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Pubbl. Lun, 8 Lug 2024

Commento a ”La cooperazione giuridica internazionale in Italia come rimedio necessario per la realizzazione della giustizia” di Andrea Antonio Dalia

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Romano Carabotta
StudenteUniversità degli Studi di Salerno



Il ”Progetto Prof. A. A. Dalia” ha lo scopo di rendere omaggio ad un grande Maestro attraverso brevi commenti, dal carattere divulgativo, relativi ai più svariati temi che interessano il diritto processuale penale. L´obiettivo dichiarato è quello di restituire attualità al Suo pensiero, attraverso l´analisi di relazioni rese in occasione di lezioni, convegni e congressi. Una vera sfida, oltre che un grande onore per chi, ancora tra i banchi delle aule universitarie, sta per affacciarsi al mondo delle professioni legali.


Convegno su

“La cooperazione internazionale nell’ambito processuale”

Salamanca, 7-9 novembre 2001

Organizzato dalla Cattedra di Diritto Processuale e dall’Associazione degli studenti indipendenti dell’Università di Salamanca

“La cooperazione giuridica internazionale in Italia come rimedio necessario per la realizzazione della giustizia”
di
Andrea Antonio Dalia

1. L’esigenza della cooperazione internazionale in campo giudiziario è avvertita, più che mai, in questo difficile momento storico.

I recenti eventi terroristici hanno dimostrato che, così come non esistono confini per attentare alla vita, alle libertà e all’economia, allo stesso modo non debbono esistere confini nella ricerca ed individuazione degli autori di fatti criminosi, affinché sia ad essi garantito un giusto processo e, una volta dimostrata la loro colpevolezza, sia ad essi applicata una adeguata sanzione.

Le forme di criminalità più sofisticate e pericolose sono quelle che si sviluppano per trame internazionali.

I reati associativi stanno diventando sempre più transnazionali: si pensi alle associazioni per il traffico degli stupefacenti, alle associazioni mafiose, alle associazioni terroristiche, alla tratta delle persone, allo sfruttamento dei minori.

È di questi giorni l’emanazione nel nostro paese di un decreto-legge (atto legislativo di urgenza emesso dal governo, che il parlamento deve, in sessanta giorni, convertire in legge) che, tra l’altro, prevede l’introduzione, nel codice penale italiano, di una nuova figura di reato, l’associazione con finalità di terrorismo internazionale, per colpire “chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige, finanzia anche indirettamente associazioni che si propongono il compimento, all’estero, o comunque ai danni di uno Stato estero, di un’istituzione o di un organismo internazionale, di atti di violenza su persone o cose, con finalità di terrorismo” e “chiunque partecipa” alle suddette associazioni (art. 270-ter codice penale).

Questa ipotesi delittuosa dimostra che la cooperazione internazionale è essenziale per l’accertamento del reato e la punibilità dei colpevoli. Viene sanzionata, infatti, la condotta di chi dall’interno di uno Stato, nella specie lo Stato italiano, compie alcune attività di costituzione, promozione, organizzazione, direzione o finanziamento di associazioni – che possono essere costituite all’interno dello Stato o anche fuori del territorio nazionale – per compiere atti terroristici all’estero, vale a dire nel territorio di uno Stato estero.

Si tratta di un delitto necessariamente transnazionale, che non è stato introdotto per mero scrupolo: se ne è avvertita la necessità, evidentemente queste organizzazioni transnazionali già esistono ed operano, muovendosi appunto tra più Stati.

Non è concepibile che i singoli Stati interessati da questi nuovi fenomeni criminali rimangano inerti o si arrocchino ognuno nei suoi confini, rifiutando o non sollecitando alcuna forma di collaborazione internazionale.

L’intesa, sul piano della cooperazione, è oramai una necessità che viene avvertita da tutti gli Stati retti da governi democratici: solo i regimi assolutistici possono fare a meno della collaborazione internazionale, perché essi rifiutano, proprio per effetto dell’autoritarismo che esercitano all’interno, ogni forma di scambio, si tratti di cultura, di economia, di idee, di sapere, di civiltà, di diritto, di esperienze giudiziarie, di informazioni rilevanti sul piano del processo penale. L’isolazionismo è l’essenza stessa dell’autoritarismo.

2. Anche se non si vuole pensare a queste forme estreme di criminalità, che puntano alla destabilizzazione e, quindi, investono gli interessi primari delle comunità civili, basta prendere in considerazione i crimini comuni che trascendono i confini nazionali per rendersi conto che non si può fare a meno della cooperazione internazionale per far valere le regole del diritto, indispensabili per la civile convivenza.

La criminalità organizzata dispone oramai di canali internazionali: il traffico di stupefacenti, la tratta delle persone, il traffico di armi, tutte le attività illecite che consentono guadagni enormi hanno necessariamente collegamenti internazionali, sia nella fase della commissione dell’illecito, sia nella fase successiva, del reimpiego delle ricchezze illegali.

Quando il reato non è solo la condotta del singolo che tende a perseguire un obiettivo individuale, ma è espressione di una organizzazione a delinquere non si può fare a meno della cooperazione internazionale.

Il nostro Paese, come il vostro, è, da tempo consapevole di questa necessità, soprattutto nella dimensione europea della comunità.

Oramai, non siamo più soltanto cittadini italiani o cittadini spagnoli, siamo cittadini europei. Ciò non significa che perdiamo la nostra identità nazionale, ma piuttosto che la arricchiamo delle prerogative delle altre nazionalità.

Dobbiamo essere fieri di sentirci cittadini italiani europei o cittadini spagnoli europei, perché nella seconda qualificazione “europei” c’è un poco delle altre nazionalità. Chiamandoci italiani europei, intendiamo condividere anche la vostra civiltà, attingere anche alla vostra cultura, rispettare le vostre tradizioni, così come voi spagnoli, chiamandovi anche europei, potete partecipare della nostra nazionalità.

Purtroppo, non tutti intendono la comunità europea come occasione di sviluppo e di progresso, sul piano culturale e sul piano economico. Vi sono, tra di noi, anche persone che si “attaccano” alla comunità europea come parassiti, sfruttando i vantaggi della libera circolazione, dell’unità monetaria, della convergenza economica, per perseguire intenti illeciti.

Le loro azioni vanno contrastate senza indulgenza alcuna, i loro reati vanno accertati, le loro condotte penalmente rilevanti vanno punite.

3. La giustizia penale può funzionare solo se la collaborazione tra i diversi Paesi è effettiva, tempestiva, assoluta.

È per questa ragione, che i rappresentanti degli Stati membri della comunità hanno ratificato più di quaranta anni orsono una convenzione in materia di giustizia penale.

Mi riferisco alla Convenzione n. 30 del Consiglio d’Europa, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, che costituisce lo strumento chiave della cooperazione giudiziaria internazionale in materia di mutua assistenza penale nell’area europea.

La Convenzione è stata il punto di incontro di complessi negoziati svoltisi tra l’Italia e le altre diciassette delegazioni degli Stati membri del Consiglio d’Europa, ed è oggi oggetto di un’attenta revisione.

Le parti contraenti si sono impegnate ad accordarsi reciprocamente per un'assistenza giudiziaria più ampia possibile in qualsiasi procedura relativa a reati per la cui repressione è, al momento della richiesta di assistenza, competente l'autorità giudiziaria della parte richiedente, esclusi i reati militari non corrispondenti a fattispecie di diritto comune.

È stato previsto anche che l’assistenza giudiziaria possa essere rifiutata se la parte richiesta considera la domanda riferita a reati politici, o connessi a reati politici, e a reati fiscali o giudica l'esecuzione della domanda pericolosa per la sovranità, la sicurezza, l'ordine pubblico o altri interessi essenziali per la sua nazione.

Sono state fissate, in particolare, le modalità di esecuzione della rogatoria, specificandosi che:

a) la parte richiesta farà eseguire la rogatoria, nelle forme previste dalla sua legislazione;        

b) se la parte richiedente desidera che i testi o gli esperti depongano sotto giuramento, ne deve fare espressa richiesta e la parte richiesta lo accorderà se la legge del suo paese non vi si oppone;

c) la parte richiesta potrà trasmettere solo copie o fotocopie autenticate dei fascicoli o documenti richiesti e, se la parte richiedente domanda espressamente l'invio degli originali, la richiesta deve essere presa in considerazione nei limiti del possibile;

d) la parte richiesta deve informare della data e del luogo dell'esecuzione della rogatoria la parte richiedente che ne abbia fatto espressa domanda;

e) le autorità e le persone interessate possono assistere all'espletamento della rogatoria solo se la parte richiesta vi consente;

f) l'esecuzione di rogatorie a scopo di perquisizione o sequestro può essere subordinata alla duplice condizione che il reato sia punibile secondo la legge di entrambe le parti e che sia tra quelli che danno luogo ad estradizione nel Paese richiesto.

La Convenzione si occupa pure di altri argomenti, quali, ad esempio, la consegna di atti procedimentali e di decisioni giudiziarie, la comparizione di testi, di esperti e di persone indagate, ma l’interesse maggiore si è concentrato ovviamente sul settore delle rogatorie.

4. La Convenzione, se, per un verso, è stata il punto di incontro di complessi negoziati tra i Paesi della comunità, per altro verso, à stata il punto di avvio di un programma di reciproca intesa, sul piano della collaborazione internazionale, in materia penale.

Infatti, nell’ambito del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea, oltre a quanto già previsto dagli Accordi di Schengen in materia di assistenza giudiziaria, sono stati avviati, da tempo, processi negoziali paralleli, mirati ad aggiornare e migliorare la Convenzione, per introdurre più moderne forme di collaborazione, in tema di videoconferenza, di notifica postale e di trasmissione diretta delle rogatorie, modificando le disposizioni che si sono rivelate di ostacolo ad una rapida ed efficace cooperazione.

Queste iniziative sono state rese necessarie perché anche la Convenzione del 1959, analogamente a quanto è avvenuto e avviene in occasione della stipula di altre Convenzioni internazionali, contiene la clausola che riserva alle parti contraenti la facoltà di apporre riserve e dichiarazioni.

L’uso di tale facoltà può rendere difficile la cooperazione, incidendo notevolmente sulla portata delle disposizioni pattizie.

Per quel che concerne il nostro Paese, si è dovuto registrare un uso fortemente limitativo da parte della Svizzera, che ha ratificato la suddetta Convenzione il 20 dicembre 1966 e ha utilizzato, con riferimento a varie disposizioni della stessa, tale facoltà, introducendo maggiori limiti e condizioni al generale obbligo di cooperazione derivante dalla Convenzione.

A ciò si aggiunga che la complessa normativa elvetica di assistenza giudiziaria penale, sebbene di recente modificata, ha contribuito a rendere il quadro della cooperazione giudiziaria con tale Paese ancora più problematico.

In tale contesto, non si poteva non fare ricorso all’articolo 26 della Convenzione del 1959, che consente l’adozione di eventuali soluzioni pattizie alternative attraverso intese bilaterali, finalizzate a completarne le disposizioni e a facilitarne l’applicazione. Considerati i frequenti ed intensi rapporti intrattenuti con la Svizzera in materia di assistenza giudiziaria, è stato ritenuto opportuno stipulare con tale Paese un accordo bilaterale integrativo.

5. L’Accordo con la Svizzera, firmato il 10 settembre 1998, da un lato, ha esteso a quel Paese le disposizioni innovative introdotte dagli Accordi di Schengen, anticipando le modifiche che in sede multilaterale sono ancora in via di negoziazione, e, dall’altro, ha sensibilmente contenuto la portata delle riserve che quello Stato aveva apposto alla Convenzione del 1959, stabilendo meccanismi di cooperazione tra i due Paesi più rapidi e snelli, che hanno eliminato molti inconvenienti verificatisi per le rogatorie richieste dalle autorità giudiziarie italiane.

Le disposizioni più significative dell’Accordo riguardano:

1) l’ampliamento e l’estensione dell’ambito e delle ipotesi di assistenza giudiziaria rispetto alla Convenzione europea, consentendola anche per procedimenti penali di competenza di autorità amministrative, nonché per altre forme di assistenza complementare, nel caso, ad esempio, di truffa in materia fiscale, per la quale la Svizzera, non avendo ratificato il protocollo aggiuntivo alla Convenzione del 1959, che estende l’assistenza anche ai reati di natura fiscale, non era obbligata a concedere assistenza;

2) l’attenuazione della riserva apposta dalla Svizzera all’articolo 2 della Convenzione europea, che limitava i casi di rifiuto dell’assistenza per ne bis in idem, in linea con le previsioni di altri accordi internazionali vigenti per l’Italia;

3) l’esclusione della utilizzabilità delle informazioni ricevute a seguito di rogatoria solo per quelle procedure per le quali l’assistenza sarebbe esclusa;

4) la modifica delle modalità di esecuzione delle rogatorie, al fine sia di garantire la piena utilizzabilità nei procedimenti nazionali delle prove raccolte all’estero, sia di consentire allo Stato richiedente di ottenere in tempi ragionevoli e maggiormente controllabili i risultati richiesti;

5) la possibilità di dare esecuzione ad una rogatoria attraverso lo strumento del collegamento audio-visivo, fissando le necessarie regole per la sua attuazione;

6) la consegna definitiva di beni provenienti da un reato allo Stato richiedente per fini di confisca o di restituzione alle parti lese;

7) l’ampliamento della possibilità di partecipazione di persone ed autorità dello Stato richiedente all’esecuzione della rogatoria su territorio estero;

8) la previsione che l’assistenza giudiziaria consista nell’esecuzione di una misura coercitiva;

9) la diretta notifica di atti giudiziari sull’altro territorio utilizzando il sistema postale;

10) l’estensione della consegna temporanea allo Stato richiedente di persone detenute nello Stato richiesto anche ai casi in cui queste acconsentano a essere presenti nello Stato richiedente, al fine di rispondere di fatti per i quali sono sottoposte a procedimenti penali;

11) la trasmissione diretta delle rogatorie e dei relativi atti di esecuzione, eliminando il passaggio intermedio delle autorità centrali;

12) il conferimento ad organismi centrali delle competenze relative alla trattazione di rogatorie in caso di pratiche penali complesse o di particolare importanza per fatti di criminalità organizzata, di corruzione o per altri gravi reati;

13) la disciplina di ipotesi di esecuzione di rogatorie che coinvolgono più autorità competenti dello Stato richiesto;

14) la possibilità per le autorità giudiziarie interessate di operare congiuntamente nell’ambito di gruppi d’indagine comuni, per fatti oggetto di procedimenti penali in entrambi gli Stati, in alternativa alla forma rogatoriale;

15) la trasmissione diretta, in alternativa od in vista di una rogatoria, di informazioni relative a fatti penali.

6. L’Accordo italo-svizzero del 1998 è entrato a far parte della legislazione italiana, perché con la recente legge 5 ottobre 2001, n. 367 -  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 234 dell'8 ottobre 2001 ed entrata in vigore il 9 ottobre 2001 - si è proceduto alla ratifica ed all’esecuzione dell’Accordo stesso, inteso come completamento della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e come strumento che ne agevola l’applicazione, e si sono apportate le conseguenti modifiche, oltre che al codice penale, al codice di procedura penale.

In via di premessa, è stato specificato che gli istituti della cooperazione internazionale - estradizioni, rogatorie internazionali, effetti delle sentenze penali straniere, esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane - e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi alla amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959  e dalle altre norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale (art. 696 codice di procedura penale).

Prima, la disposizione richiamava genericamente le norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato, nelle quali erano comprese sicuramente anche quelle della Convenzione europea.

Da questo punto di vista, non si è trattato di una vera e propria innovazione, vale a dire di un ampliamento delle fonti pattizie, ma di una scelta di “politica legislativa”, tendente a valorizzare la Convenzione europea, assurta al ruolo di fonte primaria di disciplina, rispetto a tutte le altre convenzioni internazionali in vigore per lo Stato.

Questa valorizzazione non è di poco conto e ne vedremo subito le conseguenze, anche politiche. Ma, prima vale la pena di segnalare le altre novità introdotte con la recentissima legge.

7. E’ stato stabilito, in primo luogo, che la domanda di assistenza giudiziaria avente per oggetto atti che devono essere eseguiti in più distretti di corte d’appello è trasmessa, direttamente dall’autorità straniera o tramite il ministero della giustizia o altra autorità giudiziaria italiana eventualmente adita, alla Corte di cassazione, che determina  la corte d’appello competente, tenuto conto anche del numero di atti da svolgere e della tipologia ed importanza degli stessi con riferimento alla dislocazione delle sedi giudiziarie interessate. La Corte di cassazione trasmette gli atti alla corte d’appello designata, comunicando la decisione al ministero della giustizia (art. 724 comma 1-bis codice di procedura penale).

In secondo luogo, si è previsto che, quando le convenzioni o gli accordi internazionali consentono la notificazione diretta all’interessato a mezzo posta e questa non viene utilizzata, anche la richiesta dell’autorità giudiziaria straniera di notificazione all’imputato residente o dimorante nel territorio dello Stato è trasmessa al procuratore della Repubblica del luogo in cui deve essere eseguita, che provvede per la notificazione nei modi ordinari (art. 726-bis codice di procedura penale).

In terzo luogo, il legislatore ha stabilito che, se un accordo internazionale prevede che la richiesta di assistenza giudiziaria in un procedimento concernente un reato sia presentata anche da un’autorità amministrativa straniera, alla rogatoria provvede, su richiesta del procuratore della Repubblica, il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui devono essere eseguiti gli atti richiesti (art. 726-ter codice di procedura penale).

Infine, una previsione sicuramente utile per agevolare lo svolgimento dei processi è quella relativa alla partecipazione all’udienza a distanza per dell’imputato detenuto all’estero, che non possa essere trasferito in Italia.

La partecipazione ha luogo attraverso il collegamento audiovisivo, quando è previsto da accordi internazionali e secondo la disciplina in essi contenuta.

Lo Stato estero deve assicurare la possibilità di presenza del difensore o di un sostituto nel luogo in cui viene assunto l’atto e consentire al difensore o al suo sostituto di colloquiare riservatamente con il detenuto, il quale, ovviamente, ha diritto alla presenza dell’interprete se, non conosce la lingua del luogo ove l’atto è compiuto o quella usata per rivolgergli le domande.

La detenzione dell’imputato all’estero non può comportare la sospensione o il differimento dell’udienza quando è possibile la partecipazione all’udienza in collegamento audiovisivo, nei casi in cui l’imputato non dà il consenso o rifiuta di assistere.

Anche la partecipazione all’udienza attraverso il collegamento audiovisivo del testimone o del perito si svolge secondo le modalità e i presupposti previsti dagli accordi internazionali.

Allo scopo di evitare spreco di risorse e di energie, è parso opportuno precisare che, quando è previsto dal codice o da accordi internazionali, per l’espletamento di determinati atti, che l’interessato esprima il proprio consenso in una procedura di cooperazione giudiziaria, il consenso espresso non può essere revocato, salvo che l’interessato ignorasse circostanze di fatto rilevanti ai fini della sua decisione ovvero esse si siano successivamente modificate.

8. Dicevo, poc’anzi, che il richiamo espresso della Convenzione europea tra le fonti, anzi come prima fonte, della disciplina degli istituti della collaborazione giudiziaria internazionale, non costituisce una mera puntualizzazione di ordine formale.

Lo si ricava dalla nuova disposizione, relativa alla utilizzabilità degli atti assunti per rogatoria.

Si è affermato il principio, secondo cui la violazione delle norme riguardanti l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria all’estero comporta l’inutilizzabilità dei documenti o dei mezzi di prova acquisiti o trasmessi.

Qualora lo Stato estero abbia posto condizioni all’utilizzabilità degli atti richiesti, l’autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni.

 Se lo Stato estero dà esecuzione alla rogatoria con modalità diverse da quelle indicate dall’autorità giudiziaria, gli atti compiuti dall’autorità straniera sono inutilizzabili.

Non possono in ogni caso essere utilizzate le dichiarazioni, da chiunque rese, aventi ad oggetto il contenuto degli atti inutilizzabili (art. 729 codice di procedura penale).

Una disposizione del genere non era contenuta, prima, nel codice.

Ci si deve chiedere per quale ragione essa sia stata introdotta: la risposta è proprio nella Convenzione europea, secondo la quale la parte richiesta potrà trasmettere solo copie o fotocopie autenticate dei fascicoli o documenti richiesti e, se la parte richiedente domanda espressamente l'invio degli originali, la richiesta deve essere presa in considerazione nei limiti del possibile.

Evidentemente, la magistratura italiana non si è attenuta a queste prescrizioni della Convenzione ed il legislatore ha ritenuto necessario intervenire, al fine di impedire che oggetto della rogatoria possano essere anche documenti non originali o non autenticati.

9. La disposizione che, in materia, ha destato, poi, vigorose polemiche, non solo a livello politico, ma pure nell’ambito della magistratura, è quella relativa al rapporto tra l’entrata in vigore della nuova legge e il principio del tempus regit actum.

La scelta di rendere operativa la nuova legge anche nei procedimenti in corso – scelta, peraltro, consueta – ha insospettito chi ha inteso “leggere” in essa una interferenza del potere legislativo sul potere giudiziario.

Va detto, per completezza, che, per l’ipotesi della rinnovazione di atti per rogatoria, è stata prevista la sospensione dei termini di carcerazione preventiva e di prescrizione dei reati, per impedire che da adempimenti di garanzia possano essere tratti ingiustificati vantaggi sul piano della libertà personale o della perseguibilità del reato.

10. L’esecuzione dell’accordo italo-svizzero, mediante la traduzione in norme interne dei suoi contenuti rappresenta un’ulteriore tappa del cammino intrapreso verso il  processo d’integrazione europea e la creazione di uno spazio comune, nel quale la libertà di movimento delle persone ed il riconoscimento dei diritti e delle libertà  siano assicurati anche con l’adozione di misure dirette ad evitare che la diversità fra ordinamenti interni possa essere utilizzata come strumento per concedere vantaggi e protezione ai criminali.

Le nuove e complesse forme di criminalità, con le conseguenti ramificazioni internazionali, richiedono l’adeguamento dei tradizionali principi di cooperazione, al fine di assicurare che chi commette un reato sia perseguito, giudicato, e, se condannato, sconti effettivamente la pena inflittagli.

La creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, basato sui principi della trasparenza e del controllo democratico, implica una maggior efficacia dello Stato di diritto, rafforzando il libero esercizio dei diritti e delle libertà dei cittadini dei diversi Paesi contro coloro che pretendono di vulnerarne le norme, approfittando delle eventuali differenze esistenti tra i sistemi giuridici o amministrativi degli Stati.

Il Consiglio europeo di Tampere ha affermato, nella conclusione numero 28, che il principio del riconoscimento mutuo delle decisioni giudiziarie penali deve essere il pilastro della cooperazione nell’Unione, partendo dalla considerazione che un miglior riconoscimento delle decisioni e delle sentenze ed un maggiore e più efficace ravvicinamento delle legislazioni, non solo faciliterà la cooperazione tra le autorità, ma servirà anche come strumento efficace per l’adeguata protezione dei diritti individuali.

11. In questa prospettiva, la Repubblica Italiana ed il Regno di Spagna hanno deciso di migliorare la cooperazione bilaterale, con lo scopo di dare impulso alla costruzione di uno spazio di giustizia, sicurezza e libertà, basato sul riconoscimento mutuo dell’efficacia delle decisioni emesse dai rispettivi organi giurisdizionali.

Assunti, come punto di partenza, i programmi adottati dal Consiglio europeo inseriti nel Trattato di Amsterdam e le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, i due Paesi hanno preso atto del rispetto, da parte della normativa interna, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di cui entrambi sono parte ed hanno deciso di adeguare le legislazioni interne alle risoluzioni della Corte europea dei Diritti dell’Uomo e del Comitato di Ministri del Consiglio d’Europa, anche laddove riconoscono la legittimità del processo in contumacia che assicuri le garanzie difensive.

Hanno, pertanto, sottoscritto, tramite i rispettivi ministri della giustizia, un accordo, firmato a Madrid il 20 luglio 2000, con il quale si sono impegnati a realizzare i canali opportuni affinchè gli ordini internazionali di ricerca e cattura, nel caso di persone accusate o condannate per reati gravi di terrorismo, criminalità organizzata, tratta di esseri umani, abusi sessuali contro minori, traffico illecito di droga e di armi, siano eseguiti direttamente.

In questi casi si procederà alla localizzazione ed arresto della persona richiesta in consegna che sarà trasferita e messa immediatamente a disposizione dell’autorità giudiziaria richiedente, nello spirito della conclusione numero 35 del Consiglio europeo di Tampere.

Hanno deciso, altresì, di elaborare un programma di misure per mettere in pratica il principio del riconoscimento mutuo delle decisioni giudiziarie adottate nell’ambito penale, stabilendo le norme minime - materiali e processuali - comuni per facilitarne l’esecuzione, nel rispetto dei principi fondamentali di entrambi gli Stati.

12. L’accordo del 20 luglio 2000 ha prodotto immediatamente i suoi frutti. Nel giro di pochi giorni, fu arrestato in Spagna un pericoloso narcotrafficante ricercato da anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, su cui gravava un mandato di cattura internazionale emesso dall’autorità giudiziaria italiana.

Altre venti persone, molte delle quali già condannate con pene tra i cinque e i dieci anni per traffico internazionale di stupefacenti, furono arrestate.

Primi, importanti, risultati, a testimonianza del salto di qualità nei rapporti tra Italia e Spagna per la lotta alla criminalità internazionale, come ebbe a dichiarare il ministro italiano della giustizia. Avviando la creazione di uno spazio giudiziario comune, Italia e Spagna si sono poste all’avanguardia nella realizzazione degli obiettivi di uno spazio europeo di giustizia lanciato dai Primi Ministri dei 15 paesi dell’Unione Europea a Tampere nel 1998.

La cooperazione italo-spagnola costituisce un’anticipazione a livello bilaterale della creazione nell’ambito dell’Unione Europea di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia previsto dai trattati di Maastricht e di Amsterdam.

L’accordo italo-spagnolo potrà costituire nei settori del III Pilastro (lotta alla criminalità, sicurezza, immigrazione) una utile esperienza per la realizzazione di una cooperazione rafforzata, indispensabile per proseguire nel cammino della integrazione europea.

Commento di Romano Carabotta

Studente iscritto al quarto anno del corso di laurea in giurisprudenza

Dipartimento di Scienze Giuridiche – Università degli Studi di Salerno

Nonostante si tratti del carattere, probabilmente, più rilevante e frequente degli scritti del Professor Dalia, non ci si abitua mai alla costante attualità delle sue riflessioni, a prescindere dall’epoca a cui esse risalgano e dal momento nel quale esse vengano rilette.

Così accade anche per il contributo in commento in materia di Cooperazione giuridica internazionale in Italia, qualificata sin dal titolo del contributo quale “rimedio necessario per la realizzazione della giustizia”.

Del resto, va osservato che il contesto internazionale nel quale il contributo veniva reso (primi giorni del novembre 2001) appare estremamente simile a quello contemporaneo: un evento traumatico e improvviso (l’attacco terroristico al World Trade Center di New York) aveva minato, d’un tratto, la stabilità internazionale che ci si era illusi di aver conquistato in modo definitivo e irreversibile con la fine della guerra fredda (esattamente come accaduto, nel 2022, con lo scoppio della guerra russo-ucraina); il mondo faceva i conti con l’instabilità del (Grande) Medio-oriente, già precedente ai fatti del 2001 e soltanto palesata con l’invasione statunitense dell’Afghanistan prima e dell’Iraq poi (si pensi, oggi, al conflitto israelo-palestinese); la pressione migratoria sull’Italia e sull’Europa era al centro del dibattito politico e dell’attenzione dell’opinione pubblica (allora dall’Albania, oggi perlopiù dal continente africano).

È in questo (quel) contesto che tuona l’affermazione del Prof. Dalia, quale vero e proprio principio su cui si dovrebbe fondare ogni atto, progetto o tentativo di cooperazione internazionale in tema di giustizia: “così come non esistono confini per attentare alla vita, alle libertà e all’economia, allo stesso modo non debbono esistere confini nella ricerca ed individuazione degli autori di fatti criminosi” .

Di fatti, ora come allora, la complessità (e fragilità) delle dinamiche internazionali è, al contempo, strumento e causa della “internazionalizzazione della criminalità”, sviluppatasi prevalentemente lungo tre direttrici: quella dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina (attentato alla libertà), quella del terrorismo (attentato alla vita) e quella delle frodi finanziarie (attentato all’economia).

Vale la pena soffermarsi sulla decisa qualificazione della “Cooperazione giuridica internazionale in Italia” come “rimedio necessario per la realizzazione della giustizia” e domandarsi quale esigenza abbia spinto il Professore a cristallizzare tale equazione.

In primo luogo, egli sottolinea la inscindibile, quasi ontologica connessione tra democrazia e cooperazione internazionale: “l’isolazionismo è l’essenza stessa dell’autoritarismo”, afferma. Ne consegue che finché l’Italia vorrà mantenersi e dimostrarsi fondata su un efficiente sistema democratico, dovrà investire risorse umane, economiche, giuridiche nella cooperazione internazionale in tema di individuazione e repressione dei reati.

In secondo luogo, lapalissianamente si osserva che in un’era in cui la criminalità assume essa stessa un carattere internazionale, uno Stato che non sappia o non voglia cooperare con altri Stati per tutelarsi e tutelare i propri cittadini anche rispetto a questa forma di illeciti, rinuncia a realizzare la giustizia, proprio perché rinuncia a garantire quella parte consistente del fenomeno-giustizia che riguarda la dimensione internazionale.

Infine, già nel 2001 appariva chiara nella mente degli interpreti la dimensione “europea” dell’Italia e degli italiani, così come si legge nell’affermazione che “non siamo più soltanto cittadini italiani o cittadini spagnoli, siamo cittadini europei”, titolari, cioè, di uno status che “senza in alcun modo sostituire” la cittadinanza nazionale “la potenzia mediante una serie di diritti”. Diritti tra cui spicca quello ad una giustizia piena, rafforzata dalla dimensione comunitaria e dal vantaggio di disporre, come Stato membro, di una serie di canali agevolati per realizzare la necessaria cooperazione giudiziaria.

In queste tre declinazioni, allora, la cooperazione giudiziaria risulta essere in Italia non uno dei rimedi, ma il rimedio necessario per la realizzazione della giustizia.

Su questi presupposti nel contributo vengono richiamate tre fonti sovranazionali in materia di cooperazione giudiziaria che l’Italia ha ratificato, di cui è possibile apprezzare la portata innovativa.

Innanzitutto, si fa riferimento alla Convenzione N.30 del 1959 del Consiglio d’Europa. Appare doveroso soffermarsi sulla rilevazione della funzione cruciale che tale documento ha assunto come motore propulsore di una più costante e strutturata collaborazione fra gli Stati europei in tema di giustizia, se non altro dimostrando che anche queste forme di collaborazione erano possibili in Europa, chiarendo definitivamente come anch’esse fossero funzionali ad una piena realizzazione alla tutela e alla promozione degli “ideali e principi (…) comune patrimonio” degli Stati componenti il Consiglio d’Europa e alla promozione del loro “progresso economico e sociale”, come sancito dall’Art.1 del Trattato di Londra del 1949.

L’analisi passa poi attraverso l’esegesi dell’Accordo italo-svizzero del 1998, necessario per rimediare alle limitazioni che lo Stato d’oltralpe aveva posto all’operatività della Convenzione europea di cui sopra. Oltre ai vari elementi innovativi sul piano della cooperazione giudiziaria di cui il patto si compone, puntualmente riproposti nel contributo, preme segnalare quello che risulta essere l’elemento maggiormente rilevante, probabilmente: il richiamo presente nell’Accordo alla stessa Convenzione europea quale “prima fonte della disciplina degli istituti della collaborazione giudiziaria internazionale”. Vale la pena rilevare, cioè, la consapevolezza di quanto fosse necessario promuovere una cooperazione allargata (europea) rispetto a quella tra due soli Stati (Italia e Svizzera.

Il che “non costituisce una mera puntualizzazione di ordine formale”, come chiarisce il Professore Dalia.

Infine, l’attenzione del contributo si sposta sull’Accordo tra Spagna e Italia del 2000 che, in ottemperanza ai principi della CEDU, ha impegnato i due Stati “a realizzare i canali opportuni affinché gli ordini internazionali di ricerca e cattura, nel caso di persone accusate o condannate per reati gravi di terrorismo, criminalità organizzata, tratta di esseri umani, abusi sessuali contro minori, traffico illecito di droga e di armi, siano eseguiti direttamente”.

Appare, insomma, evidente che l’esigenza securitaria prevalente al tempo era quella di perseguire i reati di maggiore allarme sociale, cioè quelli finalizzati a ledere il bene giuridico vita-persona umana. Tutelando, così, direttamente e con decisione i singoli cittadini.

Nel 2001, l’Unione Europea era ancora molto giovane – Maastricht che ne sancì la nascita, infatti, entrò in vigore nel 1993 –, e non aveva assunto ancora la sua struttura definitiva (datale dal Trattato di Lisbona del 2007). Nel mezzo, il tentativo di dar vita ad una Costituzione Europea, fallito nel 2004 e mai più esperito.

Tre sono le evoluzioni significative in materia di cooperazione giudiziaria, successive al Congresso di Salamanca, che appare opportuno evidenziare.

In primo luogo, solo poche settimane prima della conferenza spagnola, precisamente il 24 ottobre, veniva pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge costituzionale N.3/2001 (cd. Riforma del Titolo V) che cristallizzava definitivamente la primazia del diritto comunitario sul diritto interno, modificando in tal senso l’art.117 della Carta costituzionale: un cambio di passo epocale, che avrà la sua rilevanza, chiaramente, anche in tema di cooperazione giudiziaria.

La seconda innovazione successiva al contributo riguarda proprio l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nel 2009. La rivoluzione apportata da Lisbona riguarda, da un lato, la profonda modifica ai Trattati dell’Unione (da qui in poi denominati “Trattato sull’Unione Europea” e “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”), dall’altro l’abolizione della cd. struttura a pilastri che aveva caratterizzato il funzionamento della Comunità europea fino a quel momento, ricomprendendo le politiche comunitarie in tre aree (pilastri, appunto): quella comunitaria, quella relativa alla Politica estera e di sicurezza comune (cd. PESC) e quella relativa alla Giustizia e affari interni (GAI). In realtà, “tale fenomeno riguarda solo il terzo pilastro, al quale vengono estese le regole, i procedimenti, gli atti, le competenze di carattere generale dell’Unione Europea”. Se infatti la PESC resta soggetta a proprie regole specifiche, la GAI verrà assorbita nel mare magnum della generale indistinta competenza dell’Unione, perdendo non solo la propria autonoma disciplina ma anche (e soprattutto) la propria specifica rilevanza. Ne conseguirà, inevitabilmente, che l’azione dell’Unione non riguarderà mai, in maniera decisiva, la materia della cooperazione giudiziaria; o comunque mai nel modo che la materia richiederebbe.

In realtà, un’unica importante ed estremamente interessante novità è stata apportata in merito solo in tempi recentissimi. Si fa riferimento all’istituzione della Procura Europea (cd. EPPO), entrata in funzione dal 1 giugno 2021 quale organismo indipendente dell’Unione Europea incaricato di indagare, perseguire e portare in giudizio reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione (frodi, corruzione, riciclaggio…).

L’organizzazione dell’EPPO prevede due livelli.

Il primo livello, quello centrale, è formato da un Procuratore capo europeo (che gestisce l’EPPO, ne organizza il lavoro e la rappresenta) e un Collegio dei procuratori, formato dal Procuratore capo e dai Procuratori designati dai singoli Stati membri (incaricato di definire la strategia d’azione della Procura).

Il secondo livello è quello nazionale: esso è costituito dai Procuratori europei delegati (responsabili dello svolgimento di indagini penali e dell'azione penale e operano in piena indipendenza dalle rispettive autorità nazionali) e dalle Camere permanenti (che monitorano e indirizzano le indagini e adottano decisioni operative).

Ora, appare evidente la portata rivoluzionaria di tale organismo: per la prima volta nella storia, la cooperazione in tema di giustizia non resta solo dichiarazione di principio, non rimane ancorata ad una collaborazione tra Stati nazionali pur inseriti in un contesto comunitario, ma diventa direttamente fenomeno comunitario, ontologicamente e funzionalmente.

Tuttavia, appare necessario evidenziarne il vulnus: l’EPPO, infatti, è legittimata a perseguire una sola categoria di reati, quelli finanziari commessi a danno dell’Unione Europea.

E dunque, da un lato, ancora una volta l’UE sembra più preoccupata di tutelare se stessa che i propri cittadini; dall’altro, essa perde una occasione ghiottissima per dar vita ad un organo di repressione dei reati commessi nel territorio dell’Unione da organizzazioni transnazionali, anche di tenore diverso rispetti ai soli reati di carattere finanziario (in tal senso, un ottimo catalogo di riferimento potrebbe essere quello inserito nell’Accordo Italia-Spagna del 2000: reati gravi di terrorismo, criminalità organizzata, tratta di esseri umani, abusi sessuali contro minori, traffico illecito di droga e di armi).

Si auspica quindi, per dare definitivo impulso alla cooperazione in tema di giustizia quantomeno tra Stati membri e per colmare la lacuna profonda e non più trascurabile creata dall’abolizione del terzo pilastro, un nuovo e rapido intervento legislativo, volto ad ampliare la legittimazione dell’EPPO alla persecuzione di tutti quei reati gravi commessi a danno dei cittadini UE e dell’Unione stessa, che assumano carattere transazionale in quanto commessi da organizzazioni internazionali o comunque superando i confini dei singoli Stati.

Sono queste le grandi sfide dei prossimi anni di cui l’Unione dovrebbe occuparsi, sempre secondo il (dimenticato) principio di sussidiarietà iscritto nei Trattati e senza mai annullare la sovranità nazionale dei singoli Stati, ma esaltandola, promuovendone la cooperazione senza mai ingerirsi nelle vite dei singoli cittadini come un Superstato dirigista: piuttosto tornando a difenderli e proteggerli, come ogni Comunità ha il dovere di fare.


Note e riferimenti bibliografici