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Pubbl. Lun, 4 Mar 2024

La Corte Costituzionale dichiara illegittimo il divieto di equivalenza o di prevalenza dell´attenuante del vizio parziale di mente nella rapina

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Francesco Gasbarra
AvvocatoLUISS Guido Carli



Con la sentenza numero 217 del 2023 la Corte Costituzionale torna a parlare delle aggravanti ”blindate” o ”privilegiate”. Quello che potrebbe apparire un continuum delle sentenze n. 18 del 2014, 15 del 2016, 205 del 2017 e 55 del 2021, è invece una disamina sulle aggravanti ”blindate” in generale e sulle attenuanti di cui gli articoli 89 e 98 c.p., in particolare.


ENG With sentence number 217 of 2023 the Constitutional Court gets back on talking about ”armored (blindate)” or ”privileged (privilegiate)” aggravating circumstances. What might seem to be a continuum of the sentences no. 18 of 2014, 15 of 2016, 205 of 2017 and 55 of 2021, is instead an examination of the ”armored” aggravating circumstances in general and the mitigating circumstances referred to in articles 89 and 98 of the criminal code, in particular.

Sommario: 1. Premessa; 2. Il quesito posto al vaglio della Consulta; 3. Le aggravanti “blindate” o “prevalenti” sono sempre incostituzionali?; 4. L’irragionevole disparità di trattamento tra le attenuanti ex art. 89 e 98 c.p.; 5. In conclusione.

1. Premessa

Con la sentenza nr. 217 del 2023 la Corte Costituzionale torna a parlare delle aggravanti c.d. “blindate” o “privilegiate”. Con questo termine si intende tutte quelle specifiche aggravanti che, per precisa scelta del Legislatore, hanno regole speciali nei casi di giudizi di bilanciamento. Nello specifico ci si interroga sui limiti in cui incorre il Legislatore nel limitare il potere del giudice di merito nell’individualizzare la pena.

2. Il quesito posto al vaglio della Consulta

Il caso in esame alla Consulta riguardava, in estrema sintesi, un fatto di tentata rapina, compiuta all’interno di una privata dimora, da una persona in stato di parziale infermità di mente.          

La questione, dunque, riguardava il rapporto tra l’aggravante prevista dall’articolo 628, comma III, nr. 3 bis c.p. e la diminuente ex art. 89 c.p. L’aggravante in esame è “blindata” poiché ex art. 628 comma V c.p.: «Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti».

Dunque, dalla lettura del combinato disposto dei commi III, IV e V dell’articolo 628 c.p., nel caso di rapine avvenute in abitazione, tranne quando a compierle sia un minore, non si potrà che applicare la cornice edittale aggravata prevista dal comma IV e solo successivamente, ove ritenute prevalenti, si potranno applicare le diminuenti previste per le attenuanti.
Secondo l’ordinanza del Tribunale ordinario di Torino, I sezione penale, potrebbe essere in conflitto con gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.  Questo perché, da granitica giurisprudenza della Corte Costituzionale, il principio di eguaglianza ed il fine rieducativo della pena sono stati declinati nel c.d. “principio di ragionevolezza”[1]. Questo perché da un lato, tramite il principio di eguaglianza appaiono censurabili le scelte del Legislatore di prevedere sanzioni molto diverse per fattispecie omogenee; dall’altro, appare contrario al fine rieducativo della pena, sancire pene irragionevolmente troppo, come anche troppo poco, severe.  

3. Le aggravanti “blindate” o “prevalenti” sono sempre incostituzionali?

La prima considerazione dell’On Corte è che le aggravanti “blindate” non risultano tout court incostituzionali; lo sono esclusivamente dove limitano, irragionevolmente, la possibilità del giudice di individualizzare la pena, finendo in tal modo per parificare situazioni giuridicamente molto diverse tra loro. Infatti, ove un’aggravante proibisse, senza deroga alcuna, di compiere un bilanciamento in cui risultassero non prevalenti le aggravanti, si toglierebbe al giudice la possibilità di apprezzare tutte le circostanze attenuanti andando, in tal modo, a comminare la medesima sanzione per situazioni giuridicamente molto disomogenee.

La possibilità, invece, di prevedere una cornice edittale più severe in presenza di specifici elementi oggettivi o soggettivi rientra tra i compiuti esclusivi del Legislatore, basata su scelte di politica criminale, giacché «sulla misura delle pene edittali la Costituzione non dà indicazioni dirette»[2].

Si pensi, al contrario, al fatto che, ex art. 25 Cost., sarebbe incostituzionale una norma che statuendo un precetto, non definisse la sanzione applicabile e demandasse questo compito al giudice, permettendogli in questo modo il massimo grado di individualizzazione della stessa. Questo, ovviamente, avverrebbe esclusivamente ove venisse fatta deroga alle norme del Codice Penale che statuiscono, per ciascuna sanzione penale, un generico minimo e massimo edittale[3].  

Come è stato anticipato, questa discrezionalità del Parlamento ha, però, un limite imposto dagli articoli 3 e 27 Cost.. Si dovrà, quindi, evitare che vi sia troppa disparità tra le sanzioni previste per lesioni simili del medesimo bene giuridico, come anche che non ve ne sia quando, invece, vi sia grande disparità nel bene giuridico tutelato. Ne «discende che il dosaggio della sanzione dovrà da un lato non pregiudicare già al livello della previsione astratta il conseguimento della finalità rieducativa della pena; dall’altro rispecchiare la “differenza di colpevolezza”»[4].

Come si stava dicendo, le aggravanti “blindate” non impediscono al Giudice di merito di decretare la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti - che non siano quelle blindate -, ma dispongono, invece, quelle che risultano essere delle diverse cornici edittali, nello specifico più severe, da applicarsi in determinati casi. Questo, a parere della Somma Consulta, appare come congruo rispetto ai limiti che la Costituzione pone al Legislatore. Non si può, in tal senso, non considerare che, se anziché di un elemento valutato come circostanza aggravante, stessimo parlando di un elemento oggettivo che caratterizza una fattispecie a sé stante avente una cornice edittale più elevata, la questione non esisterebbe. È il caso i.e. del furto in abitazione che, a differenza della rapina, non costituisce un’aggravante ma un reato autonomo e dunque nessuna questione potrebbe sorgere circa l’impossibilità di applicare la cornice edittale del furto semplice in presenza di circostanze attenuanti.

Inoltre, rileva la Consulta, il sistema delle aggravanti “blindate” era quello applicato dal Codice Penale per tutte le aggravanti speciali, prima della riforma del 1947.

Dunque, non vi è motivo alcuno per ritenere che le circostanze aggravanti “blindate” non possano far parte, legittimamente, del nostro Ordinamento, giacché permettono al giudice di irrogare pene commisurate con l’effettivo grado di colpevolezza del condannato e con la lesione del bene giuridico tutelato. In questo, aggiunge la Corte, risiede la differenza con il meccanismo previsto dalla lettera del IV comma dell’art. 69 c.p., colpito da plurime pronunce di incostituzionalità[5]. Infatti, l’articolo 69 IV comma c.p. non permetteva in alcun modo di applicare le circostanze attenuanti, finendo, come si è detto, di parificare situazioni giuridiche molto diverse tra loro.

Nel caso che qui ci occupa, giova ribadirlo, il Giudice potrà applicare le attenuanti, tenendo quindi in debito conto le particolari circostanze del caso concreto sottoposto al suo vaglio, ma potrà farlo solo dopo aver applicato l’innalzamento del limite edittale previsto dall’aggravante “blindata”.

4. L’irragionevole disparità di trattamento tra le attenuanti ex art. 89 e 98 c.p.

Vi è però in questo caso, prosegue la Consulta, un tertium comparationis: la deroga prevista dello stesso IV comma dell’articolo 628 c.p.: l’attenuante di cui all’articolo 98c.p.. Parliamo quindi dell’attenuante prevista per il minore di anni diciotto.

È prevista, quindi, la possibilità per i minori che commettano i.e. una rapina all’interno di una privata dimora di vedere prevalere le diminuenti di pena, previste per le attenuanti, applicate sulla cornice edittale “base” dell’articolo 628 cpv. 

Appare dunque evidente come, il Legislatore abbia valutato che, stante la possibilità per una persona alle soglie della maggiore età, di comprendere appieno il disvalore sociale della propria condotta, la - presunta - non piena maturità dello stesso sia tale da ridurre la rimproverabilità della condotta stessa, e dunque la pena applicabile. Stabilito, quindi, la ratio di quella che ha spinto l’estensore delle Leggi a prevedere una deroga all’aggravante in esame, bisogna chiedersi se vi sia omogeneità tra l’attenuante di cui all’articolo 98 c.p. e quella ex art. 89 c.p..

La risposta a tale quesito non può che essere affermativa. Infatti, le due attenuanti vertono entrambi su quello che potremmo definire un deficit in quella che è la capacità di intendere e di volere di una persona, cambia la ragione di questo deficit.

Inoltre, ove al minore è applicata automaticamente l’attenuante, in ragione della sua presunta immaturità, così non è per chi commetta un reato in stato di parziale, ed incolpevole, stato di incapacità di intendere e volere. Infatti, perché si possa applicare l’attenuante di cui all’art. 89 c.p. l’autore del reato deve versare in un «tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere»[6], che non sia causato da scelte colpevoli o comunque biasimevoli dell’autore del reato[7], ed entrambe le circostanze dovranno essere provate nel procedimento. Inoltre, vi deve essere un nesso eziologico tra lo stato di incapacità ed il reato commesso[8].

I due istituti, quindi, risultano simili in molti aspetti poiché prevedono la medesima riduzione di pena; ed entrambi hanno quale ratio quella per la quale quando a commettere un reato sia una persona la cui capacità intellettiva e psicologica sia, anche se per motivi diversi, scemata, il disvalore della condotta è minore ed è prevedibile una minore necessità rieducativa per chi la commette. La differenza sostanziale tra l’art.89 ed il 98 è che uno è applicato automaticamente, mentre l’altro, come è stato anzidetto, necessita di elementi che devono essere provati di volta in volta.

Appare, dunque, tramite la tecnica del tertium comparitionis e prendendo a parametro la deroga prevista dallo stesso comma IV art. 628 c.p., del tutto contrario al principio di eguaglianza trattare situazioni tanto simili - le circostanze previste dagli artt. 89 e 98 c.p. - in modo tanto diverso, ed è per questo motivo che la Consulta ha rilevato l’incostituzionalità «dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628»[9].

5. In conclusione

La Consulta ha chiaramente stabilito come la possibilità di prevedere aggravanti “blindate” rientri in quella che è la discrezionalità del legislatore di applicare scelte di politica criminale. Questo purché non prevedano automatismi che limitino eccessivamente la discrezionalità del Giudice di individualizzare la pena. Quando applicate correttamente, le aggravanti “blindate” permettono, anzi, un grado di personalizzazione della pena maggiore rispetto a quello che si avrebbe ove al loro posto fossero previsti dei reati autonomi.

Viene, inoltre, nuovamente sancito il limite imposto dal principio di ragionevolezza a quella che è la discrezionalità del Parlamento. Per quanto appaia chiaro il motivo che ha spinto il Legislatore ad inasprire alcuni delitti in particolare, anche con l’uso di aggravanti “blindate”, appare come manifesta la necessità che simili modifiche al Codice Penale vengano compiute in modo più organico, al fine di evitare che il nostra Ordinamento contenga manifeste, quanto irragionevoli, disparità di trattamento.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. D. PULITANÒ, Ragionevolezza e diritto penale, Napoli, 2012.

[2] Citazione di: D. PULITANÒ, La misura delle pene, fra discrezionalità politica e vincoli costituzionali, in Dir. pen. cont., (Riv.trim.), 13 febbraio 2017, 49.

[3] Artt. 23, 24 e 26 c.p..

[4] In tal senso si veda: S. CORBETTA, La cornice edittale della pena, cit., 166, nel quale viene osservato che il quantum della pena non può ridursi ad un mero «un criterio di politica criminale» (p. 156).

[5] Cfr. Corte Cost. sentt. n.73 del 2020; nr.55 del 2021; 115 del 2021, di cui viene fatta larga menzione nell’ordinanza del Tribunale di Torino.

[6] V. art. 89 c.p..

[7] V. artt. 92 c.p. “Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata”; 93 c.p. “Fatto commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti”; e 94 c.p. “Ubriachezza abituale”.

[8] V. Cass., n. 9163 del 2005

[9] Corte Cost. sent. nr. 217 del 2023