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Pubbl. Lun, 4 Gen 2016

L´obbligo di notifica alla persona offesa della revoca o sostituzione delle misure cautelari

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Massimiliano Pace


Natura dell´obbligo di notifica alla persona offesa sancito dal terzo comma dell´art. 299 del codice di procedura penale nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona. Con la sentenza n. 49339 depositata il 15 dicembre 2015 la Corte di Cassazione ha affermato una soluzione ermeneutica estensiva della nozione di violenza sulla persona che consente di riferire l’obbligo di notifica a un genus indeterminato di delitti “a prescindere dal loro inquadramento sistematico formale e dal bene giuridico protetto dalla relativa incriminazione”.


La disciplina in materia di revoca e sostituzione delle misure personali è contenuta all’art. 299 del codice di rito e ha costituito oggetto di vari interventi di riforma, da ultimo il d.l. 14 agosto 2013 n. 93 (convertito con modificazioni nella l. 119 del 2013) e in via marginale anche la recentissima L. 16 aprile 2015, n. 47. In particolare il decreto legge 93 del 2013, denominato “decreto contro la violenza di genere”, ha introdotto una significativa modifica al citato art. 299 del codice di procedura penale, riformulando il comma 3 e aggiungendo un nuovo comma 2bis con l’intento, in linea con la ratio stessa del decreto, di rafforzare le tutele anche processuali delle vittime di violenza alla persona. È opportuno precisare che a livello normativo la legge di conversione n. 119/2013 ha ampliato le garanzie a tutela delle vittime dei reati non soltanto derivanti dalla c.d. violenza di genere, ma in generale derivanti dalla violenza alla persona in quanto tale.

Secondo il disposto del comma 2bis, infatti, i provvedimenti di revoca e sostituzione delle misure coercitive e interdittive, se adottati con riferimento a procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, “devono essere immediatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa”. Si tratta di un obbligo informativo posto a carico della polizia giudiziaria che va collegato all’obbligo di notifica di cui sono gravati rispettivamente il pubblico ministero e l’imputato allorquando rivolgono al giudice la richiesta di revoca e sostituzione delle misure. Dal combinato disposto del comma 2bis e del successivo comma 3 si delinea un quadro di tutela che risponde all’esigenza di porre al riparo quei soggetti deboli che siano vittime di condotte violente e suscettibili di reiterazione; in particolare, la ratio del terzo comma è quella di consentire alla persona offesa, mediante il proprio difensore, di presentare memorie ex art. 121 c.p.p., al fine di contestare la richiesta di revoca o sostituzione in melius di misure cautelari precedentemente applicate. Lo stesso comma stabilisce che l’onere di notifica grava sulla parte che ha richiesto il provvedimento di revoca o sostituzione e il mancato adempimento costituisce causa di inammissibilità della richiesta stessa.

Premesso il quadro normativo, si richiama qui una interessante pronuncia della Prima sezione della Corte di Cassazione (sentenza n. 49339, udienza del 29/10/2015), depositata il 15 dicembre 2015, con la quale i giudici di legittimità hanno chiarito l’ambito di applicazione dei commi 2bis e 3 dell’art. 299 c.p.p. a proposito della nozione di “delitti commessi con violenza alla persona”. La questio da cui trae origine il ricorso per violazione di legge, è posta dal comma 2bis che non offre alcuna specificazione in ordine al contenuto dei delitti commessi con violenza alla persona ai fini della sussistenza dell’onere di notifica a pena di inammissibilità ai sensi del successivo terzo comma. La Prima Sezione, accogliendo il ricorso nei termini delle motivazioni della sentenza, ha preliminarmente affermato la natura oggettiva della notifica, diretta a instaurare un contraddittorio cartolare con la persona offesa, titolare infatti del diritto a presentare memorie.

Si legge nella sentenza richiamata che “la tipologia di delitti in relazione ai quali deve trovare applicazione la novità normativa risulta, dunque, individuata dalla legge non già in termini astratti, con riguardo al nomen iuris del titolo dei reati, indicati singolarmente o per categorie giuridiche tipiche, corrispondenti alla classificazione contenuta nel secondo libro del codice penale o nelle leggi speciali, ma con riferimento al concreto atteggiarsi delle modalità commissive della condotta”; ne deriva che il giudice chiamato a decidere sulla revoca o modifica della misura non potrà limitarsi a considerare la “riconducibilità teorica del delitto contestato nel titolo cautelare”, ma dovrà guardare nel singolo caso alla condotta materiale caratterizzata dalla concreta esplicazione di atti di violenza commessi nei confronti della persona offesa.

In tali termini, la soluzione ermeneutica estensiva della nozione di violenza sulla persona, consente di riferire l’obbligo di notifica a un genus indeterminato di delitti “a prescindere dal loro inquadramento sistematico formale e dal bene giuridico protetto dalla relativa incriminazione”: così da una specifica condotta esplicata in forma violenta potrà derivare l’obbligo di notifica alla persona offesa anche se il delitto contestato non è riconducibile sul piano tecnico al novero dei “delitti contro la persona”.

La nozione di violenza contro la persona così ampiamente delineata dalla norma e priva di ulteriori specificazioni non può consentire di distinguere, secondo la Corte, le diverse forme di violenza (fisica, psicologica, morale) né tanto meno tra fattispecie consumate e solo tentate. La finalità dell’obbligo di notifica così definito, è quella di apprestare uno strumento processuale rivolto ad una “platea indifferenziata di persone, offese da una ampia gamma di delitti”. In conclusione, l’ambito di applicabilità dell’obbligo di notifica alla persona offesa, dovrà dirsi comprensivo non soltanto dei reati le cui fattispecie legali astratte siano connotate dalla violenza alla persona (intesa come elemento del reato), ma anche di quei reati rispetto ai quali la violenza abbia costituito una modalità concreta della condotta in danno della persona offesa.