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Pubbl. Gio, 1 Ago 2024

Rimessa alle Sezioni Unite la confisca per equivalente del profitto del reato e possibile ripartizione tra i concorrenti

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Sofia Greco
Dottorando di ricerca



Il presente contributo ambisce a dimostrare quanto oggi sia ancora controversa la questione sull’estensibilità del principio civilistico di solidarietà passiva alle ipotesi di confisca per equivalente, in particolare, in riferimento alle fattispecie plurisoggettive. La disamina prende le mosse dall’ultima ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, del 6 giugno 2024, n. 22935, con cui la Sesta Sezione della Cassazione ha ripercorso l’evidente contrasto giurisprudenziale.


ENG

The confiscation for equivalent of the profit of the crime and possible distribution between the competitors is handed to the United Sections

The present contribution aims to demonstrate that the issue of the extensibility of the civil law principle of passive solidarity to the hypothesis of confiscation for equivalent remains controversial to this day. The examination begins with the last referral to the United Sections, dated 6 June 2024, no. 22935, in which the Sixth Section of the Supreme Court of Cassation has retraced the evident jurisprudential contrast.

Sommario1. Premesse; 2. Il caso; 3. L’esistenza di un contrasto giurisprudenziale; 3.1 Il primo ricorso per cassazione; 3.2 Il secondo ricorso per cassazione; 4. La confisca: brevi cenni; 4.1 La generale confisca ex art. 240 c.p.; 4.2 La confisca per equivalente; 5. Una perdurante oscillazione interpretativa; 5.1 La sentenza a Sezioni Unite Fisia Italimpianti; 5.2 Le visioni giurisprudenziali contrastanti; 5.3 Le critiche dottrinali sulla questione; 6. Conclusioni.

1. Premesse

L’applicazione o meno del principio solidaristico in materia di confisca per equivalente è il tema qui controverso. Per la sua risoluzione occorre stabilire se questo strumento di ablazione patrimoniale possa disporsi, nei confronti di tutti i concorrenti, per l’intero valore del profitto, indipendentemente dal conseguimento, da parte dei singoli, di una quota dello stesso o dalla misura di quanto (individualmente) percepito; alternativamente, se l’espropriazione integrale sia riservata all’ipotesi di mancata quantificazione delle singole porzioni di profitto incamerate dai correi; ovvero, ancora, se alla ripartizione in quote debba a ogni modo procedersi, ogniqualvolta quanto singolarmente percepito non sia determinabile, e, in tal caso, secondo quale criterio[1].

2. Il caso

L’ordinanza di rimessione scaturisce da due distinti ricorsi per cassazione presentati da due coimputati per il delitto di associazione a delinque finalizzata alla corruzione tra privati, e altri reati-scopo, contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. del Gip del Tribunale di Vicenza, con cui è stata disposta la confisca a carico di entrambi i ricorrenti e in specie: per il primo, la confisca diretta del denaro oggetto di profitto e, in caso di liquidità insufficiente, la confisca per equivalente di altri beni attualmente nella sua disponibilità; per il secondo, la sola confisca per equivalente del profitto dei reati a lui ascritti, considerata la indeterminatezza della quota dallo stesso conseguita.

La Sesta Sezione ha ripercorso le motivazioni del Gip vicentino in ordine all’applicazione dei provvedimenti confiscatori. Innanzitutto, questi ultimi, quando il profitto è composto unicamente da denaro, ai sensi dell’art. 240 c.p., possono avere solo natura diretta[2]. Per aversi confisca diretta, è necessario un incremento nel patrimonio del soggetto che derivi dalle utilità acquisite mediante la commissione del reato. In caso di pluralità di partecipanti, tale confisca può prendere di mira ognuno di essi, nella misura di quanto (effettivamente e singolarmente) conseguito e successivamente emerso dalle risultanze probatorie. Se, tuttavia, non risulti possibile determinarne il quantum, è possibile disporre la confisca per equivalente dell’integralità del profitto incamerato dalla societas sceleris. Sulla scorta di tali argomenti, la sentenza ha disposto la confisca diretta nei confronti di uno solo dei concorrenti (e in particolare del primo) poiché, dalle risultanze probatorie, l’incremento patrimoniale è emerso solo a carico di quest’ultimo. Invece, nei confronti dell’altro, è stata disposta la confisca per equivalente sulla base dell’interezza del profitto, atteso che, dalle risultanze probatorie, alcun dato è stato utile a chiarire la quantità di profitto da questi acquisita. A tale conclusione si è giunti in virtù delle dichiarazioni del primo ricorrente, perché il profitto ricavato dai singoli episodi corruttivi sarebbe interamente confluito nella sua disponibilità e sarebbe stato lui stesso a suddividerlo, in un secondo momento, agli altri, in base agli accordi di spartizione a monte intervenuti. L’esistenza di questi ultimi, sebbene negata dagli altri coimputati, sarebbe stata confermata da alcuni file Excel; tuttavia non vi sarebbe la certezza che essi siano stati onorati e che la divisione sia effettivamente avvenuta. In ultimo, ma non meno importante, secondo la decisione, le cifre indicate dal Pubblico Ministero nei capi di imputazione non sarebbero utilizzabili ai fini della determinazione del profitto effettivamente distribuito, poiché riconducibili alle sole dichiarazioni degli imputati e, pertanto, incapaci di fondare una decisione (alla cui base debbono porsi unicamente fatti concretamente accertati).

3. L’esistenza di un contrasto giurisprudenziale

Dalle risultanze processuali e, in particolare, dalle dichiarazioni del primo ricorrente è così risultato che l’integralità del profitto era pervenuta nella sua disponibilità, senza prova alcuna della successiva spartizione. Sulla base di ciò, sono state disposte le tre misure confiscatorie: diretta e per equivalente al primo, di valore per il secondo. I due ricorrenti, lamentando la violazione di legge in relazione all’applicazione della confisca in capo a ciascuno per l’intero profitto, hanno rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, oggi rimesso alle Sezioni Unite.

3.1 Il primo ricorso per cassazione

Innanzitutto, per il primo motivo di ricorso, non sarebbe stato correttamente dimostrato l’avvenuto conseguimento dell’intero profitto in capo al ricorrente, con conseguente impossibilità di disporre nei suoi confronti la confisca diretta del relativo importo. Il Gip non avrebbe argomentato in maniera uniforme, poiché da un lato, ha sostenuto l’utilizzabilità delle dichiarazioni ai fini della dimostrazione dell’esistenza del profitto, dall’altro ha reputato gli stessi dati inutilizzabili per dimostrare l’effettività della spartizione. Mancando di provare adeguatamente in ordine al concreto implemento patrimoniale da parte del ricorrente, risulterebbe illegittima già la sola confisca diretta. Con la decisione, dunque, non solo si sarebbe ritenuta l’esistenza del profitto sulla base di dati ritenuti successivamente inidonei a dimostrarne la spartizione effettiva, ma si sarebbe attribuita l’integralità di tale profitto al solo ricorrente, traslando imprudentemente il principio civilistico della solidarietà passiva, utilizzato talvolta per la confisca di valore, alla confisca diretta.

Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la possibilità di estendere il principio solidaristico anche alla confisca per equivalente. Secondo diverse pronunce, quest’ultima può essere applicata individualmente a ciascun correo, anche quando risulti impossibile determinare esattamente la frazione di profitto spettante a ognuno, purché si rispettino gli obblighi di solidarietà interni al sodalizio e il grado di responsabilità attribuibile a ciascun singolo partecipante e non vengano operate duplicazioni di sorta. Se il livello di responsabilità non può essere determinato, deve considerarsi in parti uguali, altrimenti ne conseguirebbe la violazione sia del principio di legalità, in particolare il divieto di responsabilità per fatti altrui, sia del principio di proporzionalità delle sanzioni, cardini della tradizione costituzionale europea.

La confisca, anche se disposta per equivalente, non dovrebbe superare l’entità del complessivo profitto. Nel caso specifico, invece, vi sarebbe stata una duplicazione degli importi confiscati nei confronti di entrambi gli imputati.

3.2 Il secondo ricorso per cassazione

Con il secondo dei ricorsi, si è lamentata la contraddittorietà e la manifesta illogicità della sentenza, per avere escluso l’avvenuto accertamento delle (minori) somme effettivamente conseguite dal ricorrente. Per il Gip, le risultanze probatorie sarebbero state insufficienti a stabilire il quantum effettivamente conseguito dal singolo imputato. Individuandosi l’introito dell’altro coimputato, e procedendosi per sottrazione, avrebbe potuto stabilirsi quanto ricavato dagli altri. La sentenza, inoltre, sosterrebbe erroneamente la mancanza di una prova specifica relativa ai passaggi di denaro intervenuti tra i due coimputati.

4. La confisca: brevi cenni

Preme ora illustrare brevemente l’istituto in oggetto, ai fini di una migliore chiarezza espositiva. 

La confisca, nonostante la sua collazione tra le misure di sicurezza, assurge a forma sanzionatoria di espropriazione di beni appartenenti all’autore di un reato, poiché prescinde dal principale requisito delle altre misure di sicurezza, ossia la pericolosità del reo. Il presupposto risiede, invero, nella pericolosità oggettiva della cosa che, nella confisca obbligatoria, allude a una presunzione assoluta; circostanza non estendibile all’ipotesi facoltativa che richiede invece un’analisi in concreto. La pericolosità è intesa in senso relazionale[3], tale per cui va riferita al rapporto intercorrente tra l’autore del reato e la cosa, la cui disponibilità potrebbe elevarsi a (possibile) fattore criminogeno[4].

La misura ablatoria della confisca consiste nell’espropriazione delle cose che servirono o che furono destinate a commettere il reato ovvero che ne rappresentino il prodotto, il profitto o il prezzo. Parte della dottrina ha ritenuto di qualificarla come una sanzione sui generis o come una pena accessoria[5].  

Trae origine dal diritto romano, ove, la confiscatio, strumento dalla natura sia sanzionatoria che redentiva, era utilizzata per eliminare le tracce materiali del reo, dopo la sua condanna a morte o il suo esilio. Successivamente, durante l’epoca illuminista, i giuristi cominciarono ad auspicarne l’eliminazione, considerandola un’irrazionale aggressione a beni appartenenti anche a persone diverse dal condannato[6].

4.1 La generale confisca dell’art. 240 c.p.

Un’ipotesi generale di confisca è oggi contenuta all’art. 240 del codice penale. Applicabile indistintamente a tutti i reati, ha natura facoltativa, quando riferita al prodotto e al profitto del reato, e quindi strumentale rispetto a esso; od obbligatoria, quando concernente il prezzo del reato e le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisce reato. Nell’attuale assetto, la confisca assume la forma di misura di sicurezza patrimoniale volta all’apprensione di beni individuabili e attinenti o collegati alla commissione di un reato[7].

Dopo l’entrata in vigore del codice del 1930, questa forma espropriativa statale ha assunto diverse forme, distinte per oggetto, disciplina e finalità perseguite. La confisca ex art. 240 c.p. non è, pertanto, la sola contemplata. Nel corso del tempo se ne sono affiancate altre tipologie, con un’espansione dei casi di obbligatorietà e dei beni oggetto di apprensione. L’istituto ha progressivamente assunto un carattere sempre più afflittivo e, dunque, simile a quello originario; ne è sintomo, per esempio, in alcuni casi, l’eliminazione o l’attenuazione di un diretto nesso eziologico tra i beni confiscati e il reato commesso. Tali forme speciali costituiscono oggi il principale strumento atto al contrasto di forme di criminalità di stampo patrimoniale. Quasi sempre preceduta dalla misura cautelare del sequestro preventivo ex art 321 co. 2 c.p.p., si tratta di un istituto versatile e adattabile alle più disparate forme di criminalità, nel cui alveo rientrano, fra i tanti, reati come quello oggetto dell’ordinanza in commento, ossia associazioni criminose, e quindi delitti scopo, nonché reati economici, come le fattispecie corruttive[8].

4.2 La confisca per equivalente

Ulteriore allontanamento dallo schema tradizionale è il frequente ricorso alla confisca per equivalente (o di valore) che determina il venir meno del nesso eziologico tra le cose confiscate e il fatto di reato, riconoscendosi, qualora sia impossibile agire direttamente sui beni che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, la possibilità di confiscare altre utilità di valore equivalente di cui il reo disponga nell’attualità. Introdotta per il contrasto di alcune gravi forme di criminalità, si caratterizza per una vocazione intrinsecamente punitiva: per l’eccessiva dilatazione dei beni aggredibili e per l’oggettività non riconducibile a valutazioni in termini di colpevolezza o pericolosità, tale tipologia di confisca può ridursi a un mero prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti[9].

Le confische speciali, destinate a specifiche ipotesi di reato e contemplate da singole norme del codice penale o legislazione complementare, consistono nella mera apprensione di beni di valore equivalente ai proventi[10]. Per fare un esempio, l’ipotesi dell’art. 322-ter c.p., destinata alle fattispecie corruttive, come pure il sequestro ad essa prodromico, presuppone che il profitto sia stato effettivamente conseguito dal reo, poiché solo a tale condizione sarebbe giustificabile una forma di ablazione finalizzata a impedire che esso possa avvantaggiarsi dei frutti economici della sua iniziativa illecita[11]. La maggior parte di queste figure speciali è applicabile anche nella forma “per equivalente”.

Ampliare la gamma dei beni soggetti a confisca, includendo quelli di valore equivalente, risponde chiaramente all'esigenza di non compromettere il raggiungimento degli obiettivi politico-criminali dell’istituto nei casi in cui i proventi diretti del reato non siano più intercettabili. Ciononostante, la sua applicazione demanda che l’apprensione del profitto originario sia divenuto impossibile[12]. La giurisprudenza ha però tendenzialmente esteso le ipotesi applicative di tale forma di confisca, andando spesso anche al di là del valore dei proventi effettivi. Si è affermata (e ammessa), come nel caso della sentenza oggetto dell’ordinanza di rimessione, la confiscabilità dell’intero ammontare dei profitti presso uno qualunque dei concorrenti, anche se il provento illecito non sia presso il di lui patrimonio transitato, o lo sia stato solo in minima parte[13].

5. Una perdurante oscillazione interpretativa

Come rammentato dall’ordinanza di rimessione, il contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità dell’istituto della confisca per equivalente alle ipotesi concorsuali perdura da molto tempo, e si è ulteriormente ripresentato con la sentenza del Gip di Vicenza, trattandosi di un istituto avente numerosi impatti sulla libertà individuale del singolo, ed essendo stato il catalogo di reati da cui essa può scaturire progressivamente esteso a fattispecie caratterizzate dal preponderante interesse economico. Le questioni controverse si pongono in termini pressoché speculari a quelle riguardanti il sequestro preventivo, di cui all’art. 321 co. 2 c.p.p., avente una funzione strumentale alla confisca. Nel caso della misura cautelare reale, il contrasto si articola ulteriormente, poiché anche tra chi sostiene la necessaria ripartizione del profitto tra i concorrenti all’atto della confisca per equivalente, vi è chi ritiene che «il sequestro ad essa funzionale possa essere sempre disposto per l’intero nei confronti anche di uno solo di essi, dal momento che solo la misura definitiva presenta una natura sanzionatoria, non potendo perciò essa prescindere dal riparto tra i compartecipi dell’azione criminosa, sempre che sia possibile»[14].

Nonostante l’uno, il sequestro, sia preordinato alla confisca, si riscontrano dei disequilibri nella concreta applicazione dei due istituti, probabilmente giustificati dalla ratio a essi sottesa ed è per questo che la giurisprudenza tende a farne un’analisi simultanea.

5.1 La sentenza a Sezioni Unite “Fisia Italimpianti”

Le Sezioni Unite, con la decisione n. 26654 del 27 marzo 2008 (Fisia Italimpianti), si erano già pronunciate in merito all’estensione del principio solidaristico alle ipotesi di confisca, anche se ad oggi il dibattito non sembra essersi arrestato a causa delle letture contraddittorie prodotte dalla successiva giurisprudenza di legittimità. Secondo le Sezioni Unite, il principio solidaristico sarebbe compatibile con la disciplina del concorso di reato e comporterebbe l’imputazione dell’intera azione delittuosa, e dei conseguenti effetti, in capo a ciascun concorrente. Il profitto viene considerato come un unicum, senza che si operino frazionamenti individuali di sorta.

La confisca per equivalente può essere così disposta nei confronti, indistintamente, di ciascun concorrente, anche per l’integralità del profitto accertato, ma entro i suoi limiti quantitativi. La ratio risiederebbe nella corresponsabilità dell’intero sodalizio: un’unica responsabilità attribuibile a tutti i concorrenti al fatto di reato, senza che assumano rilievo accordi di spartizione in precedenza stipulati, costituenti, ai sensi della decisione, meri fatti interni.

Secondo tale orientamento, oggi maggioritario, potrà ammettersi la confisca pro quota soltanto ove le singole porzioni di profitto incamerate dai correi (singolarmente) risultino agevolmente quantificabili. Ma nel caso non possa procedersi a tale individuazione, dovrà procedersi per l’intero importo del profitto nei confronti di tutti, senza duplicazione alcuna[15]. In effetti, richiamando un orientamento solo in apparenza contrastante, si pone in evidenza come il sequestro preventivo alla confisca per equivalente non possa eccedere, per ciascuno dei concorrenti, la misura della quota al singolo attribuibile, sempre che la stessa sia individuata o individuabile[16]. Per gli Ermellini, quindi, sarebbe chiaro che nel momento in cui non sia possibile individuare né la quota singolarmente attribuibile né il relativo quantum, la misura cautelare reale dovrà disporsi per l’intero importo, nei confronti di ognuno, senza tuttavia operare duplicazioni di sorta.

L’adesione al principio solidaristico comporta dunque la considerazione del profitto nella sua interezza, indipendentemente dalle porzioni di responsabilità singolarmente intese, con l’unico accorgimento che non si oltrepassi il quantum complessivo. Ai fini sia della confisca sia del sequestro, è quindi irrilevante stabilire se il sodalo abbia effettivamente incamerato qualcosa e in quale misura[17].

Trattandosi di una forma di prelievo pubblico a compensazione di guadagni illeciti, risulta evidente la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, conseguendo la stessa alla produzione di un profitto illecito e non alla effettiva disponibilità dello stesso. Sicché essa s’impone a tutti coloro che siano concorsi a produrre tale profitto, rispondendo con i beni presenti nell’attualità, quando il profitto non possa reperirsi nella sua identità fisica storica. Tale tipologia di confisca assolve, difatti, una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica modificata dalla commissione del fatto illecito, imponendo il sacrificio patrimoniale a carico del responsabile. È connotata, pertanto, da un’evidente oggettività, conseguendo, sic et simpliciter, alla commissione del fatto, non ascrivendosi a essa la funzione di prevenzione tipica delle misure di sicurezza.

Tale orientamento, condividendo la diretta trasposizione dei canoni di solidarietà civilistici alla materia penale, è frutto di una concezione cd. unitaria della fattispecie concorsuale, per cui il profitto (nella sua integralità) è direttamente ricollegabile all’imputazione considerata nella sua interezza (e non come singole porzioni di responsabilità)[18]. Pertanto, l’intera azione delittuosa può attribuirsi indifferentemente, anche per l’interezza del profitto accertato, al singolo concorrente, tenendo conto dei limiti quantitativi e senza eccedersi l’intero (il quantum). Alla commissione di una fattispecie associativa, conseguirebbe dunque l’idea di corresponsabilità (integrale) del fatto di reato, senza che si consideri il singolo arricchimento dell’uno o dell’altro e che si badi al riparto del singolo onere, mero fatto interno al sodalizio. Una volta che l’apprensione patrimoniale è stata disposta nei confronti di uno soltanto dei correi, la corresponsabilità non può costituire il pretesto per duplicare l’apprensione patrimoniale. Ciascun concorrente, la cui attività si sia inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, risponde anche degli atti posti in essere dagli altri e dell’evento delittuoso nella sua globalità, considerato come l’effetto dell’azione combinata di tutti i compartecipi.

5.2 Le visioni giurisprudenziali contrastanti

Muovendo dalla sentenza Fisia Italimpianti, un diverso orientamento ha valorizzato il principio per cui l’ablazione per equivalente possa attingere, per l’intero importo del profitto, le disponibilità di ciascun concorrente nel reato – sempre senza operarsi duplicazioni e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti – solamente nel caso in cui la natura della fattispecie concreta, e dei rapporti economici ad essa sottostanti, non consenta né la corretta individuazione delle quote né l’esatta quantificazione, dovendo l’importo complessivo, altrimenti, essere ripartito tra i vari concorrenti in ragione di quanto da ciascuno percepito[19].

Secondo un altro orientamento, opposto a quello delle Sezioni Unite, si deve procedere alla ripartizione del profitto tra i concorrenti nel reato, anche quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto effettivamente realizzata da ognuno. Ciononostante, le decisioni che si sono susseguite esprimono discordia in merito al criterio da adottare per la spartizione: se la suddivisione debba avvenire in parti eguali, secondo la disciplina prevista per le obbligazioni solidali dall’art. 1298 c.c. e dal successivo 2055, per la responsabilità da fatto illecito[20]; oppure se debba aversi riguardo al “grado di responsabilità” del singolo concorrente e al suo “grado di partecipazione al profitto”, desunta anche da criteri sintomatici, dovendosi optare per la suddivisione in parti eguali soltanto in assenza di un criterio attendibile di riparto[21].

Si sarebbe così formato un contrapposto orientamento che, enfatizzandone il carattere sanzionatorio, prevede che la confisca di valore non possa coinvolgere indistintamente ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto, ma debba commisurarsi al “grado di partecipazione al profitto”; solo nell’impossibilità di determinare l’esatta divisione, deve procedersi pro quota. Ciò sul presupposto, non solo del diverso grado di responsabilità del concorrente ex art. 110 c.p., ma anche della consistenza della singola porzione di profitto incamerata da ciascuno[22].

In relazione alla fattispecie associativa, l’ablazione dei beni dei singoli concorrenti dovrebbe quindi parametrarsi alla quota di profitto da essi – individualmente – percepita[23]; difatti, la confisca non dovrebbe eccederne il quantum, anche nel caso in cui, nei confronti degli altri concorrenti, non sia possibile disporre alcun provvedimento ablatorio. Si tratterebbe di una conseguenza diretta di uno dei principi cardine del sistema penale, ossia la responsabilità personale che, ai sensi dell’art. 27 co. 1 Cost., esclude la responsabilità per fatto altrui. Pertanto, la natura punitiva dell’istituto (considerato anche che ogni sanzione al singolo attribuita deve essere proporzionata al fatto commesso), escluderebbe l’ablazione di importi superiori a quello effettivamente incamerato dal reo.

Tale ultimo orientamento risulta in linea con le critiche espresse dalla dottrina.

5.3 Le critiche dottrinali sulla questione

Non poche sono state le critiche espresse dalla dottrina; prima fra tutte, quella relativa al concorsus delinquentum. Nella considerazione dei singoli apporti, l’art. 110 c.p. si riferirebbe all’individuazione delle (singole) condotte. In tal senso, la diretta riferibilità del principio solidaristico alle ipotesi di concorso non sarebbe possibile, in quanto si realizzerebbe una indebita estensione alla confisca di quanto disposto dagli artt. 2055 c.c. e 187 c.p. in materia di responsabilità civile[24]. Se, per il ristoro del danno patito dal danneggiato, la solidarietà passiva è la soluzione, stesso discorso non può immediatamente e direttamente valere in materia di confisca, non solo per l’assenza di specifici referenti normativi, ma anche per la diversa motivazione dei due istituti (risarcimento del danno e confisca). Ciò vale ancor più se il riferimento è la confisca per equivalente, la cui natura sanzionatoria richiama direttamente due dei canoni del principio di legalità penale, il favor rei e il divieto di retroattività in peius. Operando indistintamente la confisca per equivalente nei confronti di ogni concorrente, si opererebbe non solo una sproporzione, derivante da una interpretazione analogica in malam partem, atta a fare subire conseguenze sfavorevoli, non previamente dalla legge previste, ma si finirebbe per azzerare l’idea di prevenzione speciale attesa dalla confisca (ossia la sua controspinta), tenuto conto che l’effettivo percettore del profitto potrebbe restarne immune, oltreché impunito, continuando a godere di quanto illecitamente appreso, senza conseguenza alcuna[25].

La dottrina quindi esclude la diretta permutabilità del principio solidaristico alla confisca, dovendosi operare il provvedimento ablatorio solo in riferimento all’ammontare della quota effettivamente percepita dal singolo concorrente.

6. Conclusioni

L’obiettivo dell’ordinanza de quo è comprendere come si coniughi un principio civilistico come la solidarietà passiva in un’ottica di uniformità giurisprudenziale, in particolare, in un settore del diritto ove la certezza dei risultati non può che essere garantita e dove la disparità di trattamento non può essere contemplata. Si tratta di una questione interpretativa atta a chiarire come i principi civilistici debbano transitare nella trattazione di istituti come il concorso di persone nel reato e la confisca, in assenza di interventi da parte del legislatore e volendosi evitare il duplicarsi di risultati sfavorevoli all’individuo, come può essere la duplicazione della “riposta sanzionatoria”. La questione assume particolare importanza soprattutto in merito a strumenti atti a limitare il fermento di reati dal forte impatto sociale che però, se mal gestiti, possono portare ad abusi o a un’illegittima compressione della libertà individuale. Restiamo dunque in attesa di conoscere quale sarà la strada che la Cassazione deciderà di intraprendere.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Testualmente, l’ordinanza ha posto il quesito seguente: «se, in caso di concorso di persone nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l´intero nei confronti di ciascuno dei concorrenti, indipendentemente da quanto da ognuno percepito, ovvero se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto attribuibile a ognuno oppure ancora se la confisca debba essere comunque ripartita tra i concorrenti, in base al grado di responsabilità di ciascuno o in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali».

[2] A sostegno di tale assunto la nota sentenza Gubert. Cfr. Cass., Sez. Unite, n. 10561/2014: «La confisca del profitto, quando si tratta di denaro o beni fungibili, non è una confisca per equivalente, ma diretta».

[3] Roberto Garofoli, Manuale di diritto penale, Parte generale, Molfetta (BA), Nel Diritto Editore, 2023, p. 1346.

[4] Cass. pen., Sez. II, n. 25448/2017: «Prevenire la consumazione di futuri reati mediante l’esproprio di cose che, per essere strettamente collegate all’esecuzione di illeciti penali e strutturalmente funzionali alla commissione di reati, manterrebbero, se lasciati nella disponibilità del reo, viva l’idea e l’attrattiva del reato e renderebbero agevolmente possibile una ulteriore violazione della legge penale».

[5] Giovanni Fiandaca, Enzo Musco, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, 2010, p. 735.

[6] Alberto Cadoppi et al., Diritto penale, Omia - Trattati giuridici, Milano, UTET Giuridica, 2022, p. 1040.

[7] Ibidem, p. 1041.

[8] Ibidem, p. 1042.

[9] Ibidem, p. 1043.

[10] Ibidem, p. 1051.

[11] Cass. pen., Sez. VI, n. 9929/2014.

[12] Alberto Cadoppi et al., Diritto penale, Omia - Trattati giuridici, Milano, UTET Giuridica, 2022, p. 1060.

[13] Ibidem, p. 1061.

[14] Cass. pen., Sez. VI, n. 4727/2021.

[15] Ibidem, par. 8.

[16] Cass. pen., Sez. VI, n. 25877/2006; n. 31690/2007; n. 30966/2007.

[17] Cass. pen., Sez. II, n. 9102/2020; Sez. V, n. 36069/2020; Sez. VI, n 26621/2018; Sez. III, 27072/2015; Sez. F, n. 33409/2009.

[18] R. Garofoli, op.cit., p. 1357.

[19] Cass. pen., Sez. VI n. 6607/2020; Sez. VI, n. 33757/2022; da ultimo e nelle more dell’ordinanza de quo: Sez. III, n. 11617/2024, in riferimento alla confisca per equivalente prevista dall’art. 452-quaterdecies c.p.

[20] Cass. pen., Sez. I, n. 4902/2016.

[21] Cass. Pen., Sez. VI, n. 4727/2021.

[22] R. Garofoli, op.cit., p. 1359.

[23] Cass. pen., Sez. V, n. 20101/2014.

[24] R. Garofoli, op.cit., p. 1358.

[25] Ivi. Cfr. Vincenzo Mongillo, Profili critici della responsabilità da reato degli enti alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale (seconda parte: misure cautelari interdittive e sequestro ai fini di confisca), in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2010, n. 1, p. 179.