evidenziate dalla dottrina talune criticità in seno alla disciplina normativa vigente in materia di dibattito pubblico.

Esse sottendono, a parere di chi scrive, talora problematiche apparenti e talaltra perplessità fondate.

In particolare, gli studiosi si sono concentrati: sulla mancata contemplazione dell’opzione cosiddetta “zero”, sull’abolizione della commissione nazionale, sulla riduzione del perimetro dei soggetti portatori di interesse e sull’assenza di limiti ai poteri di sindacato giurisdizionale.

Quanto alla prima questione, v’è chi ha detto che nella normativa attuale non vi sarebbe spazio per discutere dell’abbandono del progetto in discussione (46).

La prospettazione, però, non convince.

Difatti, ai sensi del disposto della lett. f del comma primo dell’art. 5 dell’Allegato I.6, sulla stazione appaltante o sull’ente concedente incombe l’obbligo di indicare nella relazione conclusiva l’emersione della volontà o meno di realizzare l’intervento; inoltre, fra i valutabili esiti del dibattito – ex art. 40, comma sesto, del D. Lgs. 36/2023 – non è affatto escluso l’orientamento negativo dei partecipanti. Anzi, nulla appare mutato in proposito rispetto all’assetto delineato dal disposto dell’art. 22 del D. Lgs. 50/2016.

D’altronde, se non fosse contemplata l’opzione cosiddetta “zero”, tra i pilastri – espliciti – dell’archetipo francese (47), il dibattito pubblico diventerebbe, in dispregio al principio fondamentale di cui all’art. 97 Cost., e col rischio dell’induzione nella cittadinanza del convincimento del degradamento di essa a un ruolo poco incisivo e alquanto inerte (48), uno strumento meramente formale di asseverazione dal basso di decisioni assunte dall’alto (49).

Quanto alla seconda questione, è verosimile che la scelta legislativa di fare a meno della commissione nazionale sia legata a ragioni di risparmio di spesa pubblica.

Epperò, rebus sic stantibus, sembra facilmente evincibile che larga parte delle competenze già poste nella titolarità di siffatto organo pertengano oggidì al responsabile del dibattito pubblico.

Quanto alla terza questione, appare condivisibile il rilievo di chi ha ritenuto che attualmente risultano esclusi dal novero dei soggetti legittimati a partecipare al dibattito – contrariamente al passato, laddove il disposto dell’art. 22 del D. Lgs 50/2016 nessuna limitazione postulava – i cittadini singolarmente riuniti in associazioni o comitati occasionali, tali intendendosi quelli statutariamente coinvolti (50).

Tuttavia, anche questa asserzione non sembra cogliere nel segno. Ciò in quanto la correlazione tra interesse specifico e partecipazione al procedimento amministrativo, al netto della legitimatio ad interveniendum dei sodalizi esponenziali, a fortiori diventa essenziale nel dibattito pubblico onde evitare ingressi partecipativi meramente pretestuosi.

Quanto alla quarta questione, appare indubitabile l’esistenza del pericolo di uno smisurato aumento del contenzioso nelle procedure realizzative delle opere pubbliche; soprattutto in raffronto all’ordinamento francese, ove è soggetta a vaglio giurisdizionale soltanto la decisione sull’apertura, o meno, del dibattito, stanti però i particolari poteri regolatori della commissione nazionale nella sua qualità di vera e propria autorità amministrativa indipendente.

Ma non potrebbe ammettersi un assetto diverso, a meno di ricadere in patente o latente violazione del disposto dell’art. 24 Cost.

7. Osservazioni conclusive (e idee de jure condendo)

Il giudizio sull’istituto del dibattito pubblico non può che essere favorevole.

La partecipazione dei portatori (effettivi) di interesse enfatizza l’interazione fra cittadinanza e decisori, a tutto vantaggio di una programmazione amministrativa infrastrutturale davvero compatibile con le istanze e le esigenze dei consociati dell’ordinamento giuridico direttamente riguardatine e in direzione della prospettiva concreta della riduzione – se non addirittura dell’eliminazione – delle “resistenze” collettive all’uopo (51).

Perdipiù, l’aumento del numero delle infrastrutture realizzate, siccome previamente condivise dai soggetti tendenziali beneficiari o fruitori, sarebbe funzionale allo sviluppo, specialmente nelle aree meno floride (52).

E, nondimeno, il dibattito pubblico favorirebbe la realizzazione di opere idonee al soddisfacimento di valori fondamentali indefettibili (53).

D’altronde, oggidì, il dibattito pubblico attua appieno i principi del risultato e della fiducia, di cui, rispettivamente, alle disposizioni degli artt. 1 e 2 del D. Lgs. 36/2023.

Difatti, lo strumento di cui si discetta ben consente di addivenire alla stipula di un contratto pubblico attraverso l’ottimale allocazione delle risorse disponibili e nel minor tempo possibile (54), in una visione “neo-contabilistica” (55) pur non priva di scetticismi in ragione del paventato scivolamento verso il sacrificio delle finalità costituzionali dell’agere amministrativo pubblico (56); vieppiù rafforzando l’affidamento sulla Pubblica Amministrazione (57) e riducendo così le pavidità afferenti all’antipatico fenomeno della cosiddetta “burocrazia difensiva” (58) e della “fuga dalla decisione” (59).

De jure condendo, piuttosto, si potrebbero individuare due linee d’intervento del legislatore.

In primis, l’obbligatorietà della creazione di uno schema esplicativo delle tematiche dibattimentali, in modo da favorire la partecipazione dei portatori d’interesse e la delibazione dei vari interventi.

Secondariamente, la formalizzazione della possibilità di adottare, all’esito del dibattimento, strumenti di raccordo (segnatamente: di perequazione, incentivazione e compensazione) tra i predetti interessati e l’Amministrazione procedente (60).

E non si possono escludere, in futuro, quanto ai progetti di interesse eminentemente “localistico”, nuove leggi regionali (o delle Province Autonome), le quali, se – doverosamente – compatibili con le disposizioni nazionali, non potranno che fare assurgere il dibattito pubblico a istituto di programmazione irrinunciabile.


Note e riferimenti bibliografici

(1) In generale: R. Ferrara, La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Dir. Amm., 2017, 2, 209 ss.; R. Villata – G. Sala, Procedimento amministrativo, in Dig. disc. pubbl., vol. XI, Torino, 1996, 576 ss.; A. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996; P. Chirulli, La partecipazione al procedimento, in M. A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2023, 399. Sulla relazione tra l’istituto partecipativo e i principi costituzionali richiamati: U. Allegretti,L’imparzialità amministrativa, Padova, 1966; L. Carbone, Buon andamento della pubblica amministrazione e legge n. 241/1990, in Giorn. Dir. Amm., 1996, 12, 1145 ss.; M. R. Spasiano, Il principio di buon andamento, in M. A. Sandulli (a cura di), e F. Aperio Bella (coord.), Principi e regole dell’azione amministrativa, II, Milano, 2017, 47 ss.

Cons. St., sez. V, 24/03/2006, n. 1525.

(2) M. Timo, Gli attori del “dibattito pubblico”, in Giorn. Dir. Amm., 2019, 3, 302.

(3) G. Barone, I modelli di partecipazione procedimentale, in V. Cerulli Irelli (a cura di), Il procedimento amministrativo, Napoli, 2007, 124.

(4) Potrebbe essere utile consultare la raccolta dal titolo La riforma del procedimento amministrativo. I lavori preparatori della legge 7 agosto 1990 n. 241, in Testi Parlamentari, n. 12, edita dalla Camera dei Deputati, Roma, 1991.

(5) Si veda il parere reso dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato 19/02/1987 n. 7, ove si faceva presente l’opportunità di ampliare i confini dell’istruttoria procedimentale onde evitare di frustrare le aspettative della cittadinanza.

(6) U. Allegretti, Democrazia partecipativa, in Enc. Dir.Annali, IV, Milano, 2011, 295 ss.; S. Cassese, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche – Saggio di diritto comparato, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 2007, 1, 13 ss.

(7) A. Morelli, La democrazia rappresentativa: declino di un modello, Milano, 2015, 1 ss.

(8) A. Averardi, Amministrare il conflitto: costruzione di grandi opere e partecipazione democratica, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 2015, 4, 1173 ss.

(9) E. Rossi, Le finalità e gli strumenti della democrazia partecipativa nell’ordinamento giuridico italiano, in Dir. e Società, 2016, 507 ss.

(10) R. Bifulco, Democrazia deliberativa, in Enc. Dir.Annali, IV, Milano, 2011, 278.

(11) L. Bobbio, Dilemmi della democrazia partecipativa, in Democrazia e diritto, 2006, 4, 14; P. Vipiana, La democrazia deliberativa a livello regionale, in www.osservatorioaic.it, 2018, 1, 3 ss.

(12) U. Allegretti, Si riuscirà a volare? Basi giuridiche ed elementi caratterizzanti della democrazia partecipativa, in Id., L’amministrazione dall’attuazione costituzionale alla democrazia partecipativa, Milano, 2007, 288.

(13) A. Valastro, Cittadinanza amministrativa e democrazia partecipativa: andata e ritorno di un insolito fenomeno di eterogenesi dei fini, in A. Bartolini – A. Pioggia (a cura di), Cittadinanze amministrative, volume edito nella raccolta di studi a cura di L. Ferrara – D. Sorace, A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana, VIII, Firenze, 2016, 215 ss.

(14) R. Bin, Contro la governance: la partecipazione fra fatto e diritto. Testo della relazione tenuta al convegno “Il federalismo come metodo di governo. Le regole della democrazia deliberativa (Trento, 25-26 novembre 2010), in Forum di Quaderni Costituzionali; B. Gbikpi, Dalla teoria della democrazia partecipativa a quella deliberativa: quali possibili continuità, in Stato e mercato, 2005, 73, 105 ss.

(15) R. Giannetti, Deliberazione e democrazia nella tradizione del pensiero politico occidentale, in www.cosmopolisglobalist.it, 2013.

(16) G. Azzariti, Democrazia partecipativa: cultura giuridica e dinamiche istituzionali, in Costituzionalismo.it, 2009, 3.

(17) M. Timo, op. cit., 304.

(18) A. Follesdal, The Value added by Theories of Deliberative Democracy: Where (Not) to look, in S. Besson (edited by), Deliberative Democracy and its Discontents, Aldershot, 2006, 63 ss.; J. Elster, Introduction, in Id. (edited by), Deliberative Democracy, Cambridge, 1998, 1 ss.

(19) M. Spinozzi, L’inchiesta pubblica (quanto e come le decisioni amministrative e le politiche di partecipazione in materia ambientale conducono all’emersione degli interessi “deboli” e da questi sono orientate), in Federalismi, 2010, 12.

(20) E. Orlando, Il dibattito pubblico nella Convenzione di Aarhus e nella legislazione europea, in Ist. del Federalismo, 3/2020, 574; B. Marsili, Il dibattito pubblico nel nuovo codice degli appalti tra democrazia partecipativa, tempo e risultati, in CERIDAP, 2 agosto 2024.

(21) E. Tsioumani, Public participation in environmental decision-making, in L. Kramer – E. Orlando (a cura di), Principles of Environmental LawIUCN/Edward Elgar Encyclopaedia of Environmental Law, Cheltenham, 2018, 366 ss.

(22) F. Cappelli, Ambiente e democrazia: un’integrazione al dibattito, in Riv. Giur. Ambiente, 1/2011, p. 41.

(23) F. Francioni, International Human rights in an environmental horizon, in European Journal of International Law, vol. 21, 1/2010, 41 ss.

(24) J. Ebbeson, The notion of public participation in international environmental law, in Yearbook of International Environmental Law, vol. 8, 1, 1998, 51 ss.

(25) M. Cutillo Fagioli, Il diritto di accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale nel diritto internazionale, in Riv. Giur. Ambiente, 1996, 535 ss.; M. Prieur, La Convention d’Aarhus, instrument universel de la democratic environmentale, in Revue Juridique de l’environment, 1999, 9; K. Brady, New Convention on Access to Information and Public Participation in Environmental Matters, in Environmental Policy and Law, 2/1998, 69-75; L. Monti, I diritti umani ambientali nella Convenzione di Aarhus, in E. Rozo Acuna (a cura di), Profili di diritto ambientale da Rio a Johannesburg. Saggi di diritto internazionale pubblico, comparato, penale ed amministrativo, Torino, 2004, 71-97.

(26) Maastricht Recommendations on Public Participation in Decision-Making in Environmental Matters, Uncle, UN Publications, 2015, 49.

(27) L. Kramer, The EU and Public Participation in Environmental Decision-Making, in J. Jendronska – M. Bar (a cura di), Procedural Environmental Rights: Principle X in Theory and Practice, Cambridge, 2018, 121 ss.

(28) cfr., in generale: CGCE, 30/04/1974, in causa C-181/73, Hageman, e CGUE, 10/01/2006, in causa C-344/04, IATA e ELFAA; in particolare: CGUE, 08/03/2011, in causa C-240/09, Lesoochranarske zoskupenie, e 15/03/2018 in causa c-470/16, North East Pylon Pressure Campaign e Sheehy.

(29) J. Wouters – A. Nollkaemper – E. de Wet (a cura di), The Europeanization of International Law, L’Aja, 2008.

(30) V. Molaschi, Il dibattito pubblico sulle grandi opere. Prime riflessioni sul d.P.C.M. n. 76 del 2018, in Riv. Giur. Urb., 3, 2018, pp. 386 ss.

(31) A. Averardi, L’incerto ingresso del dibattito pubblico in Italia, in Giorn. Dir. Amm., 2016, pp. 505 ss.

(32) Vedansi: la L. Reg. Toscana n. 46/2013; la L. Reg. Emilia Romagna n. 3/2010; la L. Reg. Umbria n. 14/2010, di cui ben riferisce V. Manzetti ne Il dibattito pubblico sul nuovo codice dei contratti in Federalismi, 5/2018, pp. 6 ss. Cfr. pure la L. Reg. Puglia n. 28/2017, ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Consulta con la sentenza n. 235/2018, commentata da P. Patrito in Giur. It., 7/2019, pp. 1609 ss.

(33) Ci si riferisce al progetto ligure della cosiddetta “Gronda di Ponente”. In proposito: L. Bobbio, Il dibattito pubblico sulle grandi opere. Il caso dell’autostrada di Genova, in Riv. It. Pol. Pubbl., 2010, p. 119.

(34) B. Delaunay, La réforme de la procédure du débat public entre en vigueur, in AJDA, 2002, pp. 1447 ss. e 2006, p. 2323; Y. Mansillon, L’esperienza del débat public, in Dem. e dir., 2006, p. 101; S. Cassese, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, op. cit., p. 14; F. Karrer – A. Scognamiglio, Débat public all’italiana, ovvero come mutare nozioni senza innovare comportamenti, in Aperta Contrada, 2016, pp. 1 ss.

(35) L. Torchia, La sindrome Nimby: alcuni criteri per l’identificazione di possibili rimedi, in F. Balassone – A. Casadio (a cura di), Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione, Roma, 2011, p. 357; G. Manfredi, Il regolamento sul dibattito pubblico: democrazia deliberativa e Sindrome Nimby, in Urb. App., 5/2018, pp. 604 ss. Tuttavia, esiste anche il fenomeno opposto, noto con l’acronimo di Pimby (Please In My Back Yard), su cui: C. Jerolmack – E. T. Walker, Please In My Backyard: Quiet Mobilization in Support of Fracking in an Appalachian Community, in American Journal of Sociology, 124, 2, 2018, pp. 479-516.

(36) L. Bobbio (a cura di), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittaini nei processi decisionali inclusivi, Napoli, 2004, p. 34.

(37) P. Patrito, Premesse storiche e comparatistiche per uno studio sulla partecipazione al procedimento amministrativo, Roma, 2018, passim.

(38) V. Manzetti, op. cit., p. 9

(39) Presidenza del Consiglio dei Ministri o singoli Ministeri; Consiglio Regionale o Provincia o Città Metropolitana o Comune capoluogo di provincia; Consiglio Comunale o più Comuni o Unioni di Comuni, se rappresentativi di almeno centomila abitanti; almeno cinquantamila residenti oppure un terzo dei residenti quanto alle isole con popolazione non superiore ai centomila abitanti ed ai comuni di montagna.

(40) Originariamente veniva prescritto soltanto l’utilizzo di un linguaggio “non tecnico”, poi si scelse tale attuale formulazione a seguito dell’emissione del parere n. 359/2018 del Consiglio di Stato.

(41) F. Liguori, Il problema amministrativo, aspetti di una trasformazione tentata, Napoli, 2020.

(42) Le opere di cui trattasi sono: realizzazione dell’asse ferroviario Palermo-Catania-Messina; potenziamento della linea ferroviaria Verona-Brennero (quanto alle opere di adduzione); realizzazione della linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria; realizzazione della linea ferroviaria Battipaglia-Potenza-Taranto; realizzazione della linea ferroviaria Roma-Pescara; potenziamento della linea ferroviaria Orte-Falconara; realizzazione delle opere di derivazione della Diga di Campolattaro; messa in sicurezza e ammodernamento del sistema idrico del Peschiera; interventi di potenziamento delle infrastrutture del Porto di Trieste (progetto cosiddetto “Adriagateway”); realizzazione della Diga foranea di Genova.

(43) R. Fabbri, Pnrr e dibattito pubblico. Prospettive di applicazione per uno strumento di democrazia deliberativa, in Riv. Giur. Mezz., 1, 2022, pp. 99-113.

(44) B. Marsili, op. cit.

(45) L. Fiorentino, I corpi tecnici nelle amministrazioni, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 2, 2013, pp. 479 ss.

(46) A. Di Martino, Il dibattito pubblico nel nuovo codice dei contratti pubblici: prime considerazioni rispetto ad alcune aporie di sistema, in Passaggi costituzionali, 2, 2023, pp. 248 ss.; B. Marsili, op. cit.

(47) F. Gambardella, Le regole del dialogo e la nuova disciplina dell’evidenza pubblica, Torino, 2016, p.73.

(48) R. Spagnuolo Vigorita, Il conflitto tra pubblica amministrazione e privati. Modelli per la composizione, Napoli, 2018, p. 153.

(49) M. Della Morte, Potere e partecipazione, in M. Cartabia – M. Ruotolo (a cura di), Enciclopedia del diritto, i Tematici, Potere e Costituzione, Milano, 2021, passim.

(50) M. Briccarello, Art. 40. Dibattito pubblico, in F. Caringella (diretto da), Nuovo codice dei contratti pubblici, Milano, 2023; B. Marsili, op. cit.

(51) F. Borriello, Motivata, partecipata, integrata. Le nuove frontiere della pianificazione urbanistica, in Riv. giur. urb., 1/2023, pp. 72 ss.

(52) S. Cassese, Dallo sviluppo alla coesione. Storia e disciplina vigente dell’intervento pubblico per le aree insufficientemente sviluppate, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 2, 2018, pp. 579 ss.

(53) M. A. Venchi Carnevale, Diritto pubblico dell’economia, in G. Santaniello (diretto da), Trattato di diritto amministrativo, vol. XXIX, Padova, 1999, pp. 5 ss.

(54) F. Cintioli, Il principio del risultato nel nuovo codice dei contratti pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it, 2023; G. Napolitano, Committenza pubblica e principio del risultato, in www.astrid-online.it, 2023.

(55) H. Simonetti, Principio del risultato e gerarchia degli interessi nel nuovo codice dei contratti pubblici, in Judicium, 12 settembre 2023.

(56) D. Capotorto, I rischi di derive autoritarie nell’interpretazione del principio del risultato e l’indissolubilità del matrimonio tra buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, in Federalismi, 14/2023.

(57) E. Carloni, Verso il paradigma fiduciario? Il principio della fiducia nel nuovo codice dei contratti pubblici e le sue implicazioni, in Dir. Pubb., 1, 2024, pp. 131-162.

(58) S. Tuccillo, Potere di riesame, amministrazione semplificata e “paura di amministrare”, in Nuove Autonomie, 3, 2020, pp. 725 ss.; S. Cassese, Che cosa resta dell’amministrazione pubblica, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 1, 2019, pp. 1 ss. In parallelo con le recenti riforme gius-penalistiche, vedasi pure: M. T. Urso, Riflessioni sulla proposta di abolizione del reato di abuso d’ufficio e la c.d. “paura della firma”, in Riv. Corte Conti, 6/2023, pp. 53 ss.

(59) cfr. Cons. St., parere, 24/02/2015, n. 515.

(60) M. Panato, La programmazione urbanistica c.d. “contrattata” negli Enti Locali oggi, in Azienditalia, 12, 2017, pp. 965 ss.