Pubbl. Mer, 15 Nov 2023
Validità del trust autodichiarato nell’ordinamento italiano
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Luca Trabacca
Un atto istitutivo di trust (così come i successivi atti modificativi) in cui il disponente, il trustee e il beneficiario coincidono con la stessa persona dev´essere sempre considerato nullo (c.d. sham trust). Tuttavia, l´atto costitutivo di un trust ”meramente” autodichiarato, in cui gli unici soggetti che coincidono sono il disponente e il trustee, dev´essere considerato valido ed efficace ai sensi della legge italiana. Pertanto, la sentenza della Corte d´Appello di Milano n. 2407/2022, in cui la Corte ha (correttamente) stabilito la nullità di uno sham trust, non è del tutto persuasiva, poiché la Corte afferma ulteriormente che i trust autodichiarati devono essere considerati nulli.
Validity of self-declared trusts under the laws of Italy
A deed of trust (as well as any subsequent amendments thereto) in which the settlor, the trustee and the beneficiary are the same person shall be always deemed null and void (so-called sham trust). However, the deed of trust setting up a “merely” self-declared trust, where the only overlapping parties are the settlor and the trustee, must be considered valid and effective under the laws of Italy. Therefore, the judgment of the Court of Appeal of Milan No. 2407/2022, in which the Court (correctly) ruled that a sham trust was null and void, is not completely persuasive, since the Court also states that self-declared trusts must be deemed null and void.Sommario: 1. Il caso; 2. La decisione della Corte d’Appello. Gli elementi caratterizzanti del trust autodichiarato; 3. Conclusioni
1. Il caso
Con atto di citazione del 3 aprile 2017, il Fall. C.B. S.r.l. esercitava – innanzi al Tribunale di Milano – l’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. nei confronti di C.B., socio unico e amministratore della società C.B. S.r.l. alla data di accertamento del fallimento di quest’ultima (29 novembre 2013).
La domanda era volta a ottenere l’accertamento della condotta «negligente e distrattiva» tenuta dallo stesso a partire dal 2012 e a far pronunciare condanna al pagamento del risarcimento del danno subìto dalla società. Il fallimento, inoltre, chiedeva al Tribunale meneghino di accertare la nullità dell’atto costitutivo del trust denominato “C.B. Trust” – istituito dal convenuto in data 30 novembre 2010 – nonché la nullità derivata degli atti modificativi e integrativi del medesimo.
Con sentenza n. 1409 del 14 gennaio 2021 il Tribunale di Milano – inter alia – accoglieva (parzialmente) la domanda risarcitoria e quella volta a far accertare la nullità dell’atto istitutivo del predetto trust. Con riferimento alla validità dell’atto istitutivo del trust, in particolare, il Tribunale osservava come il C.B. Trust si caratterizzasse per la contestuale compresenza di C.B. quale disponente, trustee e beneficiario, situazione da ritenersi incompatibile con l’«effettivo affidamento intersoggettivo di beni» che dovrebbe caratterizzare la costituzione di un trust.
Avverso la sentenza di prime cure C.B. proponeva appello, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecutività. Oltre a impugnare il capo della sentenza che lo condannava al pagamento del risarcimento del danno, C.B. si doleva della declaratoria di nullità comminata all’atto istitutivo del predetto C.B. Trust.
Osservava l’appellante, infatti, che il trust c.d. autodichiarato – costituito, cioè, da un disponente che assume anche la veste di trustee – deve ritenersi valido ai sensi dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata in Italia con l. n. 364 del 16 ottobre 1989[1]: la disposizione in discorso, secondo la tesi di C.B., non opera infatti alcun riferimento ai casi di eventuale coincidenza fra disponente e trustee.
L’appellante proseguiva notando – per altro verso – che gli artt. 6 e 8 della predetta Convenzione impongono di apprezzare la validità del trust ai sensi della legge regolatrice scelta dal disponente: nel caso di specie, la Trust (Jersey) Law 1984, ai sensi della quale i trust autodichiarati devono ritenersi validi ed efficaci.
Da ultimo, l’appellante osservava che la validità di un trust deve valutarsi avuto riguardo alla “causa in concreto” che tale negozio persegue, e non facendo genericamente riferimento alla validità dei trusts autodichiarati in sé.
Con la sentenza che si annota, tuttavia, la Corte d’Appello di Milano rigettava le pretese dell’appellante e confermava la decisione del Tribunale locale. In particolare, la Corte – riprendendo l’orientamento già espresso dal Tribunale meneghino – osservava che il C.B. Trust si presenta come privo di uno dei suoi elementi essenziali, ovverosia «l’affidamento a soggetti diversi dal disponente dei beni oggetto del trust».
2. La decisione della Corte d’Appello. Gli elementi caratterizzanti del trust autodichiarato
Nel giungere agli esiti di cui si è brevemente detto, la Corte ha preso le mosse proprio dal predetto art. 2 della Convenzione dell’Aja, confermando alcuni approdi della nostra giurisprudenza di legittimità in materia di trust[2]. Il negozio in discorso, secondo l’insegnamento costante delle nostre corti, «non costituisce un soggetto giuridico autonomo dotato di una propria personalità, ma un patrimonio separato destinato al perseguimento di specifici interessi»[3].
La “separazione patrimoniale” di cui si parla[4] – e, con essa, l’indisponibilità per il soddisfacimento dei creditori personali – dev’essere peraltro riferita tanto al patrimonio personale del disponente quanto a quello del trustee[5]. Benché i beni conferiti nel trust fund siano definitivamente fuoriusciti dal patrimonio personale del settlor, questi non sono mai entrati in quello personale del trustee: essi sono, per così dire, collocati a latere di tale patrimonio, e ne compongono uno ulteriore di cui il trustee è gestore[6].
Dalla circostanza per cui il trust si caratterizza per essere un mero patrimonio consegue, coerentemente, che il trustee non agisce, nei rapporti con i terzi, quale legale rappresentante del trust medesimo[7]. Egli, piuttosto, si rapporta con i terzi quale vero e proprio titolare dei diritti e degli obblighi conferiti nel trust fund, stipulando contratti che hanno a oggetto tali posizioni giuridiche e agendo in giudizio per la tutela delle medesime. Se ne deve inferire che il trustee si atteggia, com’è stato correttamente osservato[8], quale «unico vero centro di imputazione cui riferire tutte le vicende giuridiche che afferiscono il negozio fiduciario».
Negli ordinamenti anglosassoni, da cui l’istituto origina, il rapporto che il trustee e i beneficiari intrattengono con i beni conferiti nel trust fund è ben descritto dal concetto di “trust property”. Tale categoria implica una duplice forma di proprietà sui beni apportati al trust fund: da una parte, la legal ownership del trustee, ovverosia una forma di proprietà le cui potestà dominicali debbono esercitarsi nell’esclusivo interesse dei beneficiarî[9]; dall’altra parte, la beneficial ownership che questi ultimi esercitano su tali beni, e che si traduce in una forma di aspettativa[10].
Il nostro diritto civile, con tutta evidenza, non conosce simili categorie: pare allora corretto ritenere che il trustee si trovi, nei confronti dei beni in trust fund, in un rapporto di piena titolarità (e, nella maggior parte dei casi, di proprietà) dei medesimi, dovendosi tuttavia percisare che i beneficiarî saranno titolari di una posizione giuridica «analoga a quella che compete al creditore di una prestazione dovuta dal debitore in un rapporto giuridico di natura obbligatoria»[11].
Nella sentenza in commento la Corte ripercorre – seppure in maniera più sintetica – tutti i passaggi preliminari di cui si è dato atto, giungendo poi a concludere che i trusts caratterizzati dalla coincidenza di disponente, trustee e beneficiario debbono ritenersi nulli per violazione dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja, la quale postula, ai fini della validità di tali negozî, la necessaria esistenza di tre «centri di imputazione», per tali intendendosi il disponente, il trustee e uno o più beneficiarî[12]. All’interno di un simile schema plurisoggettivo, prosegue la Corte, pur potendosi ammettere che il disponente mantenga alcune prerogative sulla gesione dei beni conferiti in trust, non vi è spazio per una completa coincidenza fra disponente, trustee e beneficiario.
L’argomento sviluppato dalla Corte deve ritenersi senz’altro condivisibile (con riferimento tanto all’iter logico seguito, quanto all’approdo raggiunto): che un trust in cui disponente, trustee e beneficiario coincidono vada qualificato come sham trust – e, in quanto tale, ritenuto nullo – è peraltro insegnamento costante della nostra giurisprudenza[13].
Ciò che della sentenza in esame non convince, invero, è una conclusione ulteriore raggiunta dai giudici meneghini, peraltro scarsamente argomentata.
Nella decisione che si annota, infatti, premesso che la validità di un trust dev’essere valutata avuto riguardo alla legge regolatrice scelta dal disponente[14], la Corte si spinge a osservare che la citata Trust (Jersey) Law 1984 non consente di sostenere l’ammissibilità nel nostro ordinamento dei trusts autodichiarati. In particolare, l’art. 9A della legge in discorso (rubricato «Powers reserved by settlor»), nella lettura dei giudici di Appello, non consentirebbe al disponente di gestire direttamente i beni oggetto di conferimento nel trust fund.
È questo l’argomento che non convince. Deve osservarsi, infatti, che un conto è dichiarare la nullità dei trust in cui tutti e tre i soggetti caratterizzanti il negozio coincidono; un altro conto è estendere tale sanzione a tutti i trust autodichiarati[15], ovverosia i trust in cui vi è identità soggettiva unicamente fra disponente e trustee, mentre il beneficiario rimane un soggetto autonomo. E ciò non serve a negare, peraltro, che un trust autodichiarato possa perseguire intenti fraudolenti, animati dalla volontà di rendere inaggredibile un certo novero di beni del disponente[16]; ciò che si sostiene, per contro, è unicamente la necessità di non confondere il piano della patologia con quello della validità del negozio in quanto tale.
L’astratta ammissibilità dei trusts autodichiarati, infatti, sembra potersi sostenere tanto argomentando dal disposto della Convenzione dell’Aja del 1985, quanto sul piano del nostro diritto civile.
Sotto il primo profilo, l’art. 2, comma 1, della Convenzione, contrariamente a quanto sostenuto da parte della giurisprudenza[17], non pare affatto richiedere un necessario dualismo soggettivo fra disponente e trustee: ciò che la disposizione sembra postulare, piuttosto, è che il negozio si caratterizzi per la soggezione al controllo del trustee dei beni apportati al trust fund, che dovranno essere amministrati nel rispetto dei vincoli di cui si è detto supra.
Sotto tale profilo, è di tutta evidenza come i anche trusts autodichiarati conseguano, al pari di quelli istituiti secondo lo schema “tradizionale”, il risultato di segregare una parte del patrimonio del disponente, destinandola al soddisfacimento dei bisogni dei beneficiarî. Il disponente-trustee, infatti:
(i) nella sua qualità di disponente perde la possibilità di esercitare «in modo pieno ed esclusivo» il suo diritto di proprietà sui beni conferiti nel trust fund;
(ii) nella sua qualità di trustee è assoggettato agli obblighi che caratterizzano tale ufficio, al pari di un qualsiasi potenziale trustee “terzo”[18].
La circostanza di aver conferito beni di propria titolarità nel trust fund, e averne (ri)assunto la titolarità in altra veste, non gli è dunque indifferente. Salvo obiettivi di natura fraudolenta, una simile operazione ben si presta a essere inquadrata negli schemi dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja.
Venendo alla compatibilità del trust autodichiarato con il diritto italiano, poi, è emblematico che il nostro diritto civile già conosca fattispecie di destinazione della proprietà nelle quali non vi è una completa fuoriuscita dei beni dal patrimonio del disponente: il riferimento, in particolare, è al fondo patrimoniale con riserva di proprietà[19], ai patrimoni destinati a uno specifico affare (in cui i beni destinati allo “specifico affare” sono anzi vincolati al patrimonio della società)[20], nonché al vincolo di destinazione ex art. 2465 ter c.c.[21]. Ciò consente, come autorevolmente rilevato[22], di negare che tale negozio possa considerarsi nullo per contrarietà all’ordine pubblico, e – per contro – di affermarne l’astratta compatibilità con il nostro ordinamento[23].
3. Conclusioni
La sentenza annotata, in definitiva, si caratterizza per il pregio di giungere a una conclusione condivisibile con riferimento al caso di specie – ovverosia la comminatoria di nullità di un trust in cui disponente, trustee e beneficiario coincidono.
Il medesimo provvedimento, d’altra parte, si spinge a conclusioni che prestano il fianco a più di una critica. La possibilità di comminare la sanzione della nullità a tutti i trusts autodichiarati in quanto tali, infatti, non pare una soluzione coerente con l’impianto della Convenzione dell’Aja e con il nostro diritto civile. Tali negozî devono – per contro – ritenersi astrattamente validi, ed eventuali comminatorie di invalidità potranno trovare cittadinanza unicamente ove si dimostri l’intento fraudolento che il disponente abbia perseguito nell’istituzione del trust, ovvero nei casi in cui – come quello in discorso – il disponente-trustee assuma altresì le vesti di beneficiario.
[1] Per maggiori approfondimenti cfr. F. CERRI, Trust, affidamento fiduciario e fiducie, Milano, 2015, 29 ss.
[2] Cfr. Cass. 19 gennaio 2017, n. 12718, in Trust, 2017, 637; Cass. 18 dicembre 2015, n. 25478, in Corr. trib., 2016, 676, con nota di D. STEVANATO, Trust liberali e imposizione indiretta, uno sguardo al passato rivolto al futuro?; Cass. 9 maggio 2014, n. 10105, in Fall., 2014, 1150, con nota di F. FIMMANÒ, La Cassazione “ripudia” il trust concorsuale; Cass. 12 dicembre 2011, n. 28363, in Contratti, 2012, 693, con nota di G. TANCREDI, In tema di soggettività giuridica del trust; in Trusts att. fid., 2013, 260, con nota di A. TONELLI, Sulla soggettività giuridica del trust e responsabilità del trustee.
[3] Contra si registrano le isolate decisioni di Trib. Roma, 8 luglio 1999, in Giur. it., 2001, 959, secondo il quale la titolarità dei beni conferiti in trust risiederebbe in capo al trust stesso, il quale finirebbe così per costituirebbe un autonomo centro di imputazione di diritti e obblighi; e Trib. Torino, 10 febbraio 2011, in Notariato, 2011, 408, con nota di A. STEFANI, Trascrizione a favore del trust: una nuova frontiera?, che afferma la possibilità di trascrivere il trasferimento dei beni conferiti nel trust a favore del trust medesimo e contro il disponente. Per una convincente critica a tali posizioni si rinvia a G. TANCREDI, In tema di soggettività giuridica del trust, cit., 696, ove ulteriori riff., anche comparatistici.
[4] Sul punto, cfr. M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, 567, che osserva come «la separazione non fa [...] venire meno l’appartenenza, ma la pone in una situazione mediata, grazie alla quale le generali vicende del [trustee], che rimane il titolare ultimo del patrimonio separato, non si riverberano direttamente su di esso e si traslano sul nesso proprietario fra il soggetto e il patrimonio separato».
[5] Cfr. G. TANCREDI, In tema di soggettività giuridica del trust, cit., 697. Cfr. anche A. GALLARATI, Il trust come organizzazione complessa, Milano, 2010, 212, ove «la trust property è preclusa all’esecuzione dei creditori del settlor, dei beneficiaries e del trustee, ma non a coloro che abbiano contrattato in ragione del trust».
[6] Nei medesimi termini, ex multis, F.P. OLIVIERI, Il Trust. Manuale tecnico operativo, Milano, 2018, 33, ove «il patrimonio personale del trustee è totalmente separato da quello del trust, si tratta di due entità completamente distinte e su tale massa patrimoniale è come se operasse (e infatti opera) una protezione giuridica che rende immune il trust fund dalle aggressioni dei creditori del disponente, del trustee e dei beneficiari»
[7] Così, ex multis, Trib. Roma, 22 gennaio 2018, in Trust, 2018, 534, con nota di G. MANES-P. ERRANI, Trust autodichiarato e vincoli di destinazione: l’effetto segregativo; Cass., 19 maggio 2017, n. 12718, in Trust, 2017, 637 e, ancora prima, Cass. 12 dicembre 2011, n. 28363, cit.
[8] Cfr. F.P. OLIVIERI, Il Trust. Manuale tecnico operativo, cit., 51.
[9] Cfr. M. LUPOI, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, IV ed., Milano, 2020, 113, che nota come il trustee «dispone di tutti i poteri che spetterebbero a chi, avendo titolo legale su un bene, ne fosse anche il beneficial owner».
[10] Così, inter alia, A. BUSANI, Il Trust, II ed., Vicenza, 2022, 339. E cfr. altresì A. GALLARATI, op. loc. ult. cit., che nota come «dal punto di vista dogmatico la trust property [è] assimilabile molto più ad un patrimonio autonomo o a quello di di una società di capitali che non alle deroghe all’articolo 2740 del codice civile, realizzabili attraverso i modelli generalmente indicati dal formante dottrinale quali omologhi o alternativi al trust». E sulle differenze fra l’istituto del trust e gli schemi della fiducia romanistica (che presuppone il trasferimento della piena proprietà al fiduciario) e quella di tipo germanistico (che presuppone la persistenza della proprietà in capo al fiduciante), cfr. A. GAMBARO, voce Trust, in Dig. disc. priv. Sez. civ., vol. XIX, 1999, Torino, 449 ss e ancora ID., voce Diritti reali (dir. internaz. e comp.), in Enc. dir. ann. I, Milano, 2007, 489.
[11] Cfr. A BUSANI, Il Trust, cit., 340.
[12] Così, da ultimo, Cass. 19 gennaio 2017, n. 12718, cit., ove si osserva ulteriormente che la nullità di un simile trust «ove pur non eccepita dalla parte che vi abbia interesse e non rilevata nei precedenti gradi [...], può comunque essere d’ufficio rilevata nel giudizio di cassazione». Va, in ogni caso, fatta salva la possibilità che il trust si qualifichi alla stregua di un trust c.d. di scopo, ovverosia di un trust nel quale il programma negoziale si propone di perseguire una certa finalità, in luogo della tutela di uno o più beneficiarî. In argomento si consenta di rinviare a M. LUPOI, Atti istitutivi di trust e contratti di affidamento fiduciario, Milano, 2010, 331 ss.
[13] E cfr. le condivisibili decisioni di Trib. Como, 29 ottobre 2010, in Trust, 2011, 405, ove «il trust autodichiarato con il quale il disponente/trustee amministra in totale libertà il fondo a proprio vantaggio e godimento è un elemento che può far ragionevolmente ritenere che la costituzione del trust sia avvenuta in frode ai creditori»; Trib. Udine, 31 maggio 2016, in Trust, 2017, 168, per il quale «è nullo in quanto sham il trust autodichiarato rivolto unicamente a sottrarre fittiziamente i beni e che sono oggetto dalla garanzia patrimoniale generica a favore dei creditori del disponente»; in termini analoghi anche Trib. Monza, 13 maggio 2015, n. 1425, in Trust, 2016, 58; Trib. Ancona, 12 luglio 2016, in Trust, 2017, 40; Cass., 19 maggio 2017, n. 12718, cit.; Cass. pen., 7 novembre 2017, n. 20862, in Trust, 2018, 629; Trib. Parma, 20 aprile 2018, n. 558, in Trust, 2019, 442; Trib. Roma, 22 gennaio 2018, cit. e Trib. Savona, 27 febbraio 2018, n. 240, in Trust, 2018, 637. In dottrina, per tutti, cfr. R. BELVEDERI, Alcune considerazioni in materia di sham trust, in Trusts att. fid., 2013, 143.
[14] Cfr. il combinato disposto degli artt. 6 e 8 della Convenzione dell’Aja sui trusts.
[15] Negli ordinamenti anglosassoni sono definiti self-declared trusts, e il relative atto istitutivo è definito declaration of trust. In argomento cfr. M. LUPOI, Istituzioni, cit., 36 s.
[16] Sul punto cfr. E. CORAPI, Sul trust interno “autodichiarato”, nota a Trib. Cagliari, 4 agosto 2008, in Banca borsa tit. cred., 2010, I, 805, ove «con la ratifica della Convenzione [dell’Aja] si è espressamente riconosciuta la “causa astratta” di tale istituto, mentre invece è necessario che il giudice valuti quella concreta in relazione alla meritevolezza degli interessi del singolo negozio posto di volta in volta al suo esame». In generale sulla qualificazione della causa contrattuale quale interesse che il contratto è «in concreto» diretto a realizzare, cfr. C.M. BIANCA, Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. dir. civ., 2014, 251; ID., Diritto civile, vol. 3, Il contratto, III ed., Milano, 2018, 410 ss.; e cfr. anche i primi studi di G. GORLA, Causa, consideration e forma dell’atto di alienazione inter vivos, in Riv. dir. comm., 1952, I, 173 e di G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968. Per ulteriori riff. in argomento cfr. R. SACCO, Il contratto, in Vassalli (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, vol. VI, t. 2, Torino, 1975, 574 ss.
[17] Cfr. Trib. Napoli, 1 ottobre 2003, in Trust, 2004, 570; in Contratti, 2004, 717, confermata da App. Napoli, 27 maggio 2004, in Imm. & prop., 2006, 18. Più recentemente hanno abbracciato tale orientamento restrittivo Cass., 24 febbraio 2015, n. 3735, in Notariato, 2015, 207; in Il Fisco, 2015, 1077, con nota di A. BORGOGLIO, Il trust autodichiarato sconta l’imposta sulle successioni e donazioni; in Corr. trib., 2015, 1203; in Dir. prat. trib., 2015, 688, con nota di G. CORASINITI; in Riv. giur. trib., 2015, 397, con nota di D. STEVANATO, La “nuova” imposta su trust e vincoli di destinazione nell’interpretazione creativa della Cassazione; Cass., 25 febbraio 2015, n. 3886 (sulla quale cfr. A. BUSANI, La Cassazione ‘smonta’ il trust, in Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2015), in Boll. trib., 2015, 1269; in Il Fisco, 2015, 1097; in Vita not., 2015, 386; in Ilfamiliarista.it, 2015; in Dir. prat. trib., 2015, 688, con nota di G. CORASINITI, Vincoli di destinazione, trust e imposta sulle successioni e donazioni: la (criticabile) tesi interpretativa della Corte di Cassazione e le conseguenze; Trib. Bergamo, 4 novembre 2015, n. 2444, in Trust, 2016, 148 (caso in cui, tuttavia, mancava la designazione dei beneficiarî).
[18] Cfr. M. LUPOI, op. ult. cit., 294; Belvederi, Alcune considerazioni in materia di sham trust, cit., 147; M.C. ANDRINI, Nullità del trust autodichiarato: le responsabilità del notaio, in Trusts, 2021, 120.
[19] In argomento si consenta di rinviare alla monografia di A. FERRARI, Fondo patrimoniale e trust familiare, Milano, 2017, spec. 22 ss. Sulle analogie fra l’istituto del fondo patrimoniale e il trust, cfr. anche Trib. Cagliari, 4 agosto 2008, cit.
[20] Al pari della costituzione di un trust, infatti «la costituzione di un patrimonio destinato non realizza un nuovo soggetto di diritto, in quanto a rispondere delle obbligazioni assunte rimane sempre la società, variando soltanto i beni che costituiscono garanzia dell’adempimento»: così S. LOCORATOLO, Commento all’art. 2447-bis, in Abriani (a cura di), Codice delle società, II ed., Milano, 2016, 1689; in termini analoghi anche G. GIANNELLI, Commento all’art. 2447-bis, in Niccolini-Stagno d’Alcontres (a cura di), Società di capitali, vol. II, Napoli, 2004, 1214.
[21] In argomento si rinvia a G. OBERTO, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, in Cont. e impr. Europa, 2007, 352 e S. LEUZZI, La meritevolezza dell’interesse nell’istituzione del trust, in www.giustiziacivile.com, 2014.
[22] Cfr. A. BUSANI, Il Trust, cit., 322.
[23] La soluzione favorevole all’ammissibilità del trust autodichiarato è confortata dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie. In dottrina, ex multis, cfr. M. LUPOI, I Trusts nel diritto civile, in Vita not., 2003, 605; ID., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008, 29; E. CORAPI, Sul trust interno “autodichiarato”, cit., 806; A. TONELLI, I nuovi negazionisti, in Trust, 2016, 250; G. BIASINI-F. ROTA, Il trust e gli istituti affini in Italia, Milano, 2017, 17; A. DI LANDRO, Il trust autodichiarato tra Convenzione dell’Aja e autonomia negoziale, in Trust, 2018, 466; P. MANES-G. ERRANI, Trust autodichiarato e vincoli di destinazione: l’effetto segregativo, cit., 477; A. BUSANI, Il Trust, cit., 321 ss; M.C. ANDRINI, op. loc. ult. cit. In giurisprudenza, invece, cfr. Trib. Cagliari, 4 agosto 2008, cit.; Cass., 24 gennaio 2011, n. 13276, in Riv. giur. trib., 2011, 686, con nota di F. FONTANA, Utilizzo del trust come schermo abusivo alle pretese del Fisco; in Trusts att. fid., 2011, 472, con nota di A. DI AMATO, Il sequestro di beni in trust nel procedimento penale; in Fisco, 2011, 2549, con nota di F. TURIS, Sequestro e confisca dei beni costituiti in trust in frode ai creditori; Trib. Milano, 10 giugno 2014, in Trust, 2016, 151; Cass. 9 maggio 2014, n. 10105, cit.; Cass. pen. 3 dicembre 2014 n. 50672, in Trusts, 2014, 293; App. Venezia, 10 luglio 2014, in Vita not., 2014, 1279; Trib. Forlì, 5 febbraio 2015, in Contratti, 2015, 437, con nota di M. INDOLFI, Sull’ammissibilità del “trust” auto-dichiarato; in Foro it., 2015, I, 2535; App. Milano, 30 gennaio 2017, in Notariato, 2017, 303, con nota di A. BRIENZA, Meritevolezza del “trust” e funzione notarile di adeguamento; in Trust, 2017, 399; Trib. Ragusa, 3 marzo 2017, in Trust, 2017, 621.